Elmo’s Fire salpato per l’Oceano, rotta su Madeira. Terza tappa. Sono felice di conoscere Oddifreddi, ceneremo insieme in porto a Funchal. E vedere quel barcone pesante che fila quasi 11 nodi fa venire voglia di essere già a bordo. I fili si sciolgono, o cominciano a riannodarsi, a seconda di come la si guarda. Dopo queste strane settimane di solitudine, pensieri contorti, ho bisogno di prendere il mare. Ma ormai ci siamo…
A Madeira andrò in cerca di qualcosa che generalmente cerco nel Mediterraneo, con sempre maggiore difficoltà. Oggetti di lavoro, utensili, vecchi pezzi di barche. Un tempo se ne trovavano con facilità, a due lire. Oggi sono diventati merce rara e costosa. Ma Madeira è un isola di pescatori oceanici, un luogo isolato, ho la sensazione che ne troverò. Se c’è qualcosa che mi emoziona sono i pezzi di legno mangiati dalla salsedine, che un tempo furono vecchi scalmi, spolette per la cucitura delle reti, galleggianti da nasse. Oggetti poveri, che però hanno preso il mare mille e mille volte, sono stati tra le mani ferite e consumate di vecchi pescatori, hanno assistito muti alle loro avventure, ascoltato i loro racconti. Se c’è una cosa che mi affascina è ciò che ha fatto miglia, che è riemerso sempre dall’onda, senza soccombere mai. Una delle 7 mosse deve essere questa: le mani, la loro perizia nel cercare pieghe e fessure, la loro durezza nonostante la precisione. La balsamica sensazione che trasmettono alle braccia, poi al corpo, poi alla mente, di saper fare, di saper tirare fuori dai guai, di saper creare. Le mani ci salveranno. Sono l’unico antidoto alla testa.