Poi si apre

Stamattina sveglia alle 6.00, come sempre quando scrivo un nuovo libro. Caffé nell’alba, giretto tra le piante, poi al lavoro. Ho scritto fino a mezzogiorno, cosa rara, di solito finisco alle 9.30, massimo alle 10.00. La casa era immersa nel silenzio. Poi cucinato, ascoltato le notizie, steso al sole. Poi al lavoro per organizzare il raid a vela di questa estate. Ora chissà…

Riflettevo che oggi mi parrebbe assurdo correre per la città, stare nel rumore. Io torno volentieri a Milano, c’è un pezzo della mia storia contemporanea lì. Però qui si sta mezzi nudi, sempre scalzi, coi piedi sul pavimento di legno, o nell’erba. Intorno c’è silenzio, qualche rumore della campagna, quelli del bosco. Come ho fatto a scrivere in ufficio dalle 6 alle 9 tutte le mattine, per così tanti anni?

Gli americani dicono “Best can be”. Al meglio non c’è limite. Si può trovare armonia più facilmente nel mondo in cui ci si riconosce. Ho letto dei post, recentemente, qui, in cui qualcuno diceva: “non è necessario cambiare, andare altrove, si può fare downshifting anche stando dove ci si trova, anche lavorando”. C’è del vero in questa affermazione. Il cambiamento avviene dentro, da dentro, verso l’interno. Però capisco sempre meglio il senso, il valore del silenzio, della quiete, della solitudine, della presenza esclusiva di ciò che abbiamo costruito, che ci rispecchia, che ci fa sentire integrati.

Dai nostri mondi dobbiamo sempre uscire, ma dobbiamo averli, per poterci rientrare. Se non uscissimo ci chiuderemmo, ci impediremmo di incontrare ciò che siamo, ovvero le persone che ci riguardano, che sono altrove, che non incontreremo per caso. Tuttavia, non si esce se non stando in un proprio mondo, prima, in modo duraturo e equilibrato. Prima si fa la casa, poi si apre la porta e si esce.

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84 pensieri su “Poi si apre

  1. Pingback: pizza angelo

  2. Io so cosa vuol dire non avere soldi-
    Lo so perchè lo ho sperimentato.
    la spesa con il conto fatto prima per non far brutta figura alla cassa. Le bollette in scadenza prima che accreditino lo syipendio… la mensa dei bambini da pagare ecc… Poi, grazie alla tenacia di mio marito, alla sua voglia di studiare anche di notte, di migliorarsi, anche alla mia fantasia perchè no, le cose sono andate meglio. Ciò non vuol dire avere la casa al mare, ma aver mandato all’università tre ragazzi. Uscire a mangiare una pizza quando ti iene voglia senza doverlo programmare per tempo. Comperare la crema per le mani o fare la gita fuori porta. Per questo io ho un grande rispetto dei soldi, ma non ne sono schiava, mi permettono anche di vedere cose belle, di andare a teatro, di andare a visitare città lontane… io credo che il problema della schiavitù dal debnaro, sia il problema di chi è schiavo prima ancora di altre cose, di chi non sa quali siano le cose che davvero contano nella vita. Risolto questo, educati ad amare il bello il buono l’essenziale, il debaro diventa un mezzo.
    O no’

  3. Simone,
    non vorrei essere fraintesa. Il mio rapporto con il denaro è di vitale necessità, ovvio, ma questo non vuol dire che io ci viva bene. Il denaro è collegato al lavoro che a sua volta è collegato alla qualità della vita. Ora. Meno soldi ma più qualità. Io ci sto. Cerchiamo però di parlare un linguaggio reale, perchè spiritualmente parlando posso anche liberarmi dall’ossessione dei soldi, ma materialmente è una scelta che non posso compiere. Io son d’accordo su tutto quello che dici, così come son d’accordo su ciò che dice Exodus. Non credo che il denaro in grosse quantità produca benessere spirituale, ma sicuramente materiale. E mi sembra di ricordare che chi ha la pancia piena può dedicarsi con maggior attenzione ai quesiti dello spirito. Io posso anche credere (come credo) che i soldi non sono la ricetta per la felicità (ovvero che si può essere felici in molti modi), ma poi ho sempre quelle spese lì che mi riportano ad una dimensione umana e terrena. Ma è inutile che stia qui a cantarti il solito ritornello. Forse non riesco a capire fino in fondo questo punto di vista perchè l’osservo da una sola angolazione. Però (domanda) se come spesso ho letto nei vari commenti, i soldi sono un mezzo e non un fine, allora non possono essere così nocivi come un frutto andato a male…Insomma, tutto dipende dal soggetto. A me i soldi non producono felicità per il semplice motivo…che non ne ho. Dovrei averne per dirti che in realtà mi mancano molte altre cose. O dovrei fare come dite voi, smettere di pensare che siano così importanti. Ma non sono io a dargli questa importanza!!! L’importanza è intrinseca!!!!!!! Sbaglio? Immagino di si, ma è dura fare i conti a fine mese e dire a se stessi “stai bene così, a che ti servono più soldi??”

  4. Ciao Exodus,
    ho letto con avidità il tuo lungo post e se vorrai continuare la discussione ne sarò felice. Lascio qui il mio indirizzo e sarò comunque lieta di scambiare opinioni con chiunque ne abbia voglia: giuliaetgiulia@gmail.com

    Veniamo a noi. E’ bello sentire che qualcuno ci comprende e prova (o ha provato) le nostre stesse sensazioni. Io, in effetti, sono ossessionata dai soldi. Dico davvero. Ci penso continuamente. Penso a quanto mi costano, perchè ovviamente hanno un prezzo. Penso che vorrei averne tanti o nessuno ed uscire quindi da questa via di mezzo che fa di me…una mezza persona. Ma sono pienamente d’accordo con te quando prendi le tue distanze da tutte quelle persone “che stanno meglio”. A me succede di continuo, a partire dai miei colleghi di lavoro che hanno il contratto rinnovato o addirittura indeterminato. Si, li guardo e mi dico “Giulia, la verità è che il solo pensiero di passare qui tutta la vita, semplicemente ti fa orrore”. Si, mi fa orrore e non li invidio per niente. Eppure non sono felice, nonostante questa mia consapevolezza interiore. Mi sento, forse con un po’ di presunzione, un gradino più in alto, verso un’illuminazione che a loro non li sfiora neppure. Il fatto è che molte persone non solo accettano la loro routine, ma non vogliono neanche farne a meno. Io, semplicemente, non sono così. Io, semplicemente, mi pongo delle domande. Troppe, perchè non ho una risposta per tutte. E ti dirò, direi volentieri Rinuncio! a tante cose. Ad alcune ho già rinunciato. Ma non mi piace affatto la rassegnazione di stampo cristiano, in parte perchè sono profondamente agnostica ed in parte perchè non sopporto alcun tipo di fanatismo religioso. Inoltre il cristianesimo non ha nulla da insegnare considerando che si è felicemente radicato su altre religioni. Semmai Gesù aveva qualcosa da insegnare all’umanità, infatti e non a caso, è stato eliminato. (Chiusa parentesi). Vorrei tuttavia conoscere il tuo personale percorso spirituale che ti ha permesso di svincolarti dalle necessità legate ai soldi. M’interessa, davvero. Per quanto riguarda la vacanza…purtroppo per me viaggiare è un sogno, vorrei girare il mondo che ho sempre letto nei libri, visitare luoghi ed entrare in contatto con realtà locali. Questo, davvero, mi manca. Ma anche la sensazione di essere straniera in un luogo lontano dalle mie abitudini e forme linguistiche. Non parlo di fare il turista, ma di viaggiare sul serio. Questo, ovviamente, non è possibile in quelle due settimane di ferie a disposizione. Quindi a me…l’Egitto manca, per citare il tuo esempio. Mi manca ciò che non conosco. (Chiusa parentesi).
    Per terminare voglio riportare qui la tua frase, nella quale mi sono rispecchiata profondamente: “Io voglio dire “Rinuncio!”. Non perchè non ci arrivo, ma perchè non mi interessa e lo so. Nel mio intimo lo so. E non mi interessa neppure la gente che mi circonda, il modo in cui vive, perchè non è la stabilità economica a creare veri rapporti, belli, non è quello… Troppo lungo da spiegare…”
    Hai ragione, troppo lungo da spiegare. Ma nel mio intimo, lo so anch’io.

    • Giulia,

      lo svincolamento dai soldi è il prodotto di una semplice proporzione. Non scomoderei l’altissimo e neppure la nostra spiritualità (non troppo almeno). Se i denari (pensarci, produrne, accumularne, spenderne) producono la felicità (tua) allora sono cosa santa e giusta. A me (non mi piacciono le generalizzazioni assiomatiche, non tengono mai conto della diversità), ame, dicevo, non producono questa gioia. Non impattano sull’equilibrio in modo favorevole, anzi. Dunque, ho cambiato lo schema. Se la presenza delle varie funzioni collegate al denaro fosse stata motivo di forza, gioia, equilibrio, salute, benessere, avrei cercato di farne, di proseguire, di perseverare. Il punto dunque è semplicemente esistenziale, psicologico. Quello che produce benessere, il cui prezzo vale la candela, va fatto, il resto va tagliato. Il tempo, l’eneriga, i limiti connessi con il denaro, generalmente, rendono negativo il rapporto vita-denaro, ovvero costano più di quello che producono. Tra i costi, naturalmente, va messo anche che il nostro percorso spiriturale, esistenziale, psicologico, è fortemente limitato dall’azione necessaria per lavorare-produrre-consumare. Il fallimento del sistema capitalistico è tutto qui: se chi non accede ai benefici del denaro fosse arrabbiato e volesse cambiare, sarebbe del tutto normale. Ma il problema è opposto: chi ha accesso ai benefici generati dal denaro vuole cambiare, farne a meno il più possibile (del denaro e di ciò che costa), mentre chi non ha accesso a questi benefici livede come benessere e li vuole.
      Per smettere di pensare al denaro occorre rivoluzionare la scala dei valori, mettere al primo posto ciò che deve avere maggiore ruolo (per sé, ognuno diversamente), e far retrocedere chi deve retrocedere. Se per te il denaro è al primo posto, occorre chiedersi se è corretto, se tutto quel ruolo produce l’effetto atteso, e perché, invece, ha un ruolo così rilevante se non lo produce. Tu mangeresti una cosa andata a male, che ti dare di stomaco e ti fa venire un’intossicazione? Immagino di no. E allora perché mangi il denaro, che ti intossica la vita?
      In tutto ciò il fatto di averne poco o tanto non ha alcun peso. Neppure se hai fame, mangi un cibo marcito. Ne cerchi uno ancora mangiabile. ciao!

  5. Ciao Giulia,

    comprendo ciò che scrivi è il classico “bello parlare ma poi, nella realtà…”. Non posso dirti niente se non che l’esperienza di vita, se segui un percorso di crescita che io definisco spirituale, non risolve questi problemi… li elimina proprio. Quindi finchè cerchi una soluzione non la trovi perchè non esiste. Ma questo già l’hai sperimentata visto che anche tu sei una che sbatte contro i muri. Quello che scrivi è quello che avrei scritto anni fa. E le tue esperienze lavorative sono uguali alle mie. Solo che io sono stato licenziato mentre mi trovavo in Alta Savoia, Francia, e sono rimasto davvero senza punti di riferimento. Dopo due giorni dal mio licenziamento ho caricato tutti i miei averi su un auto e sono partito (meno male che avevo poca roba!). Esperienza dolorosissima. Ma se la fai una volta poi è meno dura ripeterla.

    A proposito: io per non tenere la “bocca chiusa” ho passato mesi d’inferno durante il militare. Lì ho capito che “non parlare” è invece una cosa da saggi. Proverbi cinesi: “Chi sa non parla”; “Qualunque sciocco con la bocca chiusa può passare per saggio”, etc… (continuo a sbagliare ancora, seppure meno…).

    Cosa è cambiato per me? Sono cambiato io. Ho visto le persone “fortunate” ad avere un lavoro e la loro vita non mi piace. Non la voglio. Non mi interessa. Non provo rabbia o frustrazione, ma se la vita è quella, allora è davvero poca cosa. Talmente poca che non vale la pena di lottare più di tanto. Lo so che la mancanza di denaro e le preoccupazioni offuscano la mente. E forse, in questi casi, si può solo avere pazienza e navigare a vista, cercando il primo approdo sicuro. Ma, soprattutto, in questi momenti, è importante coltivare quel tipo di pensieri che fanno a meno dei soldi.

    La tua “condizione di schiavitù” è tale se tu ritieni che lo sia. Io non credo di “accontentarmi”. Sto semplicemente vivendo il tipo di vita che è stato preparato per me nel miglior modo possibile. Certo, potrei sognare una vita da miliardario, oppure una vita con qualcosina in più, ma vuoi sapere una cosa, non c’è differenza tra le due: sono entrambe speculazioni ugualmente lontane dal mondo reale. Ugualmente illusorie. E io voglio vivere, non illudermi.

    Io voglio dire “Rinuncio!”. Non perchè non ci arrivo, ma perchè non mi interessa e lo so. Nel mio intimo lo so. E non mi interessa neppure la gente che mi circonda, il modo in cui vive, perchè non è la stabilità economica a creare veri rapporti, belli, non è quello… Troppo lungo da spiegare…

    “Rinuncio!” non è una parola, è un vero esorcismo! Non a caso, è la base del Cristianesimo, la sua formula battesimale (“Rinunci a…”), da duemila anni! Dico duemila, se non fosse efficace l’avrebbero cambiato, no? Potevano farlo, nooo perchè funziona! La prima formula non è “voglio”, è “rinuncio!”. Chi sa “rinunciare” è padrone della propria vita. Chi non sa farlo ne è succube. Anche se avesse molto, tutto, sarebbe sempre succube.

    “Quante cose interessanti di cui non ho alcun bisogno” (Socrate al mercato).

    Il “non pensare ai soldi” non è un’alienazione. Alienazione è averceli sempre in testa, per un motivo o per l’altro. Non pensarci è libertà. Non vuol dire che sia facile, ma che occorre ridirezionare i pensieri. Non perchè sei costretto, ma perchè lo vuoi. Anche se non avessi problemi economici, farlo perchè tu sei questo (se lo sei…).

    A proposito del “guardare chi sta peggio”. Ho svolto una tesi di laurea sui sistemi di sicurezza sociali. Il primo problema che si è presentato è stato quello di definire la “povertà”. Quale criterio? Morire di fame? No, non muore quasi nessuno in occidente. Mancanza di un tetto? Troppo riduttivo, statisticamente insignificante, etc… E allora quale criterio viene utilizzato? Quello “dell’esclusione sociale”, ovvero il non potersi permettere quello che gli altri possono permettersi. Questo definisce la povertà nel mondo scientifico. (a proposito, con 700 € al mese credo che Simone rientri tra i poveri, ma devo controllare). Capisci? E’ tutto un confronto. E’ un fatto scientifico, non psicologico scegliere chi “guardare” per definire il proprio livello di ricchezza o povertà. Non è “accontentarsi”, è proprio nella realtà delle cose scegliere “chi” guardare.

    E poi, io ci sono stato con “chi sta meglio”… alla larga, via da me maledetti nel fuoco eterno, portate sfiga! Appena li vedo mi tocco i maroni, vogliono ridurmi come loro, a parlare sempre di fesserie purchè costino qualcosa! E sapessi che bocconi ingoiano loro! Sai qual’è la differenza? Che questa gente non si scopre e ha una buona maschera di salute e felicità, la portano in giro e appena entrano in casa casca a terra e il risultato è deprimente, sconvolgente. Altro che mister Hyde. Se hai fatto corsi di bioenergetica li scopri facilmente: puoi simulare l’espressione del viso e le cose che dici, ma l’espressione “corporea” no. Il corpo si porta appresso le vere realtà della vita. Se sai leggere come diventa il loro corpo, sai anche cosa vivono in realtà le persone “normali”, che magari il denaro ce l’hanno… ma solo quello. Alla larga!

    Ah… non faccio “vacanze” comunemente intese da una decina d’anni, forse di più. Mai sentito la mancanza. Ogni giorno per me è una vacanza. Ogni giorno mi ritaglio il tempo per le cose che amo. Gli Hobbies, gli amici, le mie torte, etc… Non vedere per sette giorni l’Egitto non mi procura alcuna carenza. Se voglio, in un giorno, mi reco in un’altra regione per vedere le mie nipotine e giocare con loro, poi rientro, oppure mi ospitano, spendo pochissimo. Riflettevo che non ho bisogno di più giorni di vacanze o di soldi… voglio più ore per me, tutte per me! (A proposito, il vicino mi ha regalato una bicicletta, posso abbronzarmi senza stare fermo come una lumaca adesso!!!).

    “Il tempo è denaro” credo sia un detto inventato da Thomas Edison. Avendo inventato la lampadina, consentito il lavoro notturno, abbandonato i cicli naturali di luce, spingeva affinchè le fabbriche restassero aperte più tempo, per vendere lui più lampadine!

    Giulia, capisco benissimo il tuo stato d’animo. Non ci sono soluzioni, tranne che di accettare quello che vivi, e coltivare pensieri sereni. Aspettando che passi la bufera. Se ti può essere utile: l’ultima volta che mi sono trovato drammaticamente a corto di soldi, dopo un momento di stress insopportabile al limite di rottura e conseguente accettazione del fatto che stavo vivendo… ho vissuto un momento di grande pace quale raramente ho poi ritrovato.

    Ciao!

  6. Antonio,
    non sono d’accordo. Vorrei precisare che non ho mai parlato di mancanza di sogni da realizzare, ma di passioni che possano offrire una forma di sostentamento. A me piace fare molte cose, ma nessuna mi toglie il sonno. E non per questo mi sento di avere un grosso problema. Anzi, il problema è dato dal fatto che non ho tempo di coltivarle come vorrei. Sicuramente è colpa mia, del percorso che ho scelto, della scarsa lungimiranza, dell’applicazione incostante nel tempo…ma questo non vuol dire che io non senta la necessità di dire basta, di essere stanca di fare un lavoro d’ufficio che non mi restituisce niente di quello che si prende. Qualsiasi cosa richiede un investimento in tempo e denaro (sempre il denaro…). Non ci trovo nulla di triste in una persona che invece di andare a lavoro vorrebbe andare a pesca, per citare il tuo esempio.
    Sul concetto del fare economia, invece, mi trovi pienamente d’accordo.

    Exodus,
    si, è vero, si parla sempre di soldi. Soldi, soldi, soldi. Come spenderli, come ammucchiarli. Ricordo, da un mio esame di filosofia del linguaggio, che la metafora “il tempo è denaro” è del tutto sconosciuta presso alcune popolazioni. Noi, invece, l’abbiamo assimilata e fatta nostra. La soluzione, come la proponi tu, è quella di godersi il godibile. Ovvero, dare importanza alle cose che contano (per noi), senza affliggersi troppo su quello che ci manca e che non possiamo avere. Senza pensare troppo ai soldi, anzi, staccandoci mentalmente (ma solo mentalmente eh!) dal legame indissolubile che ci tiene soggiogati. E ti dirò, che in parte funziona anche. Io sono una di quelle persone che fino a poco tempo fa si sentiva ricca perché apprezzava ciò che possedeva. Come dici tu, ho la fortuna di mangiare tutti i giorni e questo mi da la possibilità di pensare ad altro. Ma alla lunga non ha funzionato più, è diventato una sorta di “accontentarsi”, uno sforzo ad essere felici quel tanto che basta, un evitare di confrontarsi con la possibilità di cambiare. Il fatto che nel mondo ci sia gente che muore di fame, non vuol dire che io debba accettare la mia condizione. E’ quel che scrive Simone nel suo libro, in fondo. Ovvero che siamo schiavi ma senza catene. Siamo schiavi volontari e facciamo pure a schiaffi per chi rema di più. Nella nostra società non è possibile fare ciò che tu descrivi, se non ingoiando grossi bocconi. Ogni aspetto della nostra vita è dettato dal soldo. Ogni scelta, anche. Esempio. Io sto per perdere il lavoro, a fine agosto mi scade il contratto. Avrei potuto tenerlo se solo avessi accettato una determinata situazione lavorativa, se avessi chiuso la bocca invece di parlare, se avessi camminato a 90 invece che assumere la posizione eretta. Ebbene, io quel posto di lavoro non lo voglio più ed è una decisione forte, perché rappresenta tutte le mie entrate. Una decisione che m’impedisce per il secondo anno di seguito di concedermi una vacanza o fare progetti per il futuro. E’ una scelta che va contro il potere del soldo ed infatti trova tutti contrari, mio padre in primis. Una persona normale, il lavoro se lo sarebbe tenuto. Per soldi, per necessita. Quindi, i soldi ci condizionano perché ci danno da vivere. Appurato questo, possiamo anche darci all’origami e sentirci felici. Ma liberarci dal dio denaro, la vedo dura davvero…

  7. @Gloria
    le coincidenze, ho intitolato il mio primo ed unico quadro “il risveglio”.Mi ricordo che in quel periodo ho iniziato ad assaporare il cibo e a sentire gli odori.
    ciao
    Emanuela

  8. @emanuela:
    pomeriggio libero (non pagato, ma impagabile!) ho fatto la sfoglia al mattarello con le uova fresche della quasi-suocera (delle sue galline, ovviamente!) ascoltando Katie Melua e stasera a cena un bel piatto di tortelloni fatti in casa col burro e la salvia dell’orto. (burro fatto in casa: andate da un contadino che vende il latte, fatevi dare 1/2 litro di panna, mettetela in un vasetto di vetro e agitate a ritmo di musica finchè il grasso non si compatta in una bella palla di burro. Aromatizzate a piacere con sale, erbe varie, fantasia. Sublime)
    Però non mi sento una illuminata, mi sento piuttosto una che si è svegliata da un lungo, lunghissimo sonno senza sogni. Un brusco risveglio, come Neo quando scopre Matrix, con la differenza che qui non vieni sputato fuori a forza come succede a lui, ma scopri che devi ancora imparare a camminare per davvero, a vivere con un senso. Anch’io sono una fortunatissima, che può permettersi di stare qui a disquisire sul DS anzichè frequentare i blog dei malati termiali di tumore, tanto per citare il primo che mi viene in mente. Ma ho capito che per stare bene non c’è bisogno di avere chissà cosa tra le mani. Io oggi, senza orari da rispettare, col telefono spento, il sole fuori dalla finestra e il vento che mi asciuga il bucato, a tirare la sfoglia col mattarello come faceva mia nonna e sapere che il mio tempo sta diventando qualcosa di buono che riempirà stomaco e cuore, bè, ecco, sono contenta! E mi sono bastate 3 uova (in regalo, ma costano circa 20 centesimi l’una) tre etti di farina (circa 50 centesimi) mezza confezione di spinaci surgelati (credo intorno all’euro e mezzo). Volete comprarli? Mezzo chilo di pasta ripiena, 14 euro grazie. Ma io stasera mangio la pasta fatta con le mie mani, e mentre la facevo mi sono pure divertita, rilassata, compiaciuta, anzichè lavorare un’ora davanti al pc col morale sotto i piedi per potermela andare a comprare in rosticceria. E’ economia, ma è anche riempimento degli spazi vuoti dentro. E’ arrivare a sera sorridendo. Forse anche di questo vivrò, lasciato l’ufficio. In questa romagna multietnica e globale ormai quasi più nessuno sa fare la pasta in casa. Ci si potrebbe campare…

  9. Sarebbe da non credere! Ho ripreso stamattina a leggere il tuo libro, partendo da pagina 74 e,arrivata a pagina 100(fine riga 8),ho compreso molte più cose.
    Un saluto.

  10. Ciao,
    per me il DS non è per tutti e nemmeno per i fortunati economicamente parlando. Credo che sia per “illuminati”. Mi piace utilizzare questo termine. Tra le cose che per me fanno parte degli illuminati faccio rientrare cucinare godendosi poi una buona cenetta (Simone sulla rubrica cibo sei fermo da un pò!!!, curare l’orto e ancora le uova fresche. Un post un pò sconfusionato, forse una provocazione che tenta di capire se c’è condivisione.
    ciao
    Emanuela

  11. Giulia,
    in verità il mio lavoro è (ed è sempre stato, nell’interpretazione che io ne ho voluto dare) uno strumento, una chiave per avere viaggi, letture, gente interessante, e soldi per procurarmi tutto questo. Una specie di grimaldello. Non l’ho mai visto come il fine ultimo. I miei sogni sono collegati alla mia professione solo perché è il modo in cui ho scelto di declinarli. Giusto per precisare (e scusa se sembro pedante 🙂 )
    Ma credo di avere capito quello che vuoi dire. Beh, se c’è “chi non è preso da una passione felicemente insana”, per cavarmela con una battuta, direi che prima di pensare al DS, o a qualsiasi cosa abbia a che fare con il cambiare vita, dovrebbe pensare proprio a questo, che è un problema, e anche bello grosso. Il non avere sogni da realizzare, o semplicemente un progetto o un’immagine di “stare bene”, il non poter dire “bah, invece del lavoro vorrei andare a pescare”, è qualcosa di tremendo, di triste (cfr. in proposito la bellissima poesia di Neruda, “Lentamente Muore”). Ma ne parla già Simone, nel libro, quando parla di “libertà da/libertà di”.
    Ma credo anche che chi fa economie, e continua a non avere tempo per fare DS, abbia capito un pò male il concetto. Si cede denaro per avere tempo, infatti, tempo da dedicare al vivere, vivere come si deve. Fare economie e rimanere a picchettare sui tasti per otto ore al giorno, in posti che si odiano, perché non si sa che altro fare (o, comunque, senza cambiare nient’altro della propria vita, o non avere in mente di farlo) non significa fare DS, significa fare economie, essere parsimoniosi. Nient’altro (almeno, credo vada inteso così il concetto di DS… potrei anche avere capito male 🙂 ).

  12. # Giulia, Antonio

    Sicuramente è vero che il downshift.., in fondo è un concetto per fortunati, ma cosa nella vita non lo è? Fossimo nati in qualche altro posto invece che in uno dei paesi più ricchi e generosi del mondo (nonostante le disgrazie) non avremmo neanche il tempo di chiederci: “che senso ha la vita che conduco?”.

    Platone pensava, ma i suoi schiavi gli mantenevano la tenuta. Quindi già il fatto che abbiamo le energie per interrogarci vuol dire che in fondo stiamo benone. Mio padre, ad esempio, da bambino lavorava, da adulto lavorava (lavori pesanti), solo dopo i cinquanta ha cominciato a porsi (piccole) domande, approdando ad una fede cristiana che gli ha fornito le risposte. Fine delle elucubrazioni.

    Io che sono viziato e con la pancia piena voglio di più. Ma è sempre così. Infatti quelli che in genere trovano risposte sono quelli che volontariamente stanno a digiuno. Questo sempre per ribadire, e l’abbiamo detto forse mille volte, che il problema sta nel cervello prima di tutto.

    Poi, vi rendete conto che parliamo sempre di soldi? Per dire che servono, per dire che forse possiamo farcela senza, per dire che servono strategie concrete, che non sono poi così importanti, ma alla fine si torna sempre lì. Beh, c’è una novità, nessuno starà mai in pace finchè non se ne stacca mentalmente. Finchè non li disprezza. Non vuol dire buttarli o accumularli, vuol dire che il cervello dev’essere sintonizzato su di un altro canale. Finchè c’è questo show in onda, possiamo scrivere e progettare finchè vogliamo, è tutto inutile, il pensiero resta lì, ingabbiato, intrappolato, dannato. Se i soldi sono “il problema” o la “libertà dai soldi”la soluzione, è la stessa cosa, il cervello è fermo lì e non vede altro.

    Ma qualcuno crede realmente che se fosse libero dal bisogno di denaro starebbe meglio? Che saprebbe cosa fare? Che sarebbe più libero? Che se il denaro scomparisse e fosse sostituito dalla disponibilità di beni qualcuno sarebbe maggiormente soddisfatto? Illusione. Ciò che cambia è la possibilità di curarsi, della prevenzione delle malattie, dell’accesso all’istruzione, del minor logorio fisico…. Ma quella cosa che rode nel cervello e nel fegato, che porta alla tomba senza sapere che senso ha avuto il viaggio di una vita, continuerà, con maggior forza addirittura.

    Il nostro immaginario è colonizzato, non sappiamo pensare a soluzioni, è come un tunnel: o pensi a come avere soldi o pensi a come farne a meno; o pensi a come adorare il dio, oppure a come sfuggirgli, ma il potere che gli hai dato è assoluto.

    Eppure è un fenomeno recente. Per millenni il denaro è stato un complemento negli scambi (parte residuale di un’attività vitale complessa), non il centro. E’ un’invenzione moderna. (Se qualcuno è interessato: “Il denaro, sterco del demonio” di Massimo Fini).

    Anche se questa schiavitù è vera, è altrettanto vero che non ci si può liberare giocando al suo tavolo. Non occorre essere più bravi (non si può, giochi contro il banco) occorre cambiare gioco.

    “Nessuno dovrebbe vivere così pensai. Poi mi ricordai che tre quarti del mondo vive peggio” (Stephen King parlando delle difficoltà economiche degli inizi).

    Il miglior modo che ho trovato io finora per lasciarmi alle spalle il pensiero delle difficoltà è quello di ringraziare ogni mattina Iddio per cinque cose che mi sta dando. Mi sono scoperto a ringraziare perchè era una bella giornata, il mio capo non era in ufficio, quel giorno avrei mangiato, tutto sommato non avevo emicranie, ero sano, ho un auto che mi porta a zonzo, ho gli occhi per leggere, etc… Chi ci avrebbe mai pensato prima?

  13. Antò,
    per me è tutto giusto, ma i soldi, purtroppo, fanno la felicità. E non parlo dei soldi da vincita milionaria, ma di cifre umane che permettano di vivere secondo desiderio e non solo secondo necessità. Il concetto che il cambiamento debba nascere da dentro, è cristallino. Il problema è attuarlo, metterlo in pratica. Prendiamo il tuo sogno: pubblicare sul National Geographic. Vivere in una casetta in Sicilia. Partire alla scoperta di luoghi da fotografare. Tutti i tuoi sogni sono legati alla professione che già svolgi (tranne la casetta in Sicilia, alla quale tuttavia ti stai già dirigendo “perchè posso”) ed anche se dovrai sgobbare parecchio, il lavoro ti darà le tue soddisfazioni (“E so bene che il lavoro di oggi mi verrà restituito con il mio sogno.”). E’ vero, l’impegno è tutto, ma come già si diceva in post precedenti, chi non è preso da una passione felicemente insana che fa? Sgobba e basta e lo fa (peggio ancora) senza finalità. L’impiegato d’ufficio che vorrebbe godersi il suo tempo e non può. Il manovale, l’operaio, il disoccupato. Hanno diritto anche loro a fare DS? Io credo di si. Il fatto è che anche il DS è per privilegiati. Tu stesso hai detto che hai una famiglia che ti sostiene al 100%. Fino a quando il DS resterà una possibilità di pochi, ovvero di tutti coloro che possono già permetterselo ma non aprono gli occhioni e non si mettono in gioco, è inutile stare a parlare di “sogni da coltivare, cambiamenti che avvengono dentro.” Qui si tratta di trovare un’applicazione concreta per la vita di molti. Bisogna confrontarsi con le realtà individuali e non con la teoria che il lavoro stressa e fa bene cambiare. Questa verità è facile ad assimilare. I passi successivi sono invece molto più difficili, soprattutto per chi non può permetterseli. Ci si può impegnare al massimo e non avere i mezzi per svoltare. Non si tratta di rinunciare ai megaschermi, ai cellulari ed alle macchinone, ma si tratta di comprendere che molte persone vivono già senza lussi eppure non sono felici. Ridurre i consumi è un aspetto, ma avere spazio, tempo e soldi per realizzarsi…un altro. E mi scuso per questo post sicuramente zeppo di concetti già espressi, lungo e pedante.

  14. p.s.: Simone, mi permetto di darti del “tu”, anche se non ci conosciamo. Di persona. dopo averti letto così tanto, e visto i video etc, mi sembrerebbe strano dare del “lei”.
    …e grazie per avermi fatto scoprire Bjorn Larsson….

  15. Ciao Simone, ciao tutti,
    mi piacerebbe dare il mio piccolo punto di vista, quello di un quasi-trentenne che riflette parecchio sul genere di vita che vorrebbe e che sta costruendo. Mi scuso fin da ora con voi per la lunghezza…. Ho letto il libro di Simone e l’ho trovato molto interessante, soprattutto in quella che chiamerei “base teorica”. Il dire, cioè, che i presupposti con cui cresciamo e le aspettative su di noi da parte della società non sempre siano il passaporto per la felicità (detto altrimenti: soldi+piano pensionistico non sempre sono il viatico, la vita, Ciò a Cui Tendere).
    La mia storia, nel mio piccolo: sono un fotogiornalista, con base a Milano (ma mi sto spostando in Sicilia. Perché ho il mio amore lì, e perché posso). Da sempre innamorato del mare e dei viaggi e dell’avventura, e di un milione di altre cose che riempiono la vita ma non rientrano mai nelle statistiche e nel calcolo del P.I.L. In quel senso, non mi sento di contribuire molto alla vita del mio paese, perché il mio lavoro è molto lento a partire e molto avaro, soprattutto nei primi tempi. Ma non mollo. Ho la grande fortuna di avere genitori che mi sostengono al cento per cento, e ricambio questa fortuna mettendocela tutta, lavorando, facendo più foto che posso e facendole girare, non rimanendomene seduto a pensare a quale potrebbe essere il modo migliore di racimolare un sacco di soldi. Lavoro, tutto qui. E so bene che il lavoro di oggi mi verrà restituito con il mio sogno.
    A proposito: è ovvio che abbia un sogno. Ne ho diversi. Pubblicare su National Geographic. Vivere in una casetta in Sicilia (dove sono nato) con la mia ragazza, e da lì fare base per i miei viaggi alla scoperta di tante cose (il medio oriente, la Via della Seta). Fare immersioni a più non posso, magari diventare istruttore, e fotografo subacqueo. Avere una vita piena, conoscere le lingue, avere amici e ospitarli a casa per delle cene a base di pasta con i ricci (nota per il Perotti: se ti trovi a passare dalla Sicilia e a raccogliere ricci, e se ti piacciono, prova a cuocerli con la pasta come fossero una normalissima carbonara, dopo averli lasciati a marinare per un pò nel succo di limone, e poi spolvera di prezzemolo. Semplice, e assurdamente buono) e di chiacchere più o meno profonde. Tutte cose, ne sono consapevole, per cui c’è bisogno di un certo flusso economico. Ma – e qui sta il punto, e il motivo per cui ho deciso di scrivere – per farle c’è bisogno di un pò di soldi (non troppi) ma non basta. Mi sono reso conto che tantissime persone che mi circondano vorrebbero le stesse cose, e spendono la loro vita in un ufficio a Milano, covando frustrazione, dichiarandosi invidiosi di me e del mio lavoro. Strano, no? Loro, in teoria, avrebbero molte più risorse per ottenere quello che vogliono. Ma sono invischiati in un meccanismo inceppato: la cultura, l’atteggiamento dominante, dice che per avere delle cose, basta comprarle. Comprare una casa, comprare un viaggio, comprare un corso di immersioni. Le cose costano, ok, e gli istruttori di sub bisogna pagarli. Ma, dopo? Dopo si rientra in ufficio. Non si continua. Si torna ad accumulare soldi che verranno spesi in altri consumi, in altre esperienze preconfezionate, in altri acquisti che dovrebbero cambiarci la vita, e che invece non faranno che tenerci ancora di più nel gorgo. Fino al sublime del serpente che si morde la coda: stare in un posto che non ti piace (molto spesso è Milano, ma non solo) per fare un lavoro che odi, che ti permette di…. avere una casa con un sacco di cose per lavorare a Milano. Succede a tantissimi, anche a dei miei colleghi, che pur avendo tra le mani un mestiere potenzialmente sovversivo, e libero, e pur iniziando a guadagnare qualcosa, si sentono intrappolati. Intrappolati da tutte le rate da pagare, dal mutuo della casa a Milano (“se non stai qui, non fai il fotogiornalista”. Legge non scritta. E mai verificata. Ma lo dicono tutti, quindi deve essere verissimo, no? E, a ben pensarci, vale per milioni di altri lavori e stili di vita….)
    Tutto questo per dire cosa? Che è maledettamente vera la frase di Simone, “Il cambiamento avviene dentro, da dentro, verso l’interno”. Non basta essere bravi a fare conti ed economie, per fare DS. Bisogna lasciarsi alle spalle gli automatismi consumistici, le scuse, l’atteggiamento per cui qualsiasi cosa che richieda studi, progettazione, impegno e passione possa essere sostituita da una transazione economica, da un acquisto. Lasciare da parte l’autocommiserazione, quella per cui “ma non SONO IN GRADO!”. Lasciare la convinzione che solo un sacco di soldi potranno darci la vita che vogliamo, quale che sia. La vita che vogliamo nasce da noi, da un nostro sogno, in cui crediamo talmente tanto da impegnarci quotidianamente. Non nasce (solo) da conti fatti più o meno bene, se no siamo al punto di partenza: la convinzione che siano i soldi a darci la liberazione che aspettiamo, e dunque la convinzione che possiamo COMPRARCI la libertà. Non è così. E’ come (scusate l’esempio “professionale”) chi pensa che per fare buone foto sia sufficiente una macchina da 4000 euros. Certo, la qualità è necessaria. Ma la grande foto la fanno i decenni passati a studiare e fotografare. Se no, rimaniamo consumatori, con belle macchine in mano, foto di merda negli hard disk, e soprattutto foto che non hanno una storia alle spalle. E la storia è tutto.
    Ok, penso sia ora di chiudere questo lunghissimo, e sconclusionato post. Aggiungo solo che la mia generazione ha un tesoro davanti, se solo sa come sfruttarlo. La crisi, e il precariato imperante, possono essere splendide occasioni per ripensare tutto questo, tutto il modello “lavora tanto-pagato una miseria-mutuo-rate-ripassa a 70 anni”. Per fare una famiglia, una casa, una vita, servono dei soldi. Non dei megaschermi, non telefonini per tutti, non macchinoni, non case in centro città per essere più vicini alla movida, non viaggi pagati con il cambialone.
    Ciao a tutti, grazie, e scusate per la lunghezza!
    Antò

  16. Se posso inserirmi al volo riprendendo il poso di giulia.
    un flash: per 5 anni nella comunicazione e marketing di un’azienda (ormai la chiamo fuffa), in cassa integrazione da 1 anno, a maggio ho raccolto le ajucche!!! quando si parla di raccogliere le bacche nel bosco!!!

    Ema

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