Tentazioni…

 

Una preminente società internettiana internazionale mi comunica che potrei fare un bel po’ di soldi col mio sito. Lo frequentano un migliaio di persone al giorno, decine e decine di migliaia di impressions… Numeri che cominciano ad avere un valore. Per di più numeri relativi a gente che non viene solo qui a curiosare distrattamente, ma si sente parte di un mondo di valori, ha in comune qualcosa di profondo. Morale: mi darebbero 500 euro al mese se accettassi di mettere la pubblicità ai lati di queste pagine.

500 euro al mese sono la soluzione a tutti i miei problemi. In questo momento non devo preoccuparmi di niente, perché ho preso i soldi dei libri e per 3-4 anni sono a posto, ma nel prosieguo non dovrei più lavare barche, potrei andare in mare quando voglio gratis (e ospitando gratis gli amici, che oggi invece pagano), se non vendo sculture  non dovrei preoccuparmi troppo. Potrei perfino comprare materiali per farne di più belle, o un trapano nuovo (il mio ha vent’anni e sta per tirare le cuoia), o le pietre per un muro di contenimento, o rifare i cuscini della barca, o… Insomma, per uno che non ha stipendio fisso e vive con 8-900 euro al mese, 500 sarebbero una manna.

Com’è ovvio ho declinato cortesemente. Non posso certo tuonare contro il consumismo e poi vendere spazi pubblicitari su merendine o automobili nelle pagine del mio sito. Ma sono sincero, mentre declinavo mi scocciava assai di perdere quei soldi. Lo ammetto. Mi sono accorto che mi sforzavo di escogitare un modo per accettare. Questa per la libertà è una guerra, non una passeggiata per signorine. Se poi un giorno mi trovassi in difficoltà, sai che ironia della sorte il rifiuto di oggi? Ho provato, ancora una volta, la differenza tra dire e fare, tra pontificare e poi agire di conseguenza. L’avevo già provata quando dovevo lasciare stipendio, lavoro, ruolo, carriera. Un conto era desiderare di scrivere più di ogni altra cosa; un conto era parlarne affascinando tutti con teorie rivoltose; un altro era dare atto, agire: dire no a tutto, a un certo punto, per essere conseguente a un’idea.

Ho tentato solo una cosa: ho chiesto se potevo eliminare tutte le pubblicità tranne libri e campagne sociali. Non si può fare. E poi il budget sarebbe diventato 5 ero al mese o poco più. Peccato. Fare comunicazione su certe cose, cose utili, potendo parlare a tanta gente, sarebbe bello. Proverò a studiarci su.

 

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Potresti, ma…

Un poveraccio sui quarant’anni immagina di sbatacchiare per bene, in un percorso fuoristrada, la moglie consumista e snob e le sue due amiche, che salgono querule a bordo della sua auto come fossero appena uscite da Sex and the City. “La vera soddisfazione è sapere che potresti farlo”, dice il claim. Lo spot è quello della Wolkwagen Tiguan.

Non “fare”, ma pensare di fare. Non “essere”, ma immaginare di essere. Non “agire” ma sapere che potresti. Il tutto, naturalmente, in virtù di un’auto. La scena finale dello spot, deprimente, tristissima, è il tragico ritorno alla realtà: le tre ragazze che se la sghignazzano e lui che guida mogio, prono, malinconico, per le vie del centro.

Cultura onanistica, la definirei così. Non a caso applicata a un target maschile. Per l’uomo che ha perduto ogni spirito d’avventura, ogni iniziativa, ogni senso della propria dignità e individualità, non c’è che l’abbandono all’immaginazione, al sogno possibile ma (per carità!) da non realizzare. Lui potrebbe smettere di subire, ma non lo farà mai. E non perché non possa, appunto. Perché immaginarlo, senza farlo, gli basta.

L’auto che potrebbe fare cross e invece scivola sull’asfalto. L’uomo che ptorebbe guidarla divertendosi, e invece è costretto a fare da autista a tre rumorose consumiste. Il sogno che potrebbe essere realizzato e invece rimane tale. Quando un essere razionale si accontenta di immaginare, quando il solo pensiero di un’azione gli è consentito, quando fare sarebbe troppo e basta drogarsi con chiacchiere e distintivo (la macchina, appunto), le cose si mettono male.

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La crisi e l’erba

Stamattina ero nel bosco e pensavo allo spread. Il mio (di spread) è quello tra la terza balza e il livello della casa, cioè una cinquantina di metri quasi in verticale, che per scalarlo carico di legna come uno sherpa si fa una fatica da cani.

In questi giorni mi sono accorto di essere spesso preoccupato. La situazione politica ed economica del Paese è tragica. Ho anche parlato con un paio di persone che conoscono bene finanza e politica, dall’interno. Li ho visti scuri, per la prima volta. Molto seri

Non so cosa accadrà. Può darsi che le cose si mettano male veramente. Tanta gente a spasso, pochi soldi in giro, prezzi alle stelle, crescita zero, mancanza di alcuni beni a cui siamo abituati, disordini sociali, e chissà cos’altro. Il sistema sta crollando, pare. E non c’è una via d’uscita a costo zero. Potrebbe profilarsi un cambiamento enorme della nostra vita. Mi sono seduto su un tronco, ansimante. La schiena era a pezzi. Il mucchio di legna da portare alla legnaia identico alle 7.00, quando avevo iniziato. Due ore di lavoro quasi invisibili…

Credo che ciò che sta accadendo sia un bene, tuttavia. Doveva accadere, meglio che avvenga subito. Quelli di questi ultimi due o tre decenni non eravamo noi. Non so chi fossero, ma non noi. Noi siamo poveri, lo siamo sempre stati. Gente che si diverte con niente, che pensa a cibo e casa. Il resto solo se c’è “il di più”.  Dovremo tornare a vivere con poco, e ridare valore alle cose a cui non badiamo più da decenni. Dovremo forse farci durare i vestiti, certo elimineremo il superfluo. Useremo l’automobile solo quando serve,ci trasferiremo in zone diverse da quelle che riteniamo le uniche possibili. Dovremo coprirci di più, forse, perché le nostre case non saranno riscaldate con 28 gradi di inutile, costoso e dannoso calore. Molti non potranno sopportarlo. La maggior parte si adeguerà con fatica. Per alcuni sarà forse una liberazione

Mentre pensavo, mi sono accorto che avevo uno scarpone su uno splendido ciuffo di tarassaco. L’acqua e il calore di settembre, qui da me, fanno da seconda primavera. Tutto germoglia, tutto si rinverdisce. Più in là c’erano decine di piantine di cicoria selvatica, di piattello, di ortica. Erbe che crescono accanto a noi, che un tempo mangiavamo ogni giorno. Sono ottime, fresce, gratuite. Ho preso una busta, una piccola roncola, e mi sono messo a raccoglierle. Sbollentate, scolate e ripassate in padella con aglio, sale e peperoncino, sono diventate il mio pranzo. Con un pezzo di pane e l’olio buono.

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Lettere dal penitenziario…

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Capsule…

caffe espressoNote di economia domestica:

In una capsula per la macchina del caffè (quelle che fanno l’espresso tipo bar. La mia è una Gaggia, ma è uguale per tutte) ci sono 7gr di polvere. Il caffè costa cifre assai diverse, secondo qualità e provenienza: da 8 a 24€ al chilo. Diciamo dunque che, per aiutarci nei calcoli, il caffè costi 14€ al chilo. Non è così distante dal vero: un pacchetto da 500gr in effetti lo pago circa 6€, dunque qualcosa in meno della media che abbiamo preso come riferimento.

Dunque: se in una capsula per la macchina del bar ci sono 7gr di caffé vuol dire che con un kg di caffè, dunque con 14€, dovrei avere 142 capsule. Invece, acquistando dal fornitore indicato dalla Gaggia, con 14€ ho appena 56 capsule. Perché?

Immagino che ci siano dei motivi nobilissimi (la plastica delle capsule, il lavoro di incapsulamento, e poi il marketing, la pubblicità…). Tra l’altro devo anche ritenermi fortunato: se avessi la Nespresso pagherei parecchio di più per meno capsule.

Io però sono uno che tende a smontare le cose. Come vedo un oggetto provo ad aprirlo, fin da quando ero piccolo. Allora ho fatto così: ho aperto una capsula, ho buttato via il caffè usato e l’ho riempita con uno da circa 12€/kg. Un buon caffè, tra l’altro, una marca sconosciuta, che compro al discount più vicino. Il risultato è stato ottimo. Io adoro il caffè, e quello che mi sono preparato era molto buono.

Morale: il mio caffè adesso costa 0,08€ a tazzina/capsula. 8 centesimi di euro. Su base annua, calcolando 2 caffé al giorno (ne bevo assai di più ma spesso sono fuori casa: 2 al giorno come media), fa 58€ all’anno. Contro i 182 che spendevo prima. O contro i 292 di chi ha la Nespresso. Ho risparmiato 124€. Svantaggi? Nessuno, a parte i pochi secondi per svuotare la capsula e riempirla ogni volta.

Mi resta una domanda: come mai questo spread (che soddisfazione usare anch’io questa parola, come Mentana!) tra il costo del caffè e quello delle capsule? Per non parlare del bar, dove i miei 0,08€ diventano 1,00€ o anche di più. 0,92€ di differenza su 1,00€ mi sembra un po’ troppo, pure tenendo conto di quella che i markettari chiamano la “coffee experience”, cioè prendere un caffè al bar, che è “tutta un’altra cosa”. Verrebbe la voglia di organizzare lo “Sciopero della Capsula” per far calare i costi (ingiusti) della cara vecchia tazzina di caffè…

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Durata breve

In questi giorni mi parlavano di amicizie storiche, persone che ti accompagnano per una vita intera. Come al solito mi sono sentito un po’ male. Inadeguato. Io non ne ho. La persona che conosco e frequento da maggior tempo è apparsa nella mia vita una decina di anni fa. Molte delle persone che amo le conosco da tre anni, da due, da uno.

Mentre mi distraevo, tuttavia, i discorsi sono andati avanti. Discorsi già sentiti, tic conosciuti fino alla nausea, storie rimaste negli anni, sospese. Mi è tornato un po’ il respiro. Poi… il moto d’orgoglio.

Ma chi l’ha detto che la durata è così importante? Ma dove sta scritto che la temporaneità o la brevità sono disvalori? E perché mai dovrei dolermi di non avere più un amico d’infanzia, uno che possa fare da testimone alla mia vita intera? Non sarà che quei testimoni, se anche ci amano e ci accompagnano, ci inchiodano a quel che eravamo? Non sarà che un uomo troppo legato agli amici di sempre stenta ad aprirsi e a incontrarne di nuovi? Stenta a cambiare vita…?

Alla fine di uno dei discorsi mi sono accorto che ero di ottimo umore. Ho capito che la durata che mi interessa è “adesso“. Se perdura è solo per l’accostamento degli adesso, che hanno ognuno intrinsecamente valore. Una durata basata sui “prima” e sui “poi” non riesco neppure a concepirla. Quante persone contano per me “adesso”? E perché, per quali attualissimi motivi, che valgano ora, che non siano un’eredità passata? E quanto è importante questo, rispetto alla mancanza di chi “prima” c’era e di chi “domani” dovrebbe esserci ancora? Quello che deve esserci per forza, almeno spero, domani… sono io. Mi sembra già parecchio.

Ho deciso che teorizzerò il valore del rinnovamento, della dimenticanza, dell’abbandono. Ho deciso che perorerò la causa degli amici recenti, quelli che mi incontrano oggi e non sanno niente di com’ero, peggiore o migliore che fossi. Sarò il pugnace sostenitore del valore breve contro il valore lungo, del senso dell'”adesso” e del dissenso del “da sempre”. Io non ci sono da sempre. Io ci sono stato già tre volte, in tre vite diverse, talmente diverse che non c’ero neanche io. Figuriamoci gli altri.

Il mondo lo giro, le vite le attraverso. Cambio. Resto solo, a volte, certo. Ma resta solo ogni volta un uomo nuovo, che nessuno può dire di aver visto restare sempre se stesso. Nuove vite, nuovi amici, nuovi testimoni, nuovi mondi. Mi sembra bello così, non meno bello almeno. Io non critico da sempre quel certo atteggiamento. Non tollero da sempre quella persona perché è amica d’infanzia. Mi sembra una buona cosa che non ci sia più. Se ci fosse stato un buon motivo non sarei cambiato, lui non sarebbe cambiato. Ma il motivo c’era…

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