La regola

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Anche per la metà…

Ieri tale Mario C. Rossi, su Facebook, esercitando il suo legittimo diritto di critica, scrive sulla mia bacheca: “Bernard Moitessier non faceva tanto marketing”. Mario lo scrive sotto al mio annuncio della presentazione che farò giovedì 19 a Roma (a proposito, ore 18.00 da MelBookstore, in via Nazionale. Ci vediamo lì.).  Io, esangue, esausto, con un violento desiderio di suicidarmi, ho commentato laconicamente: “Mario, che palle…”. Chiedo scusa a Mario, sinceramente, per l’esclamazione poco incline al dialogo, ma lo rassicuro circa la sua spontaneità. Mi è proprio venuta dal cuore.

Qualche tempo fa scrivevo che ognuno dei miei lettori vorrebbe che io facessi qualcosa di diverso per somigliare il più possibile al suo scrittore ideale. Mario qui s’inserisce nel filone di quelli che mi vorrebbero più silenzioso, meno presente, che fa senza dire. Vorrebbero che manifestassi disprezzo per le vendite dei miei libri, non soddisfazione. Lo fa usando come paragone il grande navigatore Bernard Moitessier, un vero zingaro dei mari, che se ne andava in giro per il mondo con la sua barca a vela e rifiutò di vincere la prima regata intorno al mondo pur di restare un uomo libero. Mario dimentica che anche Moitessier scriveva libri, li vendeva in libreria, campava con i proventi di tali vendite, faceva presentazioni, video, scriveva ai giornali, quando ne aveva l’opportunità. Mario dimentica che io ho rinunciato a stipendio, carriera, pensione, tredicesime, bonus, eccetera, per lo stesso suo motivo. Ma non m’interessa, questo…

Ho tuonato dovunque contro l’egemonia del marketing e della pubblicità, che generano bisogni inesistenti, approfittano delle nostre debolezze, ci vincolano a schiavitù logoranti per mantenere status e simboli. Credo che su cosa penso di questo, non ci siano molti dubbi, come anche credo non ve ne siano sugli elementi di radicalismo che venano la mia prospettiva. Mi colpisce però la visione oltranzista che alcuni manifestano. Secondo loro io dovrei quasi godere se non vendo libri, anzi, per essere davvero credibile li dovrei regalare. Certamente non ne dovrei parlare, non dovrei presentarli, dovrei sperare che i giornali non ne parlassero, dovrei perseguire l’anonimato, con la speranza che solo il passaparola comunicasse al mondo (poco) che esistono. Per loro fare marketing sul dentifricio che ha tanti micro scudi contro la placca e promuovere le idee e le storie dei miei libri sono la stessa cosa. Dire “ho scritto questo!” essendone orgogliosi e sperando nel consenso del lettore, non va bene.

Secondo le regole di questa cultura è meglio se fai senza dire, se dimostri disinteresse per la diffusione di quello che scrivi, se la pianti di raccontare come stai, cosa avviene alla tua vita, le ragioni delle tue scelte. Il fatto che si parli di me e dei miei romanzi o dei miei saggi per loro identifica un fenomeno commerciale. Questa è la più snob delle prospettive, la stessa di quelli che godono di una spiaggetta solo se non la conosce nessuno, e quando ci viene gente dicono, con la “r” moscia: “certo che ormai non ci si può proprio più venire qui.” Il fatto che io parli e scriva del mio lavoro di scrittore li irrita, vorrebbero che fossero in pochi (i “giusti”) a conoscermi. Li fa andare in bestia se dicono: “Ho letto un bel libro su…” e qualcuno li interrompe: “ma chi Perotti?! Li ho letti tutti, ma scherzi?!” Se in tanti parlano di me non sono più un fenomeno di nicchia, e questo proprio non va.

Che io abbia voglia, piacere, desiderio di comunicare quello che scrivo… Che io cerchi di evitare l’ipocrisia di quegli autori che fanno finta di non tenerci alle classifiche, alle vendite, e poi farebbero carte false per mille copie in più… Che io ci viva coi soldi dei miei libri, ci compri da mangiare… Che io abbia detto dovunque che la mia speranza non è vendere un milione di copie ma venderne diecimila di ogni libro (cioè diecimila euro di guadagno) per poter sempre pubblicare i miei lavori… di tutto questo a Mario non interessa per niente. Se faccio una presentazione a Roma il prossimo giovedì 19 gennaio (a proposito, ore 18.00 da MelBookstore, in via Nazionale. Ci vediamo lì.) e spero che vengano in tanti, non va bene. Sto facendo marketing. E Moitessier ne faceva di meno.  Vabbè….

PS: nel 1962, nella baia di San Francisco, uno sconosciuto ammiratore offrì a Moitessier 30.000 dollari (cifra spaventosa, all’epoca) per portarlo a Tahiti e insegnargli a navigare. Era Klaus Kinski, che in Fitzcarraldo aveva solo simulato di guidare deliranti battelli nel cuore dell’Amazzonia, ma di mare ne sapeva poco. Moitessier, com’è comprensibile, accettò, anche se il viaggio venne poi annullato all’ultimo momento dall’attore, che gli chiese comunque, previo pagamento, di condurlo in Messico. Se qualcuno, anche meno noto di Kinski, mi offre la metà per portarlo a Civitavecchia, sappia che io accetto.

 

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La zappa e la mente (buon anno!)

Giornata perfetta. Aria asciutta, assenza di vento, sole, colori. Come ieri. Come l’altro ieri…

Alle 6.15 scrivevo già, poi due caffè e un biscottoall’alba. Ho finito alle 12.00, più o meno. Mi sono messo a lavorare a un nuovo orto. Non ho molto spazio, l’orto è diviso in tre punti diversi intorno a casa. Ora è il momento di preparare il terreno per piantumare a marzo, oppure per seminare cipolle, fave, ravanelli, piselli. Tra poco sarà già il tempo di radicchio e insalata, se non fa troppo freddo. Farò anche una piccola serra. Comincio a capirci qualcosa, dopo quattro anni, e questo mi mette di ottimo umore. Quando non capisco mi deprimo.

Zappare è un’operazione eminentemente intellettuale, tutto il contrario di quello che si crede. Certo, fai fatica, la schiena urla. Però mentre sei lì e batti, spingi, scavi, dissodi, sei solo. Intorno non c’è alcun rumore, forse un gallo che canta, il ronzio di una motosega a chilometri da qui, nella valle. Sei solo, ma c’è qualcuno… Ci sei te, la tua mente va veloce, pensi e ripensi a mille cose, anche difficili da confessare. Fino al momento in cui non ti accorgi del pensiero, vai giù più profondo. Mentre non sei cosciente di pensare… pensi sinceramente, ti dici le cose come stanno, non c’è make-up, non c’è mediazione. Quando te ne accorgi (che stai pensando) diventi più cauto, ma l’ultimo pensiero, almeno, quello te lo ricordi. Di solito, se sei onesto, impari qualcosa su di te: “Io stavo pensando a questo…! Dunque io sono così! Che merda d’uomo a pensare queste cose…” oppure “che paraculo…” oppure: “che bel pensiero!”, quest’ultimo è già più raro. 

Difficile ammettere quello che pensiamo. Da soli, in silenzio, di solito, siamo peggio di quello che si sa. Anche di quello che sappiamo noi…. Cosa molto importante da conoscere. Se non sai di che peggio stiamo parlando non puoi né condannarti né assolverti.

Domani è il 9 gennaio. Sono già cinque volte che non riprendo a lavorare dopo la pausa natalizia. Per tutta la settimana ci sarà il sole, e le notti saranno chiare (chi abita in Val di Vara? Ma avete visto verso le 5.00 la luna che si tuffa nella valle? Ma che spettacolo è?!). Cercherò di lavorare all’aperto più che posso, appena smetto di scrivere. Ho fatto la spesa già una settimana fa, e non devo neanche scendere in paese. Sto qui, non mi muovo. Costa fatica stare da soli, perché chi ami non c’è. Però è necessario, per l’equilibrio, per l’armonia, per pensare, per lavorare nel bosco o all’orto, che sono due esercizi spirituali. Domani, lunedì, e nei giorni a venire, è molto importante per la mia salute non trovarmi nel traffico, non incontrare gente che non amo, con cui ingaggiare assurdi duelli. Sono contento di non fare un lavoro inutile, che serve a guadagnare denaro che non mi può rendere felice. Sono contento di non usare più l’automobile. Ho deciso che la mia auto non uscirà mai più dal cirucuito urbano. Fuori da Spezia ci andrò solo in treno. Dunque il rincaro dei carburanti mi spinge a una scelta di risparmio, non a un costo maggiore. Sono anche contento di consumare un secchio di legna al giorno per scaldarmi, ma soprattutto di avere il tempo necessario per scrivere il mio romanzo, come faccio ormai da due mesi. Sono contento, sì, di un gran mucchio di cose. Penso che sarà un grande anno. A giudicare da molte cose, è cominciato bene.

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Chiatte

Un ulivo da piantare, mani gelate, cuore pieno di azione. E soprattutto, un progetto. Il Maestrale, il signore dei venti del Mediterraneo, il grande nemico dello Scirocco oggi è gonfio e spietato. Dove il sudest è malmostoso e cupo, tutto intento a annebbiare e confondere, il Maestrale spinge e scuote. Due uomini e un progetto vanno d’accordo col Maestrale.

Il primo albero di Filippo, del suo progetto “Un albero per amico”, è in terra. Abbiamo scavato, trascinato l’albero con la benna, infossato, coperto, spalato. Ora lo vedi se arrivi al suo stazzu. E’ in cima alla collina. E’ bello. Sarà l’ulivo Perotti, lo seguiranno alberi dedicati ad altri amici, una foresta pulsante di gente che ha senso che stia qui, dove il nordovest pettina l’anima.

Scendendo abbiamo riso. Ci è venuta in mente, nello stesso momento, la pubblicità di un amaro. “La band era in difficoltà. Il loro barcone era in avaria, dovevamo andare a prenderli….” La scena dello spot, per chi va per mare come me e Filippo, fa ridere, fa arrabbiare. Quella che chiamano “barcone” è una chiatta, non ha timoneria, non ha motore, non può navigare neanche volendo. E’ una fetta inerte di terraferma, e là dove si trova può esserci finita solo al traino. Non può essere in avaria più di quanto non si possa dire che un tronco d’albero ha dovuto effettuare un atterraggio di fortuna. Filippo è stato un art director a Milano, conosce la pubblicità. Ora fa l’agricoltore in Gallura. Ne parliamo con disgusto.

Finisce l’anno, ancora con troppe chiatte chiamate barconi. Stavolta era sul mare, e l’ho notato. Ma quante altre volte non sapevo, non sono stato capace di capire? Inizia un nuovo anno, e sarà un grande anno. Sarà popolato di ulivi col nome di chi li ha piantati, di chiatte che non si muoveranno mai, felici della loro stasi, di amici da andare a trovare in cima al mondo, dovunque essi si trovino, e di balle da rifiutare, emendare, criticare, disprezzare. Un anno di gente che dovrà vergognarsi delle sue bugie, delle sue frodi, dei suoi trucchi. Un anno di cose vere, per quel che di vero hanno mai le cose in questa vita. Poche cose, forse, ma possibilmente vere.

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