Giro, giro, giro…. Oggi Miazina, sopra Verbania. Un posto che avrei dovuto visitare anni fa, ma invano. L’Italia scorre in senso inverso alla marcia del nostro piccolo pulmino, che vaga alla ricerca di storie. Quello che era sulla carta diventa faccia, corpo, dimensioni, luoghi. E atmosfere. Ogni uomo o donna che abbia cambiato vita ne crea una originale intorno a sé. Un’aura.
Pensavo, un paio di giorni fa, che quello che sto conoscendo non sono casi, neppure storie. Sono stati emotivi. Le persone che intervisto cercano di spiegarmeli. Io faccio tutte le domande del caso, perché siano comprensibili anche ad altri. Ma la parte vera, quella più importante, è nella luce degli occhi, dentro qualche immagine fossile, rapita e conservata negli specchi più reconditi della pupilla. Io guardo, ricordo, capisco. Riuscirò a tirare fuori questa parte, attimi di silenzio che dicono più di ogni altra cosa?
Mi è ancora chiaro quel giorno che guardavamo un rudere non ancora mio. Ero solo, in realtà. Uno solo a vedere. Quando me ne accorsi, tutta la meraviglia se ne andò. Stavo già sperimentando uno degli effetti delle scelte forti: la solitudine. E’ comunicabile l’emozione?
Lo compresi la prima sera che dormii in quella casa, non più rudere ma vuota. Un materasso per terra, nulla più. Seduto sul legno davanti al camino acceso, senza la cucina (l’avrei costruita mesi più tardi), senza niente. Volevo esplodere dalla gioia. Le esplosioni di gioia si possono filmare?
Ne ebbi misura un lunedì d’autunno: non lavoravo da otto mesi, fuori pioveva, la mia casa era ancora un caos, ero preoccupato per la solitudine, i soldi, l’amore, il gasolio, il freddo, il futuro. Per tutto. Quella notte mi venne una febbre violenta. Mi svegliai, nel buio non riconoscevo la stanza, non sapevo dove fossi. Avevo paura. Si può intervistare la paura?
Dopo essere partiti, scopriamo che il mare calmo della nostra vita precedente è scomparso. L’uomo a bordo del piccolo legno ha grandi speranze, e una paura fottuta. Borda le vele come può, scosso dalle raffiche, tenta in tutti i modi di tenere la rotta, ma si sente sopraffare. Comunque, spera. Il suo cambiamento, la vera storia e il vero significato di esso, è lì, in quei momenti d’indimenticabile, ruvida e brillante emozione. E’ solo. Nessuno crederà ai suoi racconti. Lo chiameranno storpiando il suo nome, se va bene; dubiteranno della sua traversata; “avevi il motore!” gli rinfacceranno maliziosi; “la burrasca non era poi così forte” sibileranno per sminuirne le pene. Ma loro non c’erano, come non c’eravamo noi nei loro momenti d’angoscia. Con una differenza: a chi parte davvero, dopo una burrasca, non restano che mute parole di riconoscenza. Se li guardi negli occhi, le senti.