Nobel

 Ora, va da sé che il meccanismo di assegnazione del Premio Nobel è, da parecchio, piuttosto sgangherato. Basti pensare a quanti scrittori avrebbero meritato il Nobel per la letteratura prima e più di Dario Fo, qualche anno fa.

Però questo supera ogni possibile paragone. E’ molto tempo che non vedevo o ascoltavo una cosa di questo genere. Vi prego, guardate questo video 

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Dilaga la mancanza di credibilità, condita di sfiducia e di malizia. Quando qualcuno parla, prima di tutto ci si pone il problema di quali siano le sue “vere motivazioni” nel dire ciò che dice. Poi si vagheggiano i suoi interessi. Alla fine, comunque, non gli si crede. Per molti questo è disfattismo, negatività, vecchiaia. “Bisogna credere ancora, avere speranza!” e chi non ce l’ha è un vecchio conservatore. Questo è vero, talvolta, ma a volte no.

Il problema della comunicazione è quasi sempre riferibile a chi parla. E’ lui che deve sforzarsi di essere credibile. Se lo fa e io ancora non mi apro, ancora non gli credo, allora ben venga l’accusa di eccesso di disincanto. Ma se non lo fa, sono io ad avere ogni diritto di non seguirlo.

Uno dei modi più puliti e sinceri di essere credibili è iniziare con l’autocritica. “Prima di dirti perché sbagli, ammetto di aver sbagliato io in passato”. Un buon modo per sintonizzarsi con l’altro è dichiarare dove si è ecceduto, dove si è stati mancanti, dove i nostri atti potevano essere migliori. Magari anche spiegando che questo è stato tanto vero quanto, a volte, preso come alibi. Sincerità, apertura, chiarezza. Pensate come sarebbe diversa la nostra politica se qualcuno conoscesse questa semplice regola…

Eccone un esempio cristallino, tratto dalle prime righe del discorso di Barak Obama alle Nazioni Unite, ieri.

“I took office at a time when many around the world had come to view America with skepticism and distrust. Part of this was due to misperceptions and misinformation about my country. Part of this was due to opposition to specific policies, and a belief that on certain critical issues, America has acted unilaterally, without regard for the interests of others. And this has fed an almost reflexive anti-Americanism, which too often has served as an excuse for collective inaction.”

Ecco perché Obama è credibile. Dimostra di conoscere la visione degli USA da fuori. Dimostra di non essere arroccato a difesa, ma aperto, tanto da ammettere gli errori del suo Paese. Un uomo così è credibile. Non perché è giovane. Non perché è bravo a parlare. Non perché è “abbronzato”.

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Gesti anarchici

Non amo chi rompe le scatole, chi si intromette, chi scherza dove gli altri sudano. Non amo le “invasioni di campo”, in generale. Impossibile, tuttavia, non pensare all'”Anarchia Ontologica” di Akim Bay di fronte a questa notizia (link nelle ultime righe).

Akim Bay sosteneva sostanzialmente un principio: l’anarchia come struttura politica di (dis)organizzazione della società, nel tempo, è impossibile. Ad ogni rivoluzione anarchica, reale o possibile, segue sempre, inesorabilmente, una nuova organizzazione, di qualsiasi tipo, reazionaria, repubblicana, dittatoriale, democratica, comunista, conservatrice… Impossibile che a un sovvertimento non segua una riorganizzazione. Ma non temete, dice Akim Bay (leggete T.A.Z. – Zone Temporaneamente Autonome, il suo manifesto), l’anarchia come filosofia, come messaggio politico, come condizione, può comunque sopravvivere, e perfino essere applicata. Come? In modo temporaneo, ovvero concatenando tra loro momenti anarchici, che se pure non sono in grado di realizzare un mondo, una condizione, uno stato anarchico permanente, per lo meno gli somigliano. Un simbolo di questi momenti è, per Akim Bay, la festa, ovvero un istante in cui ruoli, regole, obblighi, costrizioni vengono meno e offrono agli uomini un “respiro anarchico temporaneo”. Come smettere di essere uno spettatore e diventare un protagonista…

Guardate questo video. E’ qualcosa che a Akim Bay sarebbe molto piaciuto, e anche a me. Oltre tutto, è la sublimazione di un sogno che ogni amante del calcio ha vagheggiato, almeno una volta, nella sua vita…

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Suppliche

Nessuno quasi lo ricorda. Nella notte tra il 25 e il 26 dicembre del 1996, nel canale di Sicilia di fronte a Portopalo, affonda una barca carica di immigrati clandestini. Muoiono quasi 300 uomini provenienti da paesi poveri o in guerra: Pakistan, India, Sri Lanka. È la più grande tragedia del Mediterraneo dell’ultimo mezzo secolo. Per media e autorità, salvo poche eccezioni, non è accaduto nulla, la notizia non circola. Ma il mare, poco alla volta, restituisce qualcosa: corpi, teschi, abiti e soprattutto un documento di identità.

E’ così che la tragedia in mare più grave del dopoguerra viene alla luce, per caso, insieme alle storie di coraggio del pescatore Salvo Lupo, a quella dell’efferato comandante El Hallal, a quelle dei “tonni” (come li chiamano i pescatori impauriti) ovvero delle decine, centinaia di corpi senza vita che da anni finiscono nelle reti e vengono rigettati in mare. E’ la storia della frontiera mediterranea, presa d’assalto da derelitti, migranti, esuli, traformata in tomba a immersione per (si stima) quasi 20.000 vittime negli ultimi dieci anni (!).

Eschilo, migliaia di anni fa, scrisse “Le Supplici”, ovvero una tragedia sulla migrazione e sull’accoglienza. Le figlie di Danao fuggono dall’Egitto e chiedono asilo (supplicano, appunto) al Re di Argo Pelasgo. Sono straniere, vestono in modo esotico, sono “diverse”, ma rivendicano origini comuni. Sono, come gli argivi, discendenti della fanciulla Io (da cui il nome del Mar Io-nio), amata da Zeus e perseguitata da Era. Pelasgo vuole dar loro asilo, ma ha il problema di spiegarlo al suo popolo, di fargli accettare le profughe. Convoca dunque un’assemblea e perora con un accorato discorso la causa delle migranti. Quando entrano ad Argo, il Padre Danao ammonisce le ragazze a comportarsi con serietà e gratitudine verso il popolo che le ha accolte.

Eschilo, le Supplici, migliaia di anni fa. Portopalo, 1996. Portopalo 2009. Già perché oggi lo spettacolo itinerante delle Supplici verrà messo in scena proprio lì per ricordare, per non dimenticare, la tragedia della nave con 283 persone a bordo inghiottita dal mare mentre già a bordo vedevano le luci della Sicilia, mentre pensavano di avercela fatta. Per non dimenticare anche che quello che sappiamo di quel tratto di mare, in realtà, è solo qualche pagina del racconto tragico più crudele della nostra epoca, dei nostri confini. Secondo alcune testimonianze, non ancora suffragate da prove, pochi mesi fa di fronte alla Libia, in acque internazionali equidistanti tra noi e la Libia, due navi con quasi 600 migranti sarebbero affondate senza lasciare traccia.

Stasera, a Portopalo, qualcuno si domanderà come possiamo non soccorrere, non accogliere, non accudire questi dannati della terra. Uomini e donne che cercano salvezza, vengono sfruttati, maltrattati, illusi, che sfidano il mare (loro, uomini degli altipiani, dei deserti, delle pianure) e, assai spesso, scompaiono nelle profondità senza lasciare che neppure un grido venga portato dal vento. Le loro “suppliche”.

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(Alien)azione

Edoardo Lombardi Vallauri, linguista e studioso, sostiene che l’uomo sia alienato perché vive immerso nei manufatti. Per manufatti intende ciò che non è naturale, cioé le città ad esempio, le macchine, le scatole di cemento che chiamiamo case. La sua alienazione dipenderebbe dal fatto che il nostro computer interno, cioè il sistema operativo (hardware e software) che l’evoluzione ha programmato per il funzionamento della macchina-uomo, si basa su un concetto di mondo-intorno-all’uomo fatto di natura originaria, mentre l’uomo oggi vive immerso nell’artefatto, cioé in quello che Lombradi Vallauri chiama il manufatto. Il tutto si risolverà in sede evolutiva, ma non sappiamo come, con quali danni, quali sacrifici, con quali esiti. Per il momento il nostro computer continua a pensare che se allungiamo una mano troviamo l’erba, mentre invece c’è un muro. Questo genera stress, mancanza di rispondenza dei dati, alienazione appunto.

Ieri facevo legna per l’inverno. Una fatica immane tirare giù alberi di 15 metri (ho chiesto alla Forestale quali posso abbattere e quali no), farli a pezzi, poi spaccare i ciocchi, trasportarli, metterli al riparo. L’anno scorso avevo la legna verde, non bruciava nel camino. Quest’anno ho costruito una legnaia per tenerla all’asciutto e la taglio ora, dunque oltre due mesi prima di quando mi servirà. Speriamo che basti. In ogni caso alle 6.30 ero già nel bosco e stavo già sudando come una spugna. La fatica era grande, scivolavo sull’erta, c’erano i rovi, la motosega perdeva progressivamente il filo… Mi chiedevo perché fossi lì, cosa stessi facendo. Non era meglio comprarla la legna? Farmela portare a casa comodamente?

La mia casa non ha riscaldamento. Solo camino e stufa. Per scaldarla ho calcolato che mi servano almeno 5 tonnellate di legna. Il costo si aggira sui 900 euro. Troppi per me. Ecco perché devo tagliarmela da solo. Ma non è solo questo, e l’ho capito la sera. La schiena era a pezzi. Le mani anche. Le gambe, a fare su e giù per il dirupo, non ne parliamo. Ero veramente stanco, ma tanto,come non ricordavo di essere mai stato stanco. Mi sono buttato sul divano dopo la doccia, e pensavo: “quando brucerò ogni singolo ciocco di legno, questo inverno, mi ricorderò di questa giornata. Accendere il fuoco avrà decisamente un altro sapore”.

Ecco. Credo che questo abbia a che fare con quello che sostiene Lombardi Vallauri. Dovermi procacciare la legna, dover fare fatica, collegare il ricordo di una splendida giornata nel bosco, faticosa, a quando sarò sulla poltrona davanti al fuoco a leggere… questo credo che faciliti il processore computerizzato, lo mandi meno in tilt. Ero stanco, ma non ero alienato.

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Una buona notizia

Sta per uscire un nuovo quotidiano. Evviva la democrazia. Si chiamerà “Il Fatto Quotidiano” e non avrà padroni politici, né istituzionali né partitici, e neppure finanziamenti pubblici o privati in grado di orientarne il lavoro. Per una volta, quel che questo giornale sarà potrà essere del tutto imputabile alla sua redazione, al suo direttore (Antonio Padellaro).

Qualche giorno fa Lorenzo Fazio (Chiarelettere, socio della società editrice del nuovo quotidiano) ha indetto una riunione allargata per assumere opinioni e consigli, commenti e pensieri, da parte di un gruppo di intellettuali, scrittori, giornalisti. Questo gruppo si riunirà periodicamente, insieme alla redazione, per fare “il tagliando” al giornale, per avere un confronto, e molti dei suoi componenti faranno anche da collaboratori, se lo vorranno. A questo primo incontro c’erano Curzio Maltese, Furio Colombo, Sabina Guzzanti, un paio di magistrati antimafia, Marco Travaglio, Peter Gomez, Pino Corrias, Oliviero Beha, Bruno Tinti, Rodolfo Brancoli, Paolo Flores D’Arcais, Carlo Freccero, Antonio Pascale e molti altri. Una trentina in tutto. C’ero anche io, invitato come gli altri a dare un possibile contributo e domani, perché no, a collaborare.

Bell’incontro. Una riunione ordinata, ben organizzata, per nulla un happening di briosi intellettuali o di frondisti barricaderi. Una riunione di lavoro con una prolusione di Padellaro e Fazio, l’illustrazione di obiettivi, linea (“la Costituzione”), layout, e poi commenti e interventi a raffica, privi di moderazione contenutistica, solo d’ordine. Grande ottimismo in sala, un ottimismo realista, che non si fa illusioni, consapevole del valore di questa iniziativa nel panorama del Paese. La piccola redazione (come l’ha definita Carlo Freccero: “la sporca dozzina”) sembra motivata, vogliosa di partire. Insomma, una bella scena.

Tra le cose che ho apprezzato di più, la meno politica, la meno centrale apparentemente: un richiamo al linguaggio della scrittura, fatto da Marco Travaglio. Più o meno suonava così: “In vista dell’uscita del Fatto Quotidiano, il giornale che ho contribuito a fondare (…) affiggerò in redazione l’elenco delle frasi fatte e luoghi comuni che mi danno l’orticaria sugli altri giornali e che non vorrei mai trovare sul nostro. La cosa che più detesto sono i titoli contenenti espressioni sciatte del tipo “è polemica”, “è bufera”, “è scontro”, “è guerra”, “è giallo”. Quest’ultima, soprattutto se applicata a qualche delitto irrisolto, la trovo di un raro umorismo macabro, ovviamente involontario. “Trovato cadavere in un fossato, è giallo” fa immediatamente pensare a un caso di itterizia. Un’altra parola che abolirei volentieri dal vocabolario della stampa è “emergenza” (…) emergenza immigrazione, emergenza criminalità, emergenza incendi, emergenza stupri (…) e così via. (…) A ogni escalation di delitti si dice invariabilmente “emergenza sicurezza” o “emergenza criminalità”, come se fossero sinonimi: ma la sicurezza non è un’emergenza, semmai lo è l’insicurezza.

Chi scrive male pensa male e vive male, potremmo dire. Questione non collaterale. Primo punto per chi lavora in un giornale: saper scrivere, evitare i luoghi comuni, dribblare la banalità, rendere accattivante e scrivere correttamente una notizia. Poi viene tutto il resto, che non è poco. Ma già questo mi sembra un ottimo avvio. (leggi il blog che anticipa l’uscita del giornale).

A questo giornale, come a ogni altro, più che a ogni altro, non bisognerà fare sconti. Mi dissocerò da qualunque giustizialismo, da qualunque moralismo, da qualsivoglia accanimento, da ogni minoritarismo para-rivoluzionario, dalla pur minima faziosità. Certo è che, come diceva Enzo Biagi, “in questo Paese, per non essere di parte, bisogna essere estremisti”. Suppongo che la migliore garanzia sia quella data da Padellaro nel suo intervento: “La nostra linea, la linea del Fatto, sarà la Costituzione”. Mi sembra una garanzia più che convincente. Almeno per chi ritiene l’Italia un Paese democratico nato dalla resistenza al totalitarismo e regolato da un’ottima (perfettibile, ma ottima) carta dei valori comuni.

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Notizie

Mike, in 15 mila per l'addio in Duomo«Era buono, unì l'Italia»-Foto|Video

Il nostro Presidente del Consiglio riceve il Primo ministro spagnolo. Uno ha disertato gli impegni di governo e internazionali per intrattenersi con delle prostitute. L’altro è un paladino delle pari opportunità. Italia e Spagna a confronto.

Il Ministero delle pari opportunità ha lanciato una campagna pubblicitaria istituzionale contro la violenza sulle donne, dunque sulla dignità delle donne. Che tempismo, in pieno scandalo escort. Il Presidente vede la televisione, speriamo che gli spot lo ispirino.

Mike Bongiorno nel frattempo è morto. Era simpatico. Per lui funerali di Stato al Duomo di Milano. Nella civiltà della televisione, i presentatori sono gli officianti di un rito istituzionale. A commemorarlo, un impresario televisivo, con la giacca del Presidente del Consiglio. Giornalisti morti al fronte, medici che danno la vita, magistrati uccisi dalla mafia, non hanno avuto lo stesso trattamento.

Alla France Telecom, massima azienda telefonica d’oltralpe, si è suicidato un altro dipendente. Il ventitreesimo in 18 mesi. Tutti per ragioni collegate al licenziamento in atto di 23mila persone.

L’altro ieri un operaio è morto alle cartiere Burgo. E’ rimasto sotto un’enorme bobina. Non sono informato della tipologia di funerali prevista.

Queste notizie si associano male col mio umore recente. In mare, fino a qualche giorno fa, non vedevo telegiornali e non leggevo quotidiani. Forse è anche per questo che stavo meglio.

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Manager ignoranti e truffatori

Può darsi senz’altro che io sia molto nervoso, in questi giorni. Può darsi anche che ultimamente non sopporti cose o persone che generalmente tollero o mi faccio andare a genio con calma. Però, e credo a buon diritto, sono furibondo con il signor Vodafone, il signor Telecom e tutti i loro accoliti.

Non basta che le tariffe siano così alte da spingere l’Unione Europea e l’antitrust a redarguire, intimare, ordinare abbassamenti ed equiparazioni… Non basta che quando ricarico la mia scheda Alice per internet debba stare attento a circa 12 ore in cui (chissà perché…!!?) la ricarica funziona già ma non ancora la promozione, e la mia tariffa risulta triplicata (un furto, una truffa!!!)… Non basta che per parlare con un call center bisogna stare al telefono per ore… Non basta che per la portabilità del numero ci vogliano mesi, e che si debbano subire mille subdoli tentativi di dissuasione a lasciare il proprio operatore a favore di un altro… C’è di più! C’è che il telefono non funziona.

Non l’oggetto, il device, ma la rete!!! Su tre ore di treno tra Liguria e Lazio (non a Eboli o a Capo Passero o a Linosa, in Centro Italia) ho dovuto ricollegarmi 23 volte. Non 23 per dire, proprio 23!! Lo leggo nel report della mia scheda. Ma non è tutto. Stimo che metà del tempo io sia rimasto senza copertura. Almeno metà del tempo. Non c’è segnale, capite? Qualcuno che doveva coprire il territorio con il segnale Telecom, nella fattispecie, non l’ha fatto, l’ha fatto male. Io però pago la tariffa intera, non a macchia di leopardo…

Quando vedo una pubblicità (una delle trecentomila a cui sono esposto ogni giorno) mi sento proprio un coglione. Il mondo è tutto intorno a me, e io non me ne accorgo. Penso perfino di non avere il segnale… Che imbecille che sono. Ma brutti truffatori ignoranti che non siete altro, ma chi volete prendere per il culo?! I vostri servizi funzionano male, i vostri hardware pure, il vostro segnale, che dovrebbe coprire il 98% dellas popolazione o del territorio o di chissà quale altro parametro studiato negli uffici legali, non copre me! Non copre un cazzo di nessuno!! A Milano, dentro casa, in centro, io non avevo il segnale, ed estate o inverno che fosse dovevo telefonare sporgendomi dal balcone. Ma che tutto intorno a me!!!! Non c’è niente intorno a me, a parte voi, con le vostre truffe mediatiche, le vostre pubblicità da minus habens. Ma chi è il vostro comunicatore, chi studia il target degli italiani, chi decide le vostre strategie? Anzi, lo so chi è… Lo conosco pure di persona… Vergognati!!!!

E’ solo una questione di tempo. Prima o poi mi indigno sul serio, mi rimetto a lavorare h24 e lo faccio incazzato davvero. Apro un ufficio per fare class actions a nastro, a raffica, a tutti questi manager incapaci, velleitari, ignoranti, che girano con gli autisti, spendono carrettate di denaro degli azionisti, rilasciano ponderate dichiarazioni ai media senza dire mai niente di vero, o che sciorinano curricula con dentro master in bisness etc, e che dovrebbero invece tacere, restituire parte saliente del loro stipendio, perché se questo è il risultato del loro lavoro occorre che si vergognino. Io ho navigato per le isole Cornati, che questi signori non sanno neanche collocare su una mappa, dove non c’è anima viva, e avevo l’UMTS al massimo del segnale!! Poco fa, tra Livorno e Roma, il segnale è sparito un mare di volte. E in quella zona non c’è un tunnel, non c’è una montagna…

Perché non abbiamo avuto l’illuminismo e la rivoluzione francese nel nostro Paese? Perchè?!? Perché siamo diventati così passivi, proni? Ci costringono a diventare brutti (perché così innervosito ora io sono brutto, perché reagisco e reagire è brutto), perché? Perché però non alziamo mai la testa, perché non diciamo Adesso Basta!? Perché ci beviamo che il mondo è tutto intorno a te, e invece non c’è? Che diavolo ci sta succedendo?

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Farsi forza

034 - 1

Sono giorni di pensieri, pensieri duri. Autocritica e spietato realismo. Serve molta forza per la realtà, e non c’è autocritica senza le cose vere. In generale, nei momenti in cui si riesce a essere spietati con se stessi, si vedono le immagini per come sono. Non è utile quel che pensavamo, quel che crediamo sia accaduto. La sceneggiatura, nel nostro film, è sempre  più bislacca di come sembra sul grande schermo. Intenzioni, sogni, speranze, sono assai spesso appellativi nobili per mistificare i nostri bisogni, le nostre miserie, i tratti non lavorabili della nostra personalità. Ecco perché duri, ecco perché giorni lunghi e duri…

Un’amica, ignara di ogni cosa, mi invia un brano che avevo scritto e pubblicato sul blog che non esiste più. Curiosa coincidenza. Mi rimanda ora, senza sapere, un menù di principi in cui credo, come fosse un anulare di salvataggio nel mare. Oppure un calcio alle dita che tentano di afferrare la barca. Chissà.

Come che sia, ripubblico volentieri questo brano. Non l’avevo salvato e mi pareva fosse andato perduto insieme alla burrasca di parole e immagini del vecchio blog. Il mare l’ha invece restituito alla spiaggia.

“Devi ricordarti del buon umore. Devi affiggere dei biglietti nelle stanze, nei corridoi, dove c’è scritto “ricordati dell’altro giorno, quando ti veniva da ridere per quel bicchiere che è caduto per terra” oppure “pensa al 12 luglio 2006, quando fischiettavi passeggiando nel viale. Devi fare in modo che la pre-visione non ti tocchi, che il pensiero del futuro non prenda il sopravvento, e soprattutto che le circostanze del momento non possano troppo sul tuo spirito. Essere d’aria e di mare, questo sei. Il tuo mondo è il pensiero, il sogno e la creazione. Sei fatto più di questo, in grande parte, e basta ricordatelo di frequente per scacciare i cattivi pensieri. Segnati ogni cosa che possa rammentarti la levità di certi momenti, il piacere di un’attesa, l’emozione di un progetto, l’onda ventresca che ti attraversa quando ricevi un’attenzione. C’è molto più dell’universo in questi spazi che nel vuoto della commiserazione e del pianto.

Ricordati anche di dormire. Troppo spesso te ne dimentichi. Hai sempre considerato l’incoscienza del sonno come una privazione da evitare con ogni mezzo. La soddisfazione di non dormire è transitoria e menzognera. Del riposo hai bisogno perché l’umore viene dall’energia.

Non desiderare nulla come necessario al tuo benessere. Appassionati, che un uomo senza passione è come una pelle scuoiata dalla carne, ma fallo col garbo di chi non forza nulla, sa accogliere, sa sorprendersi. Ogni cosa troppo attesa delude se manca e delude se viene. Dura l’istante tra la sua assenza e il suo avvento.
Chiudi ogni partita aperta, perché anche le controversie tolgono energia al buon umore. Non dilungarti, prendi il coraggio che serve, vai, racconta la verità e descrivi gli avvenimenti. Poi, colpisci il filo con l’accetta e lascia in terra i brandelli della contesa a cercarsi l’un l’altro inutilmente.

Parla sempre dei fatti. Riconduci ogni cosa a quel che accade. Il sogno è sovrano, ma non bisogna confonderlo con l’illusione. Quel che c’è veramente non manca mai di manifestarsi, e se non lo fa, vuol dire che esiste solo nell’utopia. Il buon umore viene in gran parte dalla concretezza.

Occupati di costruire meccanismi e forme. Lega legni tra loro, fissa ardesia a rame, pietra a rovere. Nella ricerca di questi incastri spendiamo le ore migliori, e al termine abbiamo di fronte qualcosa che non c’era: una creazione.
Scrivi, perché le storie che ti piacciono puoi viverle e scriverle, e questo vuol dire avere molte vite. Inoltre, ricordati che effetto ha su di te creare una storia: è come fare l’amore.

Quando sei solo ripensa a chi ha detto quella frase, quel giorno, al suo volto ingenuo e sincero. E’ quanto di meglio tu abbia visto e non lo devi dimenticare.
Ogni uomo o donna che incrocerai per la via sono una festa, accoglili con lo stupore che meritano. Chissà cosa porteranno alla tua vita! Poi ricordati che sei un ottimista, e tutti gli ottimisti sovrastimano gli incontri. Se ti guardi indietro capisci cosa voglio dire.

Non cedere mai alla promiscuità. Un essere, per mantenere il buon umore, deve poter alternare solitudine e moltitudine, in modo da poterle desiderare ogni volta che non ci sono. Un uomo deve avere una casa, e deve poterci andare quando vuole.

Fai gli esercizi per la schiena, tutti i giorni. E fai anche gli altri esercizi, come restare seduto il più possibile pensando solo cose positive. Non abbatterti se non riesci a superare che pochi secondi, all’inizio. Pensare alle cose positive è un percorso lungo. Non mollare. Il buon umore viene dai buoni pensieri.
Nutriti bene. Ogni buon cibo è un’opera d’arte che dura un istante. Il buon umore viene anche dall’ingestione di opere d’arte.

Non prestare denaro. Primo perché non ne hai abbastanza, e secondo perché chi te lo chiede, generalmente, potrebbe prendere molto di più da te, e ha scelto di chiederti solo del denaro. Chiediti perché lo frequenti, se contribuisce al tuo buon umore, e domandati cosa è andato storto nelle cose vere in cui credi.

Vai a trovare gli amici. Anche viaggiare verso un amico contribuisce al buon umore. Chi non cerca il buon umore venendo a trovare te, è un bene che non giunga a casa tua. Il tuo amico, poi, sarà lieto della tua visita, e ti penserà con dolcezza. Il buon umore viene anche dalla dolcezza dei pensieri degli altri.

Soprattutto, ricordati di appendere i biglietti nelle stanze e nei corridoi. Fai una bella lista di momenti in cui hai vinto il tedio e la tristezza e scrivili sui cartelli. Quello è il menù più semplice e concreto per il pranzo con la gioia. Cambiali spesso, scrivine altri o cambia loro posizione, che non ti vengano a noia. A chi ti chiede cosa siano, spiega che stai scrivendo un racconto, che sono solo appunti. Non è bene vantarsi di essere stati felici, anche per brevi istanti.”

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Simboli

 

In un’indagine sui personaggi-simbolo della nostra epoca, occorrerebe inserire anche Marcello Lippi, il commissario tecnico della nazionale di calcio. Tralascio che suo figlio è stato processato (e credo assolto) per le questioni emerse con calciopoli, e soprattutto che faceva (e fa, credo) il procuratore di giocatori di calcio. Come se il figlio del Ministro della difesa vendesse armi, all’esercito. Ma queste sono quisquilie. Il punto è che Lippi è sempre nervoso. 

L’uomo pienamente attivo nella nostra società, l’uomo-simbolo dei nostri tempi, è sempre infastidito, polemico, critica i servizi, il giudizio degli altri, lo Stato, i media, come se avesse ben chiaro che il mondo dovrebbe funzionare diversamente da come è, dunque come ha in mente lui. L’uomo-simbolo della nostra società è infastidito che il mondo non lo esalti, che non colga la sua genialità, che non lo osanni, tanto quando fa bene come quando sbaglia. L’uomo-simbolo non ammette i suoi errori, anzi, di errori non ne fa, e pretende che il semaforo diventi verde quando sta passando con la sua automobile. Qualcuno mi ha detto, recentemente, che io sono così. Mi auguro proprio che non sia vero…

 Lippi invece è certamente così. Se lo critichi si indurisce. Mai che dica “abbiamo giocato proprio male. Sono deluso dal mio lavoro”. No, lui parte subito all’attacco, sostiene col viso e le parole che chi lo sta per intervistare, salvo prova contraria, è un pericoloso contestatore, mosso da qualche forma di malanimo, un oppositore malmostoso. Lippi, come l’uomo-simbolo, è sempre sulle difensive, pensa sempre che ci sia un complotto contro di lui. Mi ricorda qualcuno…

 Marcello Lippi è proprio una brutta persona, almeno da quel che si vede su giornali e tv. Stasera la sua squadra ha giocato male e vinto con due autogol degli avversari. Inutile aspettarsi un sorriso e una strizzatina d’occhio a ringraziare la fortuna. “Abbiamo segnato due gol” ha detto “le autoreti sono anche il risultato di un’azione che mette in difficoltà l’avversario”. Che pena…

Lippi non mi piacerebbe come marito, se fossi una donna, né come padre, né come amico. Mi spiace che la nazionale di calcio giochi sempre molto male (anche quando vince il mondiale), ma soprattutto mi spiace che Lippi sia il ct della nazionale. Preferirei che un uomo così in vista fosse umile, bravo, sorridente, si comportasse con stile, avesse senso critico. Uno alla Ericcson, alla Liedholm, alla Ancelotti. Non foss’altro che per una questione di simboli.

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