E’ proprio così, come dice Piero Ottone (“Piccola filosofia di un amore. La Vela”). In mare se si è tristi, si è più tristi. Se si è già felici, in mare si è più felici. Il grande blu accelera il battito delle emozioni, acuisce la percezione, rende più alti i marosi. Trovarsi in mare e essere in difficoltà fa dolere la carne, non solo il cuore. Fa trasalire, gemere, torcersi, implodere. La sua enormità preme dove c’è già pressione, mentre pochi giorni prima alleggeriva ancora dove c’era sollievo. Le medesime difficoltà, che fino a poco tempo prima parevano sale su una pietanza già buona, diventano fiele, irrancidiscono, avvelenano.
Dal mare, non si può fuggire se non prendendo la via della terra. Finché ci si naviga dentro siamo in balia della buona e della cattiva sorte, che fanno quel che vogliono del guscio di noce su cui il nostro cuore cerca felicità e fronteggia dolore. Il grido è inascoltato, la richiesta d’aiuto si perde nel vento. Non c’è alcun riparo per la nostra àncora, solo onda, e onda, e onda, a perdita d’orizzonte. Le baie riparate pettinate dalla miglior brezza che fino a un giorno prima si susseguivano come regali inattessi, sono scomparse. Occorre resistere, in silenzio, tenere duro. Non c’è altra via. Non c’è alternativa.
“è come un uomo che grida nel deserto…” Tutto a posto adesso immagino, poichè ci stai filosofeggiando sopra, però un po’ di disagio e fatica si leggono fra le righe. Magari è lo stress da itinerante che viene a galla… Stai in campana, e buon vento, comandante!