Solo a bordo

Il primo corso dell’anno è andato bene. Molto bene. Gente che ama il mare, che non si era iscritta per caso. Amici, lettori, conoscenti, che però si sono trovati. Con la barca, tra di loro, con me, col mare del Golfo. I corsi che non avrei dovuto fare, con la gente che non si sarebbe dovuta iscrivere, mi pesano. Dico cose che nessuno ascolta, mostro manovre e movimenti che hanno senso solo per me. Chi si interessa alla barca, ma non alla navigazione, mi intristisce. E’ capitato talmente di rado, grazie al cielo, che sono ancora qui. Ma l’equipaggio che è sbarcato due giorni fa aveva molto senso. Come uomini e come marinai. Dunque era giusto che io perdessi la voce a parlare, a fare e rifare le manovre cento volte, a non distrarmi mai su ognuno. E che fossi felice di essere qui, su Faamu-Sami, con loro. L’unica cosa che non può permettersi di fare un uomo libero è vivere nei propri posti, ma con persone che non c’entrano. Non c’entrano con me, sia chiaro.

Ecco perché, forse, poco fa mi sono fermato. Stavo correggendo una pagina del romanzo, che riporto qui sotto. Sono salito in coperta, mi sono affacciato al tambuccio, ho fumato una sigaretta. Nel Golfo dei Poeti c’era scirocchetto, massimo quindici nodi. Era prevista onda e vento, invece le nuvole sfilano via lente, sonnacchiose. Due vele stentano ad ammainare, vogliono fare gli ultimi bordi, prima di rientrare in porto. Domani è lunedì. Tra poco anche loro andranno, e resterò solo, carico di immagini e pensieri. Lavorerò al romanzo tutta la sera, stufetta accesa, qualcosa da mangiare, musica bassa, nel porto deserto.

Ho ripensato ai membri dell’equipaggio che sono appena sbarcati, alle centinaia di uomini e donne che ho portato in mare in tanti anni. Molti sono finiti nei miei libri, smembrati, ricomposti, l’occhio di un ragazzo, quella parola detta da una donna che ricordo, sguardi che non ho dimenticato. Forse la dote principale di uno scrittore è non perdere mai nulla, immagazzinare tutto. Soprattutto quando si tratta di persone. E di mare.

«(…) ho lavorato una settimana a giugno, poi niente fino a fine luglio, quando sono partito per il sud con due sole settimane prenotate, in Tunisia. Ero tutto contento, sono andato giù con calma, tre o quattro tappe. Settecento miglia da solo a bordo, non mi pareva vero. Avevo fatto una bella scorta di cibo e alcol. Appena salpato, ho navigato da qui a Santa Giulia, quasi a Bonifacio, tutta una tirata di bolina larga. Un avvio esaltante… Quella prima sera ero sbarcato, pieno di gioia. Centoquaranta miglia, cioè poco meno di ventiquattr’ore, con due soli bordi a vela. Una cosa che non capita tanto spesso. Se hai un buon maestrale puoi arrivare fino alla Giraglia, poi dalla Finocchiarola lo perdi per il ridosso dell’isola. Stavolta invece il nord ovest era girato a nord, poi a nord est, e io avevo solo dovuto seguire il vento per una mezzora, poi strambare, e avevo ripreso a correre mure a sinistra, al gran lasco, in rotta perfetta. La barca cantava felice, l’attrezzatura era tutta a posto. Un po’ di onda, un metro e mezzo, ma non troppo corta, niente di grave. Makaia adora i venti tra traverso e lasco, quando non sono troppo sostenuti o troppo di poppa. Se dosi bene quanta tela tenere a riva, si calma, sta dritta, plana sulle onde. Avevo passato in rassegna il bel tratto di costa fino a Bastia, poi le plaghe basse e sabbiose dello stagno di Urbino, fino a Porto Vecchio e Santa Giulia. Lì ero entrato in baia, avevo raccolto il genoa, la vela di prua, poi dato àncora a vela, tirando giù la randa dopo aver filato catena a mano. Avevo ammainato il tender, remato fino alla spiaggia, due passi sulla sabbia chiara, l’acqua di cristallo. Santa Giulia è una baia come ce ne sono poche, soprattutto a luglio. Ha tutto il meglio del mare, è protetta dal vento di tre quadranti, è sempre pulita, a parte qualche alga se c’è stato scirocco. Avevo bevuto qualcosa nel primo locale che si incontra passeggiando da sud, quello con i tavoli sotto alla tettoia, piedi nudi nella sabbia, bella musica. Non stavo nella pelle dalla felicità. Ero uno skipper in trasferimento, stavo lavorando in mare, non più in città, non più alla scrivania. Potevo crederci?! Volevo festeggiare. Ero andato a mangiare in uno dei locali appena dietro l’arenile, sul lato nord della baia, dove si respira bene la Francia, l’Italia, l’estate… La notte, un po’ alticcio, un po’ stanco, avevo camminato, camicia bianca aperta sul petto, aria calda e asciutta sulla pelle, bottiglia vuota in mano. Avevo dormito come non mi capitava da parecchio, prima su una sdraio in spiaggia, poi alle quattro mi ero svegliato ed ero tornato a bordo.

“Capisci che bello? Sono ripartito, dritto fino a porto Corallo a mangiare il porceddu, al Top Sound, proprio davanti agli imbarchi, dove mi conoscono e mi trattano come si deve…”

La signora Giulia me lo serve su un vassoio ovale ricoperto di rametti di mirto. Devi andarci digiuno e mangiare solo quello. Se prendi gli antipasti sei spacciato. Le prime due volte che ci sono stato non avevo ancora capito come funziona, e la sera ho vomitato. Il fatto è che è così buono che mangi troppo e ti perdi. A Sidi Bou Said ho trovato posto nel porticciolo turistico, a qualche chilometro dalla capitale, dopo una galoppata che non dimenticherò mai. Solo gennaker a riva, la grande vela asimmetrica di prua, nove nodi costanti di velocità, con punte di dieci, mare rotondo, Makaia che faceva il surf, Funny The Way It Is di Dave Matthews a tutto volume… In navigazione mi ero messo la cintura di sicurezza attaccata a una drizza, piedi puntati sullo specchio di poppa, sospeso sul mare, e mi ero fatto la barba pulendo la lametta nella schiuma della scia. Non ricordo in vita mia una simile sensazione di benessere, libertà, armonia. Bastavo a tutto, ero pieno, sentivo che non potevo esaurire mai più quello stato d’animo. La sera mi sono preso una bella sbronza con un tedesco-iraniano che viaggiava da solo su una barca autocostruita, con la tuga squadrata, una cosa orribile. Che tipo, il sosia di Ben Kingsley, un astrofisico in fuga da un matrimonio finito male.

Ero arrivato a destinazione qualche giorno prima per poter rassettare la barca e fare tutto con calma. Me n’ero andato in giro tra i vicoli di Tunisi, poi a visitare l’antica Cartagine, avevo comprato tre mattonelle antiche per pochi euro nel villaggio sopra al porticciolo, da cui si vede una delle albe più affascinanti che conosca, sul profilo di Capo Bon.

“Insomma, stavo bene, ero pronto. Quando sono arrivati i clienti, sembravano perfino gente a posto. Si sono rivelati un disastro: dialogo zero; tutto sempre già visto; mai un entusiasmo; sprecavano l’acqua dolce; bisticciavano di continuo. Tre coppie di cui due insopportabili. Quando sono sbarcati mi sono preso l’ennesima sbronza, ho dormito due giorni di fila…”»

(Da “L’Equilibrio della farfalla“, Garzanti, in libreria da fine maggio)

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61 pensieri su “Solo a bordo

  1. Anch’io sono un cultore dell’acqua del e dal rutinetbo (come i nobili von und zu Vattelapesken ). Per non parlare delle fontanelle (quando cicloturisteggiavo per tutta Europa coi miei amici meditavamo di scrivere guide alle fontanelle di mezzo mondo E la prima fontanella con acqua minerale la scoprii secoli fa in Jugoslavia, non lontano da Sarajevo!).E siccome non amo particolarmente l’acqua minerale in bottiglia, quando vedo che non si puf2 fare a meno di ordinarla, allora la richiedo rigorosamente gasata. Non per il gusto. Ma per principio: se devo pagarla, almeno che ci siano le bollicine!Vermondo

  2. …cavoli,veramente, un giorno o l’altro,
    va a finire che l’incazzata di turno mi gonfia come una mongolfiera!

    Te l’ho raccontata di quella tizia,
    che ha minacciato di strangolarmi con
    tutta la sua forza se mi fossi fermato…
    Si divertiva troppo!
    era un giro in moto?
    forse al luna park?
    mah, lasciam perdere: è meglio!

    beato comandante, solo a bordo…

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