Appunti…

 

Il bagno

Prima serata fredda. Sono a casa da due giorni, dopo tanto. Camino acceso. Per me inizia così l’inverno. Quando finirà lo capirò perché non lo sentirò più crepitare. Per qualche giorno soffrirò di solitudine. Appunto: è grave quando ci si fa compagnia con un fuoco?

Tante cose rimaste indietro, tante cose da fare. L’orto è l’unica a posto. Ho cipolle, aglio, finocchi, cavolo nero, insalata (splendida), ancora pomodori, gli ultimi, e poi il fragoleto, spezie di ogni tipo. Le olive vanno in salamoia domani. Poco di tutto, ma per provare. So come sono fatto: su certe cose mi servono anni per imparare. Imparare è una cosa che mi dà un mucchio di soddisfazioni. Appunto: perché mi piace imparare.

Il nuovo libro è in fase di editing. Una fase delicata, non sempre facile. Tempo ce n’è, ma non bisogna sprecarne. Ogni volta che ricevo un pezzo dall’editor inizio subito a lavorare. La mattina presto, ancora buio. La mattina sa di vita. Thoreau, in Walden, scriveva: “Ho infinita speranza nell’alba” e poi “L’arte più degna è influire sulla qualità del giorno”. Io ho più la sensazione che il mattino influisca sulla mia. Tutte le cose migliori le ho pensate prima del sorgere del sole. Appunto: perché la mattina penso e sento di più.

Sto girando intorno a dei progetti che hanno a che fare con il bosco. Il recupero, innanzitutto. La costruzione del sentiero per arrivare al torrente, che in questi giorni urla tumultuoso. Poi tettoie, almeno due. Un sentiero di legno per poter camminare scalzo sotto gli alberi. Negli spazi recuperati alla macchia incolta devo mettere delle istallazioni, sculture, cose che pendono dall’alto o sorgono tra la roccia e i tronchi. Questo bosco deve resuscitare, e poi vivere. Appunto: perché vorrei fare tutto. Da capire bene.

Devo smettere di rispondere alle email, ai messaggi. Non posso più farlo. Mi toglie tanto tempo, e poi ci resto male quando qualcuno mi dice sempre le solite cose. Ne ha diritto, sono io che non capisco. La comunicazione, lo so da tempo, va regolata. Non si può esserci sempre, non si può leggere tutto. Tra libri, pagine di siti e giornali, tra  messaggi, post e email credo di leggere migliaia di pagine al giorno. Bisogna prendere la decisione. Non è priva di sofferenza. Qui, nel silenzio, sembra possibile. Appunto: che ruolo ha la comunicazione, perché mi sta così a cuore.

E poi c’è il resto: il documento sulla politica, che ho in mente; il giro del Mediterraneo in cinque anni; il progetto del barcone; il romanzo su Dragut, che ormai è alle porte; il viaggio che voglio fare… In questi giorni alcune logiche del lavoro mi sono tornate addosso. Che brutto scoprirmi ancora in grado di difendermi. Avrei preferito soccombere, anche se un poco l’ho fatto. In altri tempi non avrei ceduto un millimetro, fino alle estreme conseguenze. Invece ho lasciato, ma solo dopo una reazione. E’ dura togliersi di dosso il pelo. Occuparsi del vizio è stato più semplice. Appunto: fare più attenzione, in futuro.

Ho parlato con qualche amico che lavora, gente della vita di prima, ex colleghi. Li ho trovati stanchi, affranti, preoccupati, senza vita. Le cose, a quel che mi dicono loro, stanno peggiorando nelle aziende. Mi chiedo quanto resisteranno, cosa sarà di loro. Le cose cambiano velocemente, stanno correndo verso l’ultimo nodo. Appunto: occuparmi di loro, di tanto in tanto.

Domani però non farò niente di tutto ciò. Domani dipingo un’asse sotto al lavabo, col bianco da barche. Mi voglio sedere per terra, con un po’ di musica, e lavorare lentamente. Poi voglio fare una crostata, in quella di stasera non ho messo il burro, ed è venuta dura. E basta. In tutto il giorno solo queste due cose. Per domani, nessun appunto.

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Domani

Domani sera, 25 ottobre, su RAI 5, alle 21,15… Mah!

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Occasioni

Nuvole in Val di Vara, qualche tempo fa

…vorrei che mettessimo più attenzione in ciò che facciamo. E’ solo una parte, una minima parte, di quello che abbiamo a disposizione. Bisogna tenersi per mano… essere più generosi… ma la generosità non è aiutare gli altri, essere pazienti… è costruire occasioni per le emozioni… vorrei che mi aiutaste tutti a capire questa piccola verità… occasioni per le emozioni.

Scrivevo queste righe in un romanzo, tanti, tanti anni fa. Il principio mi è molto caro, direi forse che è uno dei miei temi centrali. Almeno quando parliamo sinceramente, profondamente, della vita. La nostra.

Quante volte abbiamo ideato, promosso, progettato qualcosa che coinvolga gli altri? Quante volte abbiamo lavorato perché qualcosa, alla fine, facesse riflettere, comprendere, emozionare i nostri amici? Quante volte abbiamo cucinato per loro? Quante volte abbiamo pensato di presentare a qualcuno i nostri migliori amici, spendendoci per far tornare agende e occasioni? Quante volte un viaggio di alcune persone è avvenuto grazie a noi, o un progetto ha preso corpo per sviluppare una nostra buona idea? Quante volte il nostro sangue pompava per la fatica, il ragionamento, l’impegno necessario a costruire queste “occasioni” per noi e per altri?

Quante volte abbiamo dovuto combattere la quotidiana battaglia dei generosi, quella tra dare energia e domare le aspettative?

Sulla vita, l’analisi che facciamo è troppo superficiale, generalmente. Oppure è riservata a pezzi isolati della nostra storia. Di generosità, almeno in questi termini, non parliamo mai. Consideriamo del tutto normale non fare mai una festa in cui coinvolgere le persone che amiamo; o fare i nostri percorsi seguendo l’unico faro dell’opportunità, di ciò che ci interessa, ci fa bene, intersecando il cammino degli altri solo se capita; oppure partecipiamo, andiamo, quando la politica, la religione, l’associazionismo ci invita, o anche, semplicemente, i nostri amici, e ci sentiamo anche appagati, magari. “Oh, io ci sono andato, eh?! Lui mi ha invitato ma io c’ero!” Troppo poco. Una prestazione che considero mediocre, parziale, insufficiente. Non siamo enzimi di niente, così.

Chi pensa e fa, si spende. Consuma energia. E lo fa per sé, sia chiaro: c’è gente che se non progetta muore. Però quest’azione genera opportunità, di cui anche noi godiamo. Pezzi di vita buona, che senza quel tale non ci sarebbe stata. Farà poi lui i conti con le sue motivazioni, e se lo fa onestamente o meno, non ci deve riguardare. Ma noi abbiamo conosciuto persone, grazie a lui, vissuto luoghi e momenti, sentito, imparato, respirato altra aria, masticato buona vita. Quanti hanno fatto lo stesso grazie noi? Una festa riesce per chi la organizza e per chi ci va, ma cosa determina per primo l’altra possibilità: pensarla o partecipare? Analizzando il nostro mondo, magari con l’idea di cambiare il nostro destino, dovremmo passare al vaglio quello che siamo… anche attraverso questo filtro.

Punto molto importante. Questa società mi piace poco anche perché è pervasa dall’opportunismo. I gesti che mi favoriscono, che mi aiutano, che mi fanno godere, finiscono con l’essere, troppo spesso, la ricaduta casuale di un processo che non è nato per me. Una briciola che cade da altri tavoli, un effetto collaterale di azioni che convenivano ad altri, e che solo per caso hanno raggiunto anche me. Quante volte qualcuno ha fatto qualcosa esattamente per me, perché io fossi felice, provassi piacere? E quante volte quelle cose le ho fatte io?

Devo ricordarmi di associare la generosità alle mie liste delle cose da fare e da non dimenticare. Ad esempio quando mi chiedo che vita faccio, che impatto ha su di me, quali scelte devo mettere in atto per migliorarla. Domandarmi questo non basta. Non vorrei finire con l’essere uno che parla e non ascolta, che chiede e non dà, che gode dell’invito ma non invita, che mangia volentieri ma si dimentica di cucinare, che giudica chi fa come un “narcisista” ma poi non giudica se stesso come uno stitico relazionale, quale forse spesso siamo. Non vorrei accorgermi che mi occupo di volontariato e poi non costruisco un’occasione per le emozioni del mio migliore amico.

Se è per farsi dire “bravo”, “grazie”, che facciamo cose che non si dimenticano, che ci arricchiscono, che allontanano per qualche ora il senso della morte, ben vengano allora l’ambizione e il narcisismo. Modi per produrre affetto, forse. E che male c’è? Forse è meglio chi non ne ha bisogno e, infatti, si dimentica di fare qualcosa per gli altri?

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Dove sono gli uomini?

L’idea di un libro viene sempre da lontano. Prima è materia sfumata, gassosa. Una nuvola che aleggia e scompare. Poi diventa scoria liquida, detrito, mescola priva di forma che scorre in una sola direzione. A volte il torrente si estingue, o prende strade traverse. A volte resta, si ingrossa, fino a depositare oggetti solidi sulle rive della fantasia. Uno scrittore vive seduto sugli argini di questi fiumi. Fa il pescatore, il raccoglitore, e quando decide di alzarsi è carico, con la schiena china. Trascina cose più grandi di lui.

Il viaggio del nuovo libro sta per concludersi. Per anni mi sono fatto domande, per anni ho chiesto racconti, ho raccolto articoli, letto libri. Ora vedo sullo schermo tante pagine, 250.000 battute circa, che a fine mese consegnerò a Chiarelettere. Nascerà, ormai posso dirlo credo, “Dove sono gli uomini?”, libro a tesi.

E’ stato un viaggio lungo e impegnativo, a volte penoso, doloroso. Tante storie, tutte di donne, tutte vere. Storie che servono a comporre un mosaico che ritrae un assente. Un itinerario percorso per ascoltare donne, e per capire con loro il mistero della scomparsa degli uomini.

Come sempre accade in un’indagine, il risultato è solo un insieme di dubbi. Ecco le ultime righe del libro che, forse, leggerete a gennaio:

I libri non hanno mai saputo dare risposte: sono importanti perché pongono domande, le estraggono dalla polvere dove la disattenzione o il calcolo le hanno relegate. Ecco perché li vietano, i libri: perché non c’è cosa più importante ed eversiva delle domande, e chi non se le fa è destinato alla decadenza o alla schiavitù. Tra le pagine, invece, sorgono interrogativi e nasce il desiderio di tentare possibili ipotesi, proprie e originali, da mettere in comune perché tutti possano confrontare le proprie con le altrui. Il dibattito non lo concludono mai i libri, semmai lo suscitano. Un libro è sempre e solo un inizio. Fine”.

 

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Giorni duri, così pieni

 

La badante le dice “mangia!”. Ma mia madre chiude la bocca, l’ultima resistenza contro l’invasore. Socchiude anche gli occhi, come uno che ti voglia dimostrare che non scherza affatto. Sembra pronta al martirio. Non mangerà.

Io intervengo, cerco di spiegare che in famiglia abbiamo una certa passione per la libertà, e non sopportiamo le imposizioni. Maria, la badante, forse si offende. Mia madre mi lancia un’occhiata. Uno sguardo complice, credo.

Non ho mai sopportato che mi imboccassero. Ci provò per prima (e ultima) mia madre, proprio lei, con gli omogeneizzati. Dovevo essere dotato di buon gusto fin da neonato: glieli sputai in faccia. Lei capì, e non mi costrinse mai più a mangiare qualcosa. Tentava di spiegarmi che dovevo nutrirmi, ma raramente: avevo un buon appetito di mio. Poi, crescendo, mi insegnò tutti i suoi trucchi ai fornelli. Cominciai a cucinare, e lei assaggiava sempre con piacere quello che preparavo. E’ sempre stata curiosa dei cibi esotici che scoprivo. Mio padre invece si fidava poco: “non si potrebbe avere un piatto di pasta col pomodoro?” provava a dire. Ma lei no, assaggiava tutto: il pesce crudo, lo zenzero, i sapori agrodolci, le spezie indiane, quello che riportai tornando dal Giappone. Le è sempre piaciuto tutto, bastava fosse una novità. Purché nessuno ci obbligasse a mangiare. Il cibo è come la vita: bisogna sceglierselo.

In questi giorni le sto sempre accanto. Non capisco niente di quello che dice. O forse sì. R., la mia agente, che ha esperienza di queste situazioni, mi ha scritto ieri: “Simone, tu sei uno scrittore. Cerca di capire il suo linguaggio. Vedrai che puoi riuscirci”. A tratti parliamo, infatti. Non credo sappiamo di cosa. O forse sì. Ieri mi ha detto una cosa che non dimenticherò facilmente, ad esempio. Una cosa che avrei preferito non ascoltare.

Allora sentitemi bene, devo dirvi una cosa importante: tutto quello che ho scritto fino ad oggi sulla vita, sugli anni buoni, sul tempo, sul non perderlo e dargli valore, sulle scelte da non procrastinare, sul peso reale delle cose, sulla dignità… era vero! Non so se mi servisse una prova. Credetemi, ne ero già convinto. Ma il senso di certe mie affermazioni, di certe scelte, non potevo supporre che fosse così ponderoso, neanche io. Oggi mi è tornato in mente che dietro tutto questo c’è un principio molto importante, qualcosa che mi ha insegnato proprio lei: la dignità. Dignità è caricare i minuti di senso, non farli fuggire via. Dire prima che sia tardi, fare prima che sia più facile dire. I minuti  finiscono, e per la dignità non c’è più tempo.

Mia madre ha sposato un uomo povero, che non aveva potuto proseguire gli studi. La sua famiglia era contraria, ma non c’è stato verso. Una persona (una donna!) quando crede in qualcosa, quando ama qualcosa davvero…, non c’è verso di fermarla. Da allora ha fatto traslochi, ha cambiato città e città, ha viaggiato con una roulotte da Roma fino alla foce del Danubio, sul Mar Nero, ha dormito sola in case isolate, ha fatto fronte ai problemi di soldi, a ogni cosa. Mia madre ha sempre avuto coraggio. Oggi che fa fatica a fare ogni minimo movimento, oggi che quasi non c’è più, ci sono e restano e parlano forte, urlano per lei, tutte le sue azioni. Siamo quello che facciamo, sembrano dire. “Ricordatevelo, quando avete a che fare con me”. Niente storie, solo tanta vita. Alla fine i discorsi valgono meno di zero, almeno se non sono preceduti dai fatti.

Scrivere e piangere sono azioni che mal si conciliano. Non si vedono bene i tasti, si rischia di sbagliare. Però col cuore in subbuglio, con l’anima che latra, fuori da ogni stronzata spazzata via dall’esistenza vera, non faccio che pensare a scrivere. Sarà perché si campa di questo, alla fine dei conti, e di questo si crea. Non so se dopo questi giorni sarà ancora facile sognare. Lo vedremo. Pensavo di sapere cos’è la stanchezza, di essere uno che non lo metti in ginocchio neanche se crepi, ma mi sbagliavo. Meglio 60 nodi nel Golfo del Leone che vedere la vita quando si compie. Si soffre meno, e alla fine resta solo l’orgoglio. Qui, non credo ce ne sarà.

Oggi mia madre ha sussurrato: “Io vorrei che tutto questo…” poi si è interrotta. Le ho chiesto “Cosa, mamma, cosa vuoi dire?” Lei mi ha guardato con occhi pieni di pena, e di passione. “Tante cose…“. Non ha aggiunto altro. Tante cose… Non ci siamo mai capiti così a fondo, forse.

Che giorni…! Che fatica, che dolore… che commozione! Ci sono mattine che mi nutro solo masticando lacrime. Però che gioia essere qui, vicino a lei. Fosse anche soltanto questo il beneficio delle mie scelte, che grandi scelte ho compiuto! Mia madre è sempre stata una persona che prendeva un’opzione: magari sbagliava, ma se decideva per la dritta, andava a dritta. In certi momenti, quando è ancora il momento, quando ancora si può, bisogna non perdere il bivio.

E’ strano… ora che vive immersa nella sua grande confusione, ora che quasi vola, mi pare che occupi più spazio di prima. Sono i suoi bivi imboccati con coraggio a darle volume. “Un grande uomo lascia orme profonde”, diceva il personaggio di un grande film. Nella sua assenza, mia madre occupa ancora la sua scena. Ed è un onore vederla, un privilegio poter dire: “Io sono come lei”. Quando ha serrato la bocca e socchiuso gli occhi l’ho amata. Non mi farete mai mangiare quello che non voglio. Così si fa. E’ mia madre.

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Un’altra vita – coming-up

Parte il 25 ottobre, alle 21.15. Vi aspetto (speriamo bene…).

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Il puntino accanto

Il Golfo dall'Altavia, stamattina presto

 

Il viaggio è lungo. E ogni volta che pensi di essere arrivato a una tappa importante, scopri che su una carta geografica sei in un puntino accanto a dove eri partito. Le miglia non si misurano con la fatica, ma col solcometro, strumento freddo e ignaro. Dunque… un po’ di strada la fai ora, capendo la distanza vera

Giorni a casa, giusto due o tre, dopo mesi tra mare e strada. Su “Adesso Basta” l’avevo scritto: “viaggerete molto…”. Ma non pensavo così tanto… Ora qui, giorni per pensare, immerso nella nostalgia e nel caos. La famiglia, l’amore, la scrittura,  nuovi progetti che attendono solo il loro tempo per farsi spazio nel cuore. Quante cose può contenere il cuore di un uomo? Quante la sua mente? Quante ne riesce a fare, a elaborare, senza che nessuna patisca? Un altro metro di strada, dunque, ha a che fare con la capienza, col volume.

Stamani, sul presto, passeggiata tra i boschi dell’Altavia, a prendere qualche fungo per il pranzo, a guardare il Golfo dall’alto. Poi lavori nell’orto: cipolle, cavolo nero, aglio, finocchi, insalata. I pomodori danno e danno, quest’anno, sono gli esseri più generosi che frequento. Lavori anche alla casa, rimasta ultima in tutte le liste. Serve organizzazione, metodo. Un pezzetto di strada si fa col foglio e la penna, tirando righe sugli avvenimenti.

Quasi sera. Quando mi sono fermato, poco fa, mi sono accorto che ero stanco. Steso sul divano, ho pensato al tempo che verrà: mia madre, i miei pensieri su di me, su dove sono. La trasmissione che partirà il 25. Il libro da consegnare il 28. E poi vuoto, un’agenda immacolata. Pagine bianche da scrivere, fino in fondo. Un miglio in più si fa anche con l’immaginazione.

Ho riguardato la carta. Il puntino era un poco più avanti. Una giornata in più. L’àncora che non tocca mai il fondo della stessa baia.

 

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