Cercare le parole…

Devo ricordarmi di questi lunedì in compagnia del silenzio, irrorato da questo sole caldo, immerso nel mio pieno niente. Gli asparagi coperti di rugiada, che tengo ora nel pugno, raccolti all’alba. Devo trovare il modo che non si perda l’immagine dei gatti seduti al sole, senza alcuna allerta negli occhi semichiusi di chissà quale notte d’avventura.

Devo perfezionare la macchina della memoria, che tende a perdere colori, a tralasciare gli stati d’allucinazione emotiva che invece cerco e trovo con così alta frequenza, senza niente. Devo fissarmi in testa il verde della lattuga che ho raccolto, un verde inevitabile, gravido di metafora, talmente simbolico da sembrare arte. Ho bisogno che il tempo smetta di correre, ma non è semplice. Questo tempo, il mio tempo, è asincrono, si muove in modo irregolare a cavallo delle emozioni, dunque non posso misurarlo, solo subirlo, pure dolcemente, ma inesorabilmente. Quando lo cerco, è sempre diverso da quello che segna il mio orologio interiore.

Devo salvaguardare anche alcuni pensieri, questo lungo ragionamento sul frigorifero, che si è rotto all’improvviso. Non sto facendo niente per sostituirlo, perché mi è venuto il dubbio che non serva, e girare intorno a questa ipotesi, prefigurarla, ipotizzarne le conseguenze, calcolare, conta più di tenere in fresco qualche povera vivanda. Non è affatto detto che io ne compri uno nuovo, mi ripeto. Bisogna pensarci. E il pensiero di questo mi pare che conservi i cibi, e mi lancio a immaginare macchine del fresco azionate dal pensiero. Fantascienze che il funzionamento del frigo mi avrebbe precluso.

Bisogna che io non perda la cognizione dell’altrove da qui, da questo spazio e tempo sospesi, perché l’effetto di questa storia si avverte soprattutto nella mente, quando mi lancio nel vuoto per raggiungere persone o luoghi lontani. Mi pare di riuscire a raggiungerli, a strapparli da dove si trovano, a trascinarli qui con la docile e potente fermezza dell’intangibile. Da qui, nessuna cosa è lontana, nulla è impossibile. In questa condizione di ebbrezza, soprattutto al mattino, c’è tutto tranne l’isolamento. La storia proprio mentre la storia scompare.

Devo smettere di cercare le parole per le cose. Questa antica condanna potrebbe finire. I nomi, le azioni, l’organizzazione del discorso, sono inadeguati, bisogna ammetterlo una volta per tutte. Questo antico girare, girare, sfiorare il significato con gli strumenti della parola, lambisce appena, ma non tocca. Niente di tutto quello che siamo è comunicabile.

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150 pensieri su “Cercare le parole…

  1. Quando sento parlare di migliorarsi mi viene l’orticaria. Tremila parole per dire che ci si accetta per poi sentire l’esigenza di migliorarsi. Che razza di accettazione é?! E migliorarsi rispetto a che e a chi?

  2. Ciao Simone,
    accettare la complessità e accogliere l’emozione non sono forse i primi passi per ripartire da se stessi?
    Capire chi siamo, ripercorrere la nostra storia personale, recuperare l’autonomia e mantenere l’integrità del nostro sé, senza lasciarci sgretolare da un mondo che ci vuole diversi da come siamo, che non rispetta le nostre inclinazioni e cerca di fare di noi persone con bisogni che corrispondono (guarda caso) a prodotti dotati di codice a barre…
    Ecco io parto da queste riflessioni.

    Per fare questo percorso è diventato necessario isolarmi, fare spazio dentro di me e dare voce al silenzio. Prima mi sono isolata nella folla di una grande città, poi ho sentito la necessità di andare oltre e ora vivo su un’isola.
    Cambiare vita non è solamente voltare pagina, cambiare città, lavoro, amici, orari e abitudini.
    Per quanto mi riguarda il cambiamento è stato l’esito di una riflessione che, a sua volta, ha dato inizio a un’altra esperienza di continuità e rottura. Con il tempo ho realizzato che non si perde nulla, ma si aggiunge vita alla vita e si stratifica. Non ho lasciato niente e nessuno perché le persone e i luoghi che mi appartengono sono sempre con me, anche se fisicamente lontani. Ho allargato l’idea di spazio. Qui e là. Qui e ovunque. Ho espanso l’idea di tempo inteso non più come disponibilità oraria, ma come dimensione condivisa.

    L’isolamento è introspezione e non preclude l’apertura verso gli altri. L’isolamento non è rifiuto, ma rispetto delle reciproche dimensioni.
    Con maggiore consapevolezza di sé si diventa più disponibili e si scopre qualcosa di nuovo anche nelle persone vicine da molto tempo.
    L’apertura verso gli altri significa anche condivisione, lavoro manuale, ascolto, soccorso, insegnamento, insomma, mettere a disposizione una competenza specifica o un’abilità che ci caratterizza.
    Questo presupposto spinge a migliorarsi e a studiare senza sosta.
    Credo che comprendere se stessi e gli altri per agire in modo responsabile rappresenti la radice della convivenza sociale.

    Il cammino continua e l’obiettivo iniziale diventa una tappa. Perchè non tentare di espandere il vuoto senza paura? Nel vuoto e con il silenzio emerge sempre quel qualcosa che non è in superficie. Ancora qualche passo e sorge un altro bisogno: regredire ancora di più verso l’essenziale.
    Nello stesso tempo il quadro diventa più nitido e sfumato. Scopro di avere desideri che coincidono con la mia matrice interiore. E allora provo una gioia profonda nella consapevolezza del mio essere “qui e ora”. Ma anche questa è una sosta temporanea… per me vivere significa accettare di cambiare rimanendo se stessi. Buon weekend.

  3. Ah ah non lo farei mai! Ma queste parole rispecchiano esattamente il mio pensiero in questo momento che sto vivendo e che vivono i miei contatti (non ti sto a spiegare ma il 90% dei miei contatti sono donne che hanno in comune con me una malattia e per una serie di motivi accaduti nella “mala-sanità” di questi giorni c’è parecchia rabbia … ) La tua riflessione spiega con le giuste parole quello che vorrei che venisse riflettuto anche da loro. Grazie come sempre

  4. Ah, finalmente uno sprazzo di vita! mi stavo addormentando in mezzo a timbri, elenchi e pratiche in uno di quei posti di lavoro che piacciono tanto alla StancaSylvie! Ringrazio tutti per la ricerca delle parole, per i silenzi e per la presenza in questo momento, ora. Come inizio può bastare, se riuscirò a sgarbugliare i miei pensieri, perchè capire mi sembra di riuscire a capirvi (presuntuosa?), credo anche io di intuire, mi viene più facile, magari più avanti riuscirò anche a esprimermi. A Simone: mi piace la tua capacità di offrire le cose tue agli altri. Penso che anche questo sia amore, che secondo me deve essere gratuito, non si deve aspettare nulla in cambio, è il cuore che parla, e la mente si acquieta. Spero di ascoltarti il 5 maggio a Lodi (non sono lodigiana, sono di Genova, sgrunt). Viva il verde! Il verde è vita. Ciao a tutti

  5. Simone ti rubo quanto hai scritto qui …

    “Siamo noi a determinare le nostre cose, standoci o non standoci, partecipando a quel mondo o a quell’altro. Quando non stiamo bene in certe circostanze siamo noi a non stare bene, anche solo essendo andati lì, cosa che evidentemente non dovevamo fare. Tutta sta gente incazzata che piange strepita e si lamenta è una jattura sociale. Se non ti garba vai altrove, fai vedere che vorresti davvero essere sereno e cercare l’equilibrio. Molti sembra che l’equilibrio lo cerchino proprio assicurandosi un nemico, uno qualunque, contro cui combattere. Senza quel nemico, senza la polemica da fare, senza potersi lamentare o scontrarsi, non esistono. Uno dei primi passi verso la libertà è dirsi, a voce alta: “io non voglio avere un nemico. sto sulle mie gambe anche senza. Non voglio che un nemico mi sorregga. Non voglio che nessuno mi sorregga.”

    Vorrei metterlo nel mio profilo Facebook se non ti dispiace, con la tua firma ovviamente.

  6. Cercare le parole…

    Non facciamo altro, durante la giornata, che cercare le parole per esprimere quello che così chiaramente è dentro di noi.
    Perchè noi sappiamo sempre quello che desideriamo, che pensiamo, che vogliamo, che sogniamo.
    Ma tirarlo fuori non è semplice, chiusi come siamo nelle nostre armature di cristallo.
    Abbiamo paura di offendere, di ferire, a volte vogliamo farlo credendo spesso di agire per “il bene di qualcuno”.

    La vita spesa alla ricerca delle parole.
    Anche quando sarebbe necessario il silenzio.
    Per colmare quella distanza tra me e l’altro.
    Fatta di paure. Paura di accettare la differenza come valore. Non come discrimine

    Felice Giovedì

    Carla

  7. @Sara ci sono io a interessarmi di me stessa. Perché mi é venuta in mente Katrin?

    Io non ho mai avuto nemici., comunque. Ho avuto stronzi che mi rompevano i coglioni. Ma l’ho sempre considerato normale. Tutti vogliono qualcosa e gli stronzi vogliono puntualmente qualcosa da te. Basta saperlo. E non darglielo.

  8. (…) Anche oggi è inconcepibile che invece di un popolo di pecoroni ignoranti drogati di televisione, simboli e di consumo si arrivi un giorno a una grande massa di persone che pensano con la propria testa, che evitano di accettare schiavitù dannose e evitabili, che cercano sobrietà, equilibrio, armonia col mondo. (…)
    Sì, Simone, è ancora incocepibile.
    Ieri sera in TV c’era Marco Paolini con il suo “ITIS Galileo”…teatro vero, pulsante, magistrale. Una voce recitante dalle viscere della Terra, dai laboratori di Fisica Nucleare del Gran Sasso, dall’aula Fermi.
    Ma c’era anche il calcio…
    Concludi tu.

  9. Bel commento, quello a nome Luca. Lo sostengo da sempre: l’agio o il disagio che provi in certe situazioni o a contatto con certe persone la dice lunga, é l’istinto che parla. E dice molto di più di tanti ragionamenti ed elucubrazioni sterili e manieristiche. Purtroppo si tende a mettere a tacere queste voci interne e si preferisce dare la colpa a se stessi di non trovarsi bene in certi frangenti. Quando, evidentemente, é del tutto normale. Quelli che sono a proprio agio in ogni circostanza, sono dei gran paraculi, non a caso.

    • Non credo che Luca intendesse quello. Mi pare che lui dicesse esattamente l’opposto, e cioè che dare la colpa all’esterno invece che all’interno è sbagliato. Anche io la penso così. Siamo noi a determinare le nostre cose, standoci o non standoci, partecipando a quel mondo o a quell’altro. Quando non stiamo bene in certe circostanze siamo noi a non stare bene, anche solo essendo andati lì, cosa che evidentemente non dovevamo fare. Tutta sta gente incazzata che piange strepita e si lamenta è una jattura sociale. Se non ti garba vai altrove, fai vedere che vorresti davvero essere sereno e cercare l’equilibrio. Molti sembra che l’equilibrio lo cerchino proprio assicurandosi un nemico, uno qualunque, contro cui combattere. Senza quel nemico, senza la polemica da fare, senza potersi lamentare o scontrarsi, non esistono. Uno dei primi passi verso la libertà è dirsi, a voce alta: “io non voglio avere un nemico. sto sulle mie gambe anche senza. Non voglio che un nemico mi sorregga. Non voglio che nessuno mi sorregga.”

  10. Riflessione dal passo di Gramellini:
    Paura di essere completamente vivi?! Soffrire della verità?! Coprire la voce degli dei?!
    Tale fuga, a mio avviso “vile”, dall’intuizione che ci rivela chi siamo, dimostra che ancora non siamo; che il percorso è ancora lungo: durante si possono incontrare luci e anche ombre, dei e anche demoni, risposte e anche infinite domande, certezze e anche innumerevoli dubbi; affrontare il tutto acquietando la mente, ascoltando il cuore, pazientando e vivendo il percorso quale meta stessa del nostro ricercare, questo è ciò che io intuisco di dover/voler fare per trovare la mia essenza.
    Iniziare il percorso, come ben suggerisce Luca, dicendo no alle cose che non ci piacciono – che sia in un eremo o nel frastuono assordante – è un buon inizio.
    Circa i tipi di solitudini, secondo me ce ne sono ben più di due, Silvana, e tutte creative, se le si sa rendere tali; distruttivo potrebbe essere solo l’isolamento, quello che rasenta il patologico, ma è tutt’altra questione.
    Se nella creativa solitudine mi accorgessi che a nessuno frega niente di me, che importa? Ci sono io a interessarmi di me stessa: e ciò mi basta.
    Automatico che il passo successivo sia quello di interessarmi agli altri.

  11. La Parola è rottura, è azione che emerge dall’indistinto, che esercita sempre molta attrazione perché lascia aperte tutte le possibilità. Ciò che mi fa sorgere dubbi è il tendere verso l’indistinto ed essere lieti delle sensazioni provate. Emozionarsi per la vita che cresce intorno, per il colore, per la creazione… è bello, possiamo fermarci qui!?

  12. Io son d’accordo con Simone, e aggiungo anche che e’ possibile guardarsi dentro e prendere in mano il timone della propria vita senza necessariamente finire a vivere nei boschi (massimo rispetto per la scelta di Simone).
    Intendo dire che non c’e’ bisogno di cercare un eremo per ritrovare se stessi. E’ sufficiente dire di ‘no’ alle piccole cose che non ci piacciono.
    E’ possibile smettere.
    Smettere di leggere giornali che non ci piacciono, di frequentare persone che non ci piacciono, di vedere una tv che non ci piace, di mangiare cibo che non ci piace.
    E dare la colpa a questo o a quello non ci rende piu’ liberi.
    Siamo persone capaci di intendere e volere, percio’ possiamo fare a meno di cio’ che non ci piace.
    Io sono un po’ stufo di sentire per la strada le persone lagnarsi e basta dicendo ‘non si puo’ fare’.
    Cos’e’ che non puoi fare ?
    Cosa ti manca ?

  13. L’intuizione ci rivela di continuo chi siamo. Ma restiamo insensibili alla voce degli dei, coprendola con il ticchettio dei pensieri e il frastuono delle emozioni. Preferiamo ignorarla, la verità. Per non soffrire. Perché altrimenti diventeremmo quello che abbiamo paura di essere. Completamente vivi.

    Da Fai bei sogni di Massimo Gramellini

    Penso che ci siano due tipi di solitudine: una serve a ricaricare le pile, ad approfondire i pensieri legati ad accadimenti o cose appena successe; l’altra serve ad evitare gli altri. Tutti, indistintamente. La prima é creativa, la seconda distruttiva. Serve a convincersi che a nessuno frega davvero qualcosa di noi. E che a noi non frega davvero di nessuno.

  14. Personalmente non ritengo un approccio di rinuncia il cercare l’essenza, e, una volta trovata, inebriarci di essa: è proprio il ritenere che la vita sia “lì” che dovrebbe permetterci di sentirci piacevolmente distaccati, quanto liberi, dallo “strepitare effimero della vita frenetica”. Nessuna rinuncia all’altro, né, tantomeno, nessuna morte: più ci si avvicina al nucleo, al cuore, all’essenza appunto, più si dovrebbe percepire e accettare l’altro con estrema empatia e comprensione anche se distante da noi anni luce; tutto ciò, a mio parere, è Vita!

  15. A cuba ed anche fuori dal paese tutti i cubani si danno del tu, a prescindere dal fatto che si conoscano o meno. Lo imparano a scuola, in cui fra l’altro si cerca di trasmettere agli allievi la appartenenza ad una comunità solidale, in cui tutti aiutano tutti quando necessario. Iniziano a darsi del tu da bambini e poi non smettono più.

    Anche quando un giovane si rivolge ad un adulto od anziano gli da del tu ed eventualmente antepone il titolo “signore”.

    I bambini lo fanno sempre e spesso per stada si sentono i bambini piccoli domandare alle persone anziane: “signore, per favore, mi dai la mano per attraversare la via?”.

    Solo agli stranieri i cubani danno del Lei e solo se sono commessi di negozi, camerieri in strutture turistiche o funzionari in qualche ente od ufficio che ha a che fare con stranieri.
    Nel ambito di un incontro informale o lungo le bancarelle di un mercato di artigianato o di frutta e verdura non ho mai sentito dare del Lei a nessuno, neanche agli stranieri, come me.

    Inizialmente questa abitudine lascia un po’ perplessi ed incuriosisce. Poi, oltre a diventare normale e quindi quasi non più avvertita, lascia intendere la coesione e la solidarietà che unisce i cubani, che percepiscono quasi come un dovere aiutare un vicino o un conoscente che si trova in difficoltà o a cui, anche solo per distrazione e dimenticanza, manca il sale, il riso od altro ingrediente per cucinare.

  16. La sera stessa in cui ho inviato il mio messaggio, mia moglie ha messo a tavola due bicchieri per l’acqua, di vetro artigianale, con sfumature verdi. Mia moglie non legge i suoi post, né ha mai letto i suoi libri. L’ho vissuto come una sincronicità e non mi sono stupito affatto. L’avventura di uno diventa già quella dell’altro senza che neppure se ne accorga. Quando mi capitano queste cose, tutto mi diventa più sopportabile, le fatiche della giornata, il traffico delle strade, le procrastinazioni. Quando ho bevuto da quel bicchiere verde ho immaginato la sua mano che coglieva quella foglia di lattuga. Ma quando si vive nel momento, quando non c’è tempo e quindi spazio, la sua mano non diventa la foglia stessa? Bere da quel bicchiere verde mi ha portato in quell’altrove, in quell’altroquando che inseguo da sempre. Poi, la sera, prima di addormentarmi ho avuto un’immagine: se il capitano Achab non aspettasse che riaffiori il capodoglio ma si gettasse in mare ad inseguirlo negli abissi, cosa avverrebbe? Nell’oscurità non ci sarebbero più forme, né riferimenti. Il capodoglio, il capitano Achab, il mare stesso diverrebbero Uno. Così mi sono addormentato.

    Elaborare è talmente impegnativo e complesso che non si contano le volte in cui la mente rimuove determinate percezioni perché non le sa collocare o perché, come dice lei, non trova le parole, la traduzione. Ma un certo tipo di mente lo pretende, ecco che quel gomitolo, bello di suo, senza un origine e senza una fine, viene sciolto sulla matrice passato, presente, futuro. Il filo viene scansionato, diventa racconto, diventa comunicabile. Credo che sia questa la potenza della struttura “racconto”, permette un assorbimento cosciente. E questo da sempre, dalle antiche favole di Fedro, passando per le parabole del Vangelo, fino ad arrivare ai romanzi dell’età moderna. Ma non tutto è traducibile e, forse, è bene che sia così. C’è un mondo misterioso, nel quale è immerso l’uomo, che, credo, debba sentire come tale, anzi lo deve nutrire. Forse, solo allora, la vita sarà completa.
    Dia nutrimento alle sue intuizioni, sono quelle che danno coraggio per intraprendere il nuovo. È buffo, ma di solito le intuizioni vengono da lontano, lontanissimo, lo ha mai notato?

    Permetta una digressione finale. Ero molto combattuto sul mio commento precedente, non per il contenuto ma per la forma. Dargli del tu o del lei? E firmarlo come, poi? Ci ho pensato su e ho concluso: il rapporto è completamente impari. Lei è totalmente esposto, io no. Io so un po’ di lei, lei nulla di me. Perché dovrei prendermi una confidenza dandole del tu? Lo trovo una indebita violenza. Non mi prendo questa confidenza di darle del tu per poi un giorno farne polpette, come di solito avviene. Capisco che è costume in internet, nei forum, nei blog, nelle chat (forse è questa la ragione per cui non ho profilo su facebook, etc…) darsi del tu, ma io non ci riesco. Darle del lei è un modo per renderla più libera nei miei confronti. Non me ne vogliano i lettori del suo blog, capisco che tutto questo possa essere percepito come un vezzo tanto snob quanto inutile.

    Saluti.

  17. Felicità è capire che il gatto che ti sei ritrovato in giardino, non se ne andrà più 🙂 Scusate l’ OT ma se non condivido con voi con chi devo farlo?

  18. Io la chiamerei però una masturbazione mentale, tutto questo godere della propria capacitá contemplativa e ricerca dell’essenziale. È facile, per chi come Simone, come molti di noi che siamo qui, che capiamo e condividiamo questo approccio alla vita. Ma non vi sembra un approccio di rinuncia? Lo dico senza polemica verso nessuno, lo domando anche a me stesso ogni giorno. A volte la sensazione di avere toccato l’essenza è così inebriante … Che ci convinciamo che la vita è proprio lì e non nello strepitare effimero della corsa frenetica. Il prossimo passo rischia di essere la rinuncia all’altro, quindi è la morte.

    • Fulvio, condivido quel che dice Sara, e aggiungo che non è possibile incontrare la vita, la società, la cultura, l’altro, senza prima aver almeno tentato di incontrarsi. Chi va verso il mondo, chi è? Come si presenta, cosa pensa, che fa? Cosa chiede, cosa propone, come assume ciò che assume dal mondo, con che filtro lo assorbe? E’ un soggetto che ha nel bene o nel male una sua struttura, una sua via?

      La cultura contemporanea tende a definire questo approccio come un approccio irrealizzabile. “Solo alcuni hanno tutta la consapevolezza che serve. Ma sono pochi”. Per tutti gli altri che vada come deve andare. Non si può pretendere che tutti… Questo discorso lo si faceva anche quando si parlava di alfabetizzazione e scuola per tutti. “Mica tutti possono studiare!”. Era inconcepibile.

      Anche oggi è inconcepibile che invece di un popolo di pecoroni ignoranti drogati di televisione, simboli e di consumo si arrivi un giorno a una grande massa di persone che pensano con la propria testa, che evitano di accettare schiavitù dannose e evitabili, che cercano sobrietà, equilibrio, armonia col mondo. E’ inconcepibile perché è una grande sfida, quasi irrealizzabile prima di iniziarla, fattibile forse domani. E oltre che inconcepibile non è economica: a chi gioverebbe questa gente che sa, che cerca, che capisce? Non certo alla finanza (che chiama gli investitori “parco buoi”), non certo al consumismo, non certo alla politica. Ecco uno dei motivi per cui non se ne parla molto (non in questi termini, almeno).

      Ecco a cosa serve guardare dentro, staccarsi, dire dei no, sottrarsi al caos del consumo, del traffico, del lavoro. Per fare quella strada. Per contribuire a un fatto di altissima rilevanza sociale: diventare uomini, il più solidi ed equilibrati possibile. Dunque cittadini migliori.

      Ecco perché non penso che sia una scelta antisociale o di isolamento. Anzi, è l’atteggiamento più sociale e più responsabile che conosca. ciao!

  19. … e il naufragar m’è dolce in questo mare.

    E taccio anch’io, comme Imma… c’è qualcosa di denso, impalpabile che solo il silenzio può far assorbire e conoscere. Non servono le parole, servono i sensi, serve quasi la pelle. …grazie.

    Buonanotte.

  20. Beh, diciamo che probabilmente è vero, qui non si tratta più di downshifting, di riapproriarti “semplicemente” [già, come fosse semplice!] della tua libertà.
    Si tratta di che cosa puoi fare, e che cosa puoi pensare, e che cosa sei e che cosa diventi, quando ti sei riappropriato della tua libertà.
    A un certo punto provi gioia nel costruirti una sdraio bianca (come dimenticare quel post, Simone?), poi paura e sgomento nella solitudine, poi pian piano il pensiero si fa acuto, sempre più lucido, sempre più essenziale (nel senso che giunge all’essenza).
    E questa cosa complessa che è la vita senza droghe, sconti, veli e finzioni, dove porterà?
    Che cosa posterà Simone tra sei mesi, un anno, dieci anni?
    Che cosa farò io, di fronte a questa realtà che mi attira irresistibilmente e nel contempo mi atterisce con il sapore estremo delle cose ultime?

    Non lo so. Ma è bello essere ancora qui, oggi, a leggervi e scrivere con voi.

  21. Cari tutti e’ bello ‘fermarsi’ un attimo, solo all’estero, a cena, la famiglia lontana e per questo un sottile sentimento di solitudine, il libro di Simone tra le mani. Non vedo più il ristorante in cui sono, non vedo più le persone che mi circondano, sento la vita e vedo i dettagli di semplici lampade intrecciate sulla mia testa. Non voglio avere rimpianti e riconoscere un giorno di non avere vissuto. quello che hai scritto Simone e’ molto bello a me personalmente ha comunicato un po’ quel senso di incertezza che per chi sa Interpretarlo non vuol dire paura, ma vuol dire opportunita’ di scoprire qualcosa di nuovo fuori e dentro di noi e poi mi ha fatto venire alla mente la parola ancestrale come se tutto quello che ci circonda avesse sempre fatto parte di noi, ma ce ne eravamo dimenticati o ce ne eravamo voluti dimenticare. La ricerca penso vada in quella direzione, liberarsi di tutto per provare sulla propria pelle le vere emozioni positive o negative che siano. Into the Wild insegna. Tentare poi di strutturarle o dar loro dei confini potrebbe essere riduttivo, forse e’ opportuno solo provarle. Grazie comunque per avermene regalata una.

  22. @ Simone oh, hai capito tu laggiù? IN GIOCO NON C’è il lLAVORO, IL DENARO LA CASA…..
    Si comandante l’avevo capito
    GRAZIE

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