Se

Stasera ho visto “The Family Man”, con Nicholas Cage e Téa Leoni (che eleggo a mia donna ideale della settimana). Ebbene, tra le tante provocazioni che ho scritto fino ad oggi, state per leggere una delle maggiori, la più spinta e difficile da spiegare: è un gran bel film. Tutti i cinefili staranno inorridendo, lo sento. Ma vi prego, concedetemi qualche riga.

La storia è semplice:
1987: Jack e Kate sono due studenti universitari, giovani e molto innamorati. Jack vince un internato di un anno in un’università inglese e sta per partire. Kate lo ferma davanti al gate dove sta per imbarcarsi: “non andare, ho paura. Ho un terribile presentimento. Possiamo vivere la nostra vita insieme, non abbiamo bisogno io della mia università per diventare avvocato, tu di questa specializzazione per darti alla finanza. Rimani, non partire”. Jack la rassicura, le dice che la ama. E parte. “Ritornerò presto, vedrai”.

2000: sono trascorsi 13 anni. Jack è un big della finanza, che tratta affari per miliardi di dollari. E’ in palla, ha delle splendide amanti, è su di giri, felice. Una sera però si addormenta nel suo superattico, e quando si sveglia la sua Ferrari è sparita, si ritrova in una casa in un sobborgo di New York, ha due figli, un cane e vende pneumatici al dettaglio nell’azienda del suocero. Ma è lui, è cosciente di come si era addormentato, di essere un boss della finanza. Eppure la sua vita fin lì è scomparsa. Kate è meravigliosa, presta assistenza legale gratuita ai bisognosi, guadagna due lire. I figli sono splendidi, gli amici anche, ma non è la sua vita. Un incubo. Ci vogliono due o tre settimane perché capisca, si renda conto, parli con Kate, fino a iniziare ad amare “quel che sarebbe stata la sua vita” se fosse tornato da lei. Jack, infatti, non era tornato. Aveva scelto.

Il “sogno” dura poco. Jack si risveglia nella sua vera vita, nel suo superattico, a capo del suo impero. Torna nel sobborgo, ma naturalmente la casa e Kate e i bambini non ci sono. La cerca, allora, e la trova in uno splendido loft del centro di Manhattan. E’ splendida come nel sogno, ma non si è mai sposata, non ha figli, è un avvocato di grido. E sta traslocando. Va a vivere a Parigi.
Ultima scena: Jack corre all’aeroporto. Kate è già al gate, sta per imbarcarsi. Stessa situazione di 13 anni prima, ma a ruoli invertiti. Difficile fermarla, Kate lo rassicura “vieni a trovarmi una volta”. Jack sta per cedere, si allontana. Poi torna sui suoi passi, le racconta il suo sogno. “Io ho visto quello che possiamo essere insieme. Ti chiedo solo qualche minuto, una tazza di caffè insieme”.
Sui titoli di coda che scorrono, mentre fuori dalle grandi vetrate del JFK di New York viene giù un’imponente nevicata natalizia, i due chiacchierano seduti al bar dell’aeroporto.

Ora, spiegato così, il film potrebbe sembrare banale. Invece no, qualcosa c’è.

Ho sempre trepidato al pensiero delle sliding doors. Credo di non aver passato un solo giorno della mia vita senza pensare, almeno una volta, a cosa sarei adesso se

se quel giorno fossi stato più concentrato, in quella palestra, a sedici anni; se quel giorno non fossi tornato all’economato della Sapienza di Roma per cambiare facoltà, da Architettura a Lettere, solo quarantotto ore dopo essermi iscritto al primo anno; se quel giorno all’aeroporto Narita di Tokio, avessi preso un caffé con Keiko Morita; se quel giorno non avessi traslocato, da solo, contro ogni senso, pur di trovarmi spaesato, ma vivo, in quell’appartamento, a ventiquattro anni; se quella domenica, sul divano, avessi cambiato argomento, evitando la più sanguinosa delle rivelazioni della mia vita; se quel pomeriggio non fossi tornato a casa prima, da Milano, e non avessi ascoltato quella telefonata; se quel giorno non fossi partito per Milano con mia madre; se quel giorno, all’Hotel del Sole, a piazza del Pantheon, avessi insistito di più; se quel mattino d’ottobre, al telefono, da Milano, avessi detto “aspetta, voglio parlarne meglio, voglio capire, prendo il primo volo e arrivo…”; se quel giorno, a La Rochelle, non l’avessi vista; se quel giorno a bordo non ci fosse stato ancora un posto libero; se quel giorno, mentre guidavo il furgone parlando al telefono con quella persona importante, non avessi voluto far naufragare tutto; se quel giorno il vento fosse girato di novanta gradi verso ovest, da mare invece che da terra; se quel giorno non avessi spedito quella busta con dentro la cosa più preziosa che avevo; se quel giorno avessi detto “d’accordo, è finita”. Se quel giorno. Potrei continuare almeno per due pagine intere.

Cosa sarebbe capitato? Ve lo siete mai chiesti? Immagino di sì. E che risposta vi siete dati? Sarebbe andata meglio? Sarebbe stato un disastro? Ne siete certi? Pensateci. Quella volta, quella volta specifica, non una generica. E non avete mai avuto la tentazione di tornare lì, in quel luogo, da quella persona, per invertire le sorti del vostro piccolo mondo? E perché non lo avete fatto? Come convivete con questo?

Molti anni fa mi trovavo a Le Marin, il porto delle barche da charter di Martinica, con un vecchio marinaio, uno davvero molto saggio e navigato. Eravamo sbarcati entrambi dopo tre settimane tra Santa Lucia e Union Island, ed entrambi avevamo avuto a bordo gente orribile. Eravamo stanchi, stufi, non ne potevamo più. Avevamo passato la sera a parlare e a bere un pessimo vino. A un tratto lui mi disse: “vedi Simone. Ognuno di noi vive sempre la sua miglior vita possibile. Se potesse viverne una migliore, la vivrebbe. Se non lo fa, è solo perché non sarebbe la sua. Perché non può”.
Non potevo capire bene, pensai che non fosse lucido, almeno quanto lo ero io. Non ricordo neppure come riuscimmo a risalire sulle nostre barche, alle quattro di mattina. Non sono mai neanche stato in grado di capire se avesse o meno ragione. Volevo anche chiedergli qualche spiegazione in più, e l’avrei fatto se il giorno dopo non mi fossi svegliato a mezzogiorno, con un grande cerchio alla testa. Un altro “se” della mia vita. Quel vecchio saggio era salpato all’alba. Non l’ho mai più rivisto.

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76 pensieri su “Se

  1. Considerazioni veramente interessanti.

    Io non ho ancora letto il tuo libro Simone, lo voglio fare questa settimana.

    Anche io ho scritto un romanzo esattamente con questo tema, si intitola: “Due passi avanti appena” Edizioni Edimond

    Ecco cosa ho scritto nella quarta di copertina.
    Tutti i nostri SE… vedono la luce, si realizzano, trovano compimento quando e come vogliamo noi. Prima o poi.
    Dimmi che ne pensi, ciao

    Ci sono dei momenti nella vita che non incontreremo mai più, sono degli istanti brevissimi, leggeri, uno sguardo che incrociamo, qualcuno che ci sorride e saluta.
    Nessuno di noi sa che quella sarà l’ultima volta che vedremo quel volto, una città conosciuta che consideriamo “casa” dalla cui stazione prendiamo un treno, come sempre: ci porterà lontano, lontanissimo e non la rivedremo per chissà quanto tempo, per sempre, forse.
    Sono degli istanti brevissimi che vengono confusi con la vita e con tutte le sorprese che essa ci riserva.
    Sono a volte splendidi, altre volte tristissimi.
    Di una cosa sola siamo certi: soltanto dopo molto tempo sapremo che essi hanno segnato per sempre, in maniera indelebile, la nostra vita futura.
    Ma in quel momento siamo ciechi, sordi, stiamo solo correndo.
    E’ questa la struggente malinconia della vita, viviamo distratti, confusi, procediamo a tentoni come in una stanza buia, anche se ci sembra il contrario. Questo libro è per tutti quegli attimi che la vita ci presenta, per farceli almeno riconoscere, per essere coscienti di ciò che viviamo in quell’istante, nella speranza di afferrarne qualcuno, ogni tanto.
    Perché la vita è un bene perduto, se non l’hai vissuta come avresti voluto.

  2. lunga vita allo scrittore Simone che con sensibilita’ riesce a tirare fuori e mettere in fila le parole che sono dentro di noi. Auguri sinceri di un anno meraviglioso! Baci

  3. Sai, leggere “Sliding Doors” nelle tue parole mi ha ovviamente riportato al film intitolato appunto così ma riflettendo bene, in realtà, quel film non fa vedere come sarebbe andata se…non fosse andata “così”; in realtà in entrambe le due possibilità succedono più o meno gli stessi eventi, lei scopre che il compagno la tradisce, ha in ogni caso un incidente che porta alla perdita del bambino e al ricovero in ospedale, l’amica del cuore è sempre la stessa, il lavoro perso è perso, ecc. L’ho guardato moltissime volte in inglese perchè amo questa lingua e volevo impararla e a forza di guardarlo mi è nata la convinzione che il messaggio vero del film non sia semplicemente 2 versioni dello stesso segmento di vita bensì che voglia evidenziare la modalità: non appena la protagonista perde il lavoro e comincia lo sdoppiamento il pubblico fa il tifo per la prima versione, quella nella quale conosce subito James in ascensore mentre esce e lo ritrova poi nella metropolitana, l’uomo giusto, intelligente comprensivo, ironico, affascinante, impegnato, paziente, che fa cose interessanti e divertenti, e la storia va veloce, il pubblico come dicevo parteggia per questa versione, le donne poi! L’altra invece è quella “lenta” (quella molto più realistica) quella che porta lentamente, piano piano la protagonista a scoprire, a sapere e quindi ad avere coscienza di cosa le capita e di come sia realmente la sua vita; anche in questo caso va a finire in ospedale ed è proprio questa la storia che porterà ad un finale positivo perchè maturata solidamente l’idea di far uscire dalla propria vita il compagno traditore, quando Helen viene dimessa incontra “di nuovo” James nell’ascensore e da lì, si intuisce soltanto, c’è un nuovo vero inizio di una storia positiva. Così mi sembra che in qualche modo il film ammicchi ad un principio del tipo che la pazienza (e la presa di coscienza) sia la via più breve per ottenere quello che si vuole, quello che si desidera o che ci appartiene e ci riguarda, qualcosa di vero, profondo, bello e che ci appaghi veramente.

  4. Caro Simone,
    che belle queste righe. Romanticone!!!
    Sono innamorata. Insomma con quest’uomo ci siamo schivati quattro volte, a partire dall’infanzia, pur abitando in posti diversi: io andavo in quella scuola o a fare il corso di nuoto o in quella palestra da adulti, proprio dove andava anche lui nello stesso periodo, eppure non ci siamo mai conosciuti. Ci siamo conosciuti perché lui ha comprato la mia casa dieci anni fa. Secondo me, posso dirlo ora, la voleva comprare con me dentro :-).
    Questo è stato un caso, ma quando ho scelto una strada al posto di un’altra, ogni volta che ho sbagliato (e sbagliato lo si può dire a posteriori perché al momento non lo si può sapere) non è stato un errore ma la scelta migliore che potevo fare e che volevo fare.
    Se qualcosa non c’è stato, significa che non ero pronta.

  5. Riguardo ai SE …., poni una domanda cruciale: come convivete con questo?
    Quando penso a quelle volte che ….. se avessi detto, fatto, taciuto …. provo molti sentimenti, ma soprattutto tenerezza. Perché tutte le volte in cui ho scelto di agire (o reagire…) in un modo piuttosto che in un altro non ho fatto altro che manifestare esattamente me stessa. Esattamente me stessa con tutti i limiti e le potenzialità di quel momento evolutivo. Era quello il mio grado di consapevolezza, di autonomia interiore. In fondo penso che la possibilità di scegliere altrimenti in alcune situazioni sia illusoria. Se per qualche strano incantesimo fosse possibile tornare indietro per cambiare anche solo un dettaglio della nostra vita e quindi cambiare interamente la nostra biografia, credo che, giocando la partita con la stessa testa, rifaremmo tutti le stesse cose. Perché penso che essere liberi significhi fare i conti con una identità che spesso ci impone delle scelte, una identità che però – per fortuna – è mobile e dinamica e la possiamo lavorare per costruire la possibilità stessa di fare delle scelte.

    Ti ho scoperto da poco. Sono contenta di avere intercettato le parole in navigazione… Auguri di buon anno.

  6. Forse alcuni decidono di innamorarsi. E in effetti non c’è niente di male nel desiderare un compagno, trovarlo e decidere di innamorarsene… oppure nel decidere di innamorarsi, poi trovare un compagno e fare le cose nel’ordine inverso…

    Però io preferisco non decidere niente. Io preferisco che il caso mi colga impreparata, che mi sconvolga quando non ho voglia di essere sconvolta, che mi faccia vedere cose all’improvviso dove non le cercavo… Che mi costringa all’improvviso a riordinare tutte le mie priorità…

    Io preferisco pensare che innamorarsi sia un rischio, una specie di muro che ti si erge davanti all’improvviso o una strada aperta di cui non vedi molto oltre lo sguardo… o magari un’immensa pianura o un mare in tempesta dove forse annegherai…

    Innamorarsi è difficile. Per un’infinità di variabili. E non è sicuro che nello stesso tempo ci si innamorerà di noi… Né che ci saranno le condizioni ideali perché questo cresca…

    Ci sono persone che si innamorano senza mai saperlo. Quelle che si innamorano in solitudine, quelle che un giorno si incontrano e si riconoscono immediatamente… Quelle che non si riconosceranno pur avendone avuto l’opportunità…

    Poi ci sono quelle che sono innamorate e si stanno cercando e che forse non si troveranno mai…

    Però preferisco così…

  7. Mia opinione personale: a volte le decisioni di un “istante”, quelle che sembrano figlie del caso o di gesti istintivi, sono solo il frutto di lunghe riflessioni e cambiamenti nostri interni, spesso impercettibili ma costanti.
    Viste dall’esterno possono sembrare colpi di testa, ma dentro di noi sono il segno che il frutto è abbastanza maturo per staccarsi dall’albero
    Buon anno carissimi tutti!

    • Dona, sai cosa diceva Giacomo Leopardi? “Può improvvisare chi ha molto studiato”. Sembra un ossimoro, e lui lo scrisse nelle Operette Morali col gusto del certo paradosso. Ma è la stessa cosa per l’istinto. Può agire d’istinto, passionalmente, chi ha a lungo lavorato sull’equilibrio e il controllo della passione. Controllo nel senso di guida, di indirizzo, di focalizzazione, non di contenimento fine a se stesso. Nel sesso, non è la stessa cosa?

  8. Questo dibattito sul che “cosa sarebbe successo se” mi ha fatto tornare in mente un passo mirabile tratto da un libro di Castaneda, in cui si sostiene che, dato che non c’è possibilità di controllare le forze che decidono del nostro destino, l’unica nostra libertà possibile è vivere in modo impeccabile.
    O come dice Simone, “decidendo”, cioè quel “misto di decisione consapevole ed inconscia che stanno in capo alla nostra volontà energetica”, in altre parole assumendoci la responsabilità di vivere la nostra vita e viverla al meglio, in modo “impeccabile”.

    «Raccontai alla Gorda come don Juan mi aveva fatto capire che cosa lui intendesse per Impeccabilità. Un giorno, stavamo camminando in fondo a un burrone quando un masso si staccò dalla parete rocciosa e precipitò a una ventina di passi da noi. Era un macigno enorme. Don Juan colse il pretesto per impartirmi una lezione. Disse che la forza che governa i nostri destini è esterna a noi e non ha nulla a che fare con la nostra volontà. Talvolta quella forza può farci fermare per allacciarci una scarpa, come avevo fatto io, per l’appunto, poco prima che il macigno cadesse. Facendoci fermare, quella forza ci fa guadagnare un momento prezioso. Se noi avessimo seguitato a camminare, il macigno ci avrebbe sfracellati. Un altro giorno, però, in un altro burrone, quella stessa forza esterna potrebbe farci fermare un momento per allacciarci una scarpa, mentre un altro macigno si stacca dalla parete proprio sopra di noi. Facendoci fermare, quella forza ci farebbe perdere un momento prezioso. Questa seconda volta, se avessimo seguitato a camminare ci saremmo salvati. Don Juan diceva che data l’impossibilità di controllare le forze che decidono del mio destino, la mia unica possibile libertà, in quel burrone, consisteva nell’allacciarmi le scarpe impeccabilmente.» (Carlos Castaneda)

  9. non mi piace semplificare le variabili di una scelta, di una decisione, di un qualsiasi fatto inerente la vita di un individuo e trarre poi delle generalizzazioni. sia sulle relazioni interpersonali, sia sul lavoro…su tutto. il background di una scelta (sempre se scelta sia) è troppo legato alla storia dell’individuo che stiamo attenzionando e quindi trarre delle conclusioni sulla dinamica generale di ogni individuo è stato frutto di tante teorie e ci sono svariati tomi ma sono solo teorie basate su semplificazioni di variabili perchè, come ogni cosa che è relativa all’essere umano, è e resta una teoria. ognuno ha la sua teoria su quello che è l’innamoramento, quello che è scegliere, quello che è non poter scegliere (ci sono migliaia di casi e realtà in cui l’individuo non ha armi e mezzi per Scegliere, ma mette solamente toppe)

  10. Il piccolo episodio raccontato era molto più basso e marginale delle risposte che ne sono seguite. Diciamo che il collega forse prima o poi avrebbe lasciato comunque la moglie. L episodio della mela da lavare forse è diventato il pretesto per anticipare un evento. Con il collega che aveva messo in dubbio la pulizia della mela abbiamo più volte commentato le conseguenze provocate dall’averlo mandato in bagno. Non ce n’è mai fregato nulla del fatto che avesse lasciato la moglie per un infermiera. Tanto meno dei suoi livelli di innamoramento verso la moglie e l infermiera. A dire il vero non ci è mai importato nulla nemmeno del suo braccio. Quel che conta è il se. Se il collega si fosse fatto gli affari suoi e non si fosse preoccupato della mela di sicuro in bagno a rompersi un braccio non ci sarebbe andato. Questa è matematica non filosofia. E se ci penso bene anche nella mia vita ci sono decine di episodi (episodi non scelte) che come i venti o la corrente deviano il corso delle cose.

  11. Grazie Joe,
    SE è anche davanti a me ogni mattina!

    I sublimi versi di Kipling li ho racchiusi in una cornice dorata (non a caso…) ed è la prima immagine che vedo al mio risveglio ogni mattina.
    Nei momenti più difficili, quando mi sento risucchiare in un mare freddo, torpido e profondo, recito a memoria quei preziosi versi. Come un mantra, una preghiera.
    E quei SE diventano la cima che mi consente di riemergere dall’oscurità.
    Più forte di prima.

    A te, cercatore d’oro, che sai vivere intensamente il TEMPO, auguro di trovare anche gioielli e pietre preziose sul tuo cammino.
    I SE li hai trovati, serbali in uno scrigno. Sono parte del tuo tesoro.
    Per me tu sei già ricchissmo.

    Grazie ancora.
    Ti abbraccio
    Sara

    • specifico per chi ha commentato con qualche riserva.

      Per “decidiamo” (di vivere, di innamorarci, di avere quel che vorremmo, di avere amici etc) intendo quel misto di decisione consapevole e di decisione inconscia che stanno in capo alla nostra volontà energetica, alla nostra disposizione complessiva. Quante volte ho visto una donna sostenere che non trovava un compagno e pensare, tra me e me, che in realtà quella donna, un compagno non lo stava “trovando” semplicemente perché non lo voleva. Diceva di volerlo, ma erano parole che non coincidevano con i fatti e la sua generale disposizione. Lo stesso riguardo il lavoro e via così.

      Mi limito ad osservare che quando ci innamoriamo, quando diventiamo autenticamente amici di qualcuno etc…., quel momento è il terminale di un processo lungo, che viene da altrove, da dentro generalmente, e non il momento T-con-Zero di inizio o di avviamento di qualcosa. Innamorarsi implica molte cose prima, non sempre giuste o utili o corrette tra l’altro, che tuttavia servono per evitare che si abbia di fronte “l’anima gemella” senza vederla.
      Ma è tema lungo e complesso…
      ciao!

  12. Simone, sul fatto che DECIDIAMO di innamorarci non sono molto d’accordo. Diciamo che possiamo predisporci all’innamoramento senza neanche accorgercene, possiamo essere sposati, fidanzati, incatenati, ma essere predisposti all’innamoramento, magari proprio perché siamo pronti al cambiamento. Non la vedo come decisione razionale, io l’ho provata sulla mia pelle poco tempo fa e il mio innamoramento è stata tutt’altro che una mia decisione, è accaduto quando meno me l’aspettavo. Ed anche a me è capitata una cosa come descritta da Cris ed anch’io ero legata già da anni ad un’altra persona. Non me lo sono andata a cercare, non ho deciso, ho sentito dentro di me che qualcosa era accaduto. Qualcosa era cambiato. Da quello stato nascente partono poi le decisioni, ma non decidiamo di innamorarci, al massimo siamo predisposti ad esso. Vi dirò di più, di solito si è ben predisposti all’innamoramento quando si agisce, quando si fanno cose significative per se stessi, quando la propria vita ha un significato e la si vive intensamente, ecco, in quel momento l’amore accade, ci viene a cercare.

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