Cause con… diversi effetti

Vi aspetto oggi 4 febbraio alle 18.00

Parecchi psicologi mi hanno detto che i pazienti di sesso maschile, soprattutto trentenni e quarantenni, sono in crescita. «Fino agli anni Ottanta le donne erano la netta maggioranza. Poi c’è stato un rapido cambiamento.» In quest’epoca di crisi il fenomeno non stupisce, ma pare che la tendenza fosse già iniziata durante il primo decennio del nuovo secolo. La sensazione è che, per un genere e per una generazione, i nodi siano venuti al pettine.

Anche la tipologia dei pazienti è cambiata. Le donne che vanno dall’analista dialogano, fanno «mantenimento», hanno bisogno di un supporto nelle scelte quotidiane, cercano di tenere a bada lo stress o qualche inclinazione caratteriale. Per gli uomini le cose sembrano diverse: «Sono in difficoltà, tanto da non farcela più. Problemi d’identità, di collocazione sociale, d’erezione. Non sanno scegliere. Sono nei guai».

Il fenomeno però è del tutto controintuitivo. Al cinema e alla televisione le donne a colloquio con uno psicologo sono state, negli ultimi dieci o quindici anni, talmente ricorrenti da sdoganare un tabù. Andare da un terapeuta, per una donna, non è più motivo di vergogna. Aprirsi e raccontare la propria interiorità neppure. Per loro, stritolate dai modelli sociali e familiari (donna, moglie, madre, amante, lavoratrice, governante) e da quelli estetici (bellezza, giovinezza, prestanza), è sempre stato facile riconoscere di avere bisogno di aiuto, che spesso veniva offerto dalle amiche, le prime vere psicologhe quotidiane. Ma per l’uomo? La perdita di alcuni ruoli fissi del passato (maschio, capofamiglia, unico produttore di reddito, identificato attraverso il lavoro, qualificato dai simboli economici, portavoce della comunità) avrebbe dovuto tradursi in una semplificazione della vita: meno responsabilità, meno aspettative, meno giudizio sociale, maggiore libertà.

Dunque che è successo? Qualcosa non quadra. «Non è mai stata la fatica a mettere in difficoltà le persone» mi dice Andrea, esperto di analisi transazionale. «Anzi, è proprio quando non hai impegni, quando non sei costretto nei ruoli, che iniziano i guai. Il vuoto fa paura, come il silenzio e l’assenza di richieste sociali. Non è il fare fatica che ci spiazza, ma la mancanza di un ruolo specifico, che ci aiuti a trovare un posto nel mondo.» Mi sembrava di aver capito: l’uomo ha perduto alcune sue prerogative, parte dei suoi compiti e delle sue funzioni storiche, ed è andato in crisi. Anche perché non ne ha ancora elaborati di nuovi.

Poi un giorno, guardandomi intorno, mi sono accorto che conosco e frequento decine di donne single e senza figli. Molte di loro vivono da sole, in affitto, in città. Quasi nessuna è votata alla carriera, almeno così mi pare di poter dire, pur senza basarmi su statistiche particolarmente accurate. Dunque ci sono molte donne per le quali i ruoli simultanei di mamma, moglie e amante sono venuti meno.

Allora ho provato a capovolgere i termini della questione: come mai le donne, sempre meno costrette socialmente e psicologicamente a coprire tutto il campo delle antiche responsabilità, non hanno patito per la perdita d’identità che consegue alla perdita di ruolo? Come è stato possibile il rapido passaggio fra la casalinga tutta casa e chiesa degli anni Sessanta e la donna di oggi, capace di intrecciare relazioni non convenzionali, di inventare modi e tempi del sesso, di ridefinire i sentimenti senza nessun precedente a cui attingere e di stare, tutto sommato, bene?

Se in passato le donne erano quasi tutte mogli, quasi tutte mamme, praticamente tutte impegnate a curare la casa, e ora invece sono spesso single e senza figli, come mai non si sentono orfane del ruolo che le loro madri hanno incarnato e tramandato loro fin da piccole? Perché, per contro, gli uomini non riescono a godere della maggiore libertà sociale e perdono i loro riferimenti? La libertà può avere cause ed effetti diversi. Dipende da chi la vive e da come la vive. O forse la virtù principale delle specie che riescono a evolversi è l’adattamento. Fare il meglio possibile con quello che c’è. Senza rimpianti.

Da pag. 54 di: “Dove sono gli uomini?”, Milano, Chiarelettere, 2013

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75 pensieri su “Cause con… diversi effetti

  1. @Fabio.

    Ps. fa piacere scoprire che sei siciliano! La mia terra a volte mi manca dentro .. sopratutto il mare .. (anche se soffro di cinetosi!!!) .. l’aria della mia terra .. non vedo l’ora di ripassare da giù ..

  2. Non volevo intervenire prima di non aver letto il libro, però leggo molti interventi in forma colpevolista, sono certo che nel libro avrai approfondito una serie di cause, non ultima qualla che forse gli uomini non si sono nemmeno accorti di cosa stanno vivendo.
    Anni di Tv, di tifo calcistico, istruzione precaria e non di meno cibo scadente, forse la nostra attuale genetica è questa, non si tratta più di smuovere una squadra a riprendere il comando, mi viene in mente Al Pacino in una scena di incitamento alla squadra, qui si tratta di orendere coscienza che certe abitudini maschili, ci portano a questi risultati.

  3. aggiungo anche che a volte molti dovrebbero, invece che emulare, stare un po’ a vedere, osservare se stessi, il comportamento della barca e l’evoluzione del tempo. Non bisogna ridurre alla prima raffica, falla sbandare un poco, se continua tieni la randa lascata, se continua ancora prendi una mano…ma solo se ormai sei certo..bastano pochi minuti per capire in mare, anni nella vita terragna. Ho la sensazione, perchè ti dico questo, che alcuni stiano emulando o pensando di emulare te ed è pericolosissimo, cerca se condividi, se puoi anche, di esortare costoro a rifletterci, a non fare passi avventati, fai insomma l’avvocato del diavolo, confuta la tua stessa tesi per precauzione loro perchè il tuo potere carismatico è notevole ma altrettanto pericoloso.

    • hai ragione fabio. Lo faccio, lo scritto e detto dovunque. Poi sai, io sono per le libertà. Ognuno deve trovare la sua via. Io ho copiato molto, spesso, trovavo in questo un buon modo di testarmi. Poi, come sempre, copiando facevo anche diverso. La mia via, buona o cattiva che sia, l’ho trovata anche copiando. Ma non è mai stata una copia.

  4. a me quelli che spaventano (per se stessi, non per me) sono i virtuosisti, non mi riferisco a te che sei uscito da un circuito perchè stavi in apnea, ma quelli che devono ad ogni stagione cambiare le vele per non perdere quel quarto di nodo di bolina, quelli che tra le boe sono degli assi ma appena prendono mare o vomitano a destra e a manca oppure continuano a correre senza ridurre: questi mi terrorizzano. e hai capito a che tipo di persone mi riferisco e a che tipo di riferimento faccio con questa metafora.

    • Non dirmelo a me… Io non dico mai niente, ma per pietà, e per non sembrare arrogante (tanto me lo dicono lo stesso…). Ma se dovessi dire la mia sull’argomento…
      D’annunzio diceva una cosa interessante, in materia, e la riferiva ai bibliofili. Diceva: “I bibliofili sono quelle persone che preferiscono i libri alla letteratura”. Ecco, quelli che descrivi tu sono i velisti, che preferiscono le barche al mare, alla navigazione. Io sono di un altro genere. Non è neanche giusti entrare nel concetto “meglio” “peggio”. Ognuno è libero col suo tempo e i suoi soldi, di divertirsi come ritiene più appropriato. Diciamo che io mi diverto diversamente.
      Quando tra qualche tempo riferirò del progetto che sto organizzando… capirai ancor meglio cosa intendo. Sono qui in grecia a periziare una barca anche per quello.
      ciao! e… Buon vento!

  5. non so se rispondevi a me, ma sono arrivato qui per il libro sugli uomini e ho detto la mia, poi ho capito che il tema di fondo è un altro e ho chiesto e detto come la penso, chiedere per capire il perchè delle scelte degli altri non necessariamente deve mettere in dubbio quello che si fa, o sì, si deve sempre mettere in dubbio perchè ogni istante è una virata, ma ad ogni virata non necessariamente bisogna mettere un set di vele nuove (per fortuna) e se non è il caso non bisogna ridurre, basta regolare tutto ..di continuo! 🙂 Poi se le vele perdono il loro allunamento e le cuciture iniziano a cedere..allora è meglio cambiarle. work in progress…SEMPRE

    • buona metafora Fabio. Molto vero… Del resto se come vedo vai a vela, lo sai: chi va per mare dubita continuamente, pre-occupa la sua mente con cose che potrebbero capitare miglia avanti, dubita di ogni propria scelta, muta spesso rotta per non cambiare mai la sua meta.
      Un po’ come timonare: se vuoi andare dritto, l’unica cosa che non devi fare è tenere fermo il timone.

  6. Marica, che bell’idea! Ho cercato subito il Movimento per la decrescita felice e ho trovato diverse iniziative interessanti…il cucito non c’è ancora, ma ci sono corsi interessanti per imparare a fare l’orto sul balcone o a curarsi in maniera naturale…tutto gratuito! Grazie per lo spunto!

  7. Buongiorno Simone,
    ti scrivo perchè mi sono molto appassionata ai tuoi libri, ho iniziato da: “Adesso basta”,che mi ha regalato una collega dopo varie nostre conversazioni sull’importanza del lavoro.
    Lavoro per una multinazionale nel campo della moda e mi occupo di Visual Merchandising, pur non essendo una creativa. E’ da molto che rifletto se ne vale la pena, tutto questo tempo speso per un “bel lavoro” ma troppo stressante, e che lascia poco tempo per le cose veramente importanti.
    Già circa una decina di anni fa mi sono avvicita al mondo shiatsu, diventando operatrice e proseguendo i miei studi in tal settore, però non ho abbastanza tempo da dedicare a tale attività come vorrei, spesso mi dico che prima o poi “mollo tutto” e faccio dello shiatsu la mia professione.
    Cosa mi trattiene? Forse un po’ di paura dell’incertezza della vita, del domani.. nel senso se pur oggi non essendo soddisfatta della mia esistenza mi da una certa sicurezza economica.
    Lo so che non è una giustificazione, quindi spesso mi capita di arrabbiarmi con me stessa perchè non riesco a predendere questa decisione.
    Mi arrabbio ancora di più perchè a volte/spesso penso alle parole di Gesù in Matteo 6:33 dove ci dice che se confidiamo pienamente in Dio Egli ci darà tutto il necessario per la nostra esistenza, e quindi mi sembra di non aver abbastanza fiducia in Lui. Si io credo molto in Dio e credo che Egli si interessi veramente di noi, e sono convita che abbia un proposito per l’uomo e la terra (Salmo 37:29). Ho notato dai tuoi libri che anche tu dai ascolto alla tua parte spirituale, infatti anche se molti la negano, siamo stati creati da Dio con questo bisogno da appagare e ad esso è legata la nostra vera felicità (Matteo 5:3).
    Le parole che ho letto nei tuoi libri, le trovo moto interessanti, ed hanno molte similitudini con il pensiero di Dio, esempio sul concetto del denaro (vedi cosa dice la Bibbia in I Timoteo 6:10 e Ebrei 13:5). Dal momento che sei una persona riflessiva e hai una gran voglia di andare in profondità nelle cose mi permetto di consigliarti di avvicinarti maggiormente allo studio delle Scritture perchè da esse potrai trovare sorprendenti risposte, sia sul perchè oggi il mondo non riesce a risolvere i gravi problemi della vita, cosa ci riserva il futuro e anche sull’argomento morte.
    A tal proposito mi ricordo che nel tuo libro “Avanti tutta”, a pagina 82 hai dichiarato di non aver ancora affrontato e dissipato i tuoi dubbi sulla morte.
    Lo sai che la Bibbia ne parla in maniera molto chiara? E che vi è una speranza?

    La Bibbia indica chiaramente che Dio in origine non intendeva che gli esseri umani morissero. Egli creò la prima coppia umana, Adamo ed Eva, li pose in un paradiso terrestre chiamato Eden e disse loro di avere figli e di estendere la loro dimora paradisiaca a tutta la terra. Sarebbero morti solo se avessero disubbidito alle sue istruzioni. (Genesi 1:28, 2:15-17)
    Mancando di apprezzamento per la benignità di Dio, Adamo ed Eva disubbidirono e dovettero subirne le conseguenze. “Tornerai al suolo”, Dio disse ad Adamo, “poiché da esso sei stato tratto. Poiché polvere sei e in polvere tornerai”. (Genesi 3:19) Prima di essere creato, Adamo non esisteva, era polvere. E per la sua disubbidienza, o peccato, Adamo fu condannato a tornare alla polvere, a uno stato di inesistenza.
    La morte è quindi assenza di vita. La Bibbia fa questo contrasto: “Il salario che il peccato paga è la morte, ma il dono che dà Dio è la vita eterna”. (Romani 6:23) Mostrando che la morte è uno stato di completa incoscienza, la Bibbia dice: “Poiché i viventi sono consci che moriranno; ma in quanto ai morti, non sono consci di nulla”. (Ecclesiaste 9:5) La Bibbia spiega che quando una persona muore “il suo spirito se ne esce, egli torna al suo suolo; in quel giorno periscono in effetti i suoi pensieri”. — Salmo 146:3, 4.
    Ma dal momento che solo Adamo ed Eva disubbidirono a quel comando in Eden, perché tutti moriamo? Perché siamo tutti nati dopo la disubbidienza di Adamo, e perciò abbiamo tutti ereditato da lui il peccato e la morte. La Bibbia infatti spiega: “Per mezzo di un solo uomo [Adamo] il peccato entrò nel mondo e la morte per mezzo del peccato, e così la morte si estese a tutti gli uomini”. — Romani 5:12; Giobbe 14:4.
    Qualcuno però potrebbe chiedere: ‘Non c’è in noi un’anima immortale che sopravvive alla morte?’ Molti l’hanno insegnato, arrivando a dire che la morte non è che il passaggio a un’altra vita. Ma questo concetto non è tratto dalla Bibbia. Anzi, la Parola di Dio insegna che voi sieteanime, che la vostra anima siete voi, con tutte le vostre facoltà fisiche e mentali. (Genesi 2:7; Geremia 2:34;Proverbi 2:10) Inoltre la Bibbia dice: “L’anima che pecca, essa stessa morirà”. (Ezechiele 18:4) La Bibbia non insegna affatto che l’uomo abbia un’anima immortale che sopravviva alla morte del corpo.

    Le cose che ti ho appena scritto sono solo una piccola parte delle informazioni che puoi trovare interessanti nel sito http://www.jw.org
    Per esempio ti consiglio di ricercare il numero di Svegliatevi Gennaio 2010, potreai trovare utili informazioni del downshifting.

    Mi auguro di non averti annoiato, ma di averti dato un nuovo punto di vista da approfondire in mertito alla nostra esistenza umana.

    Giorgia Davoli

  8. Ma si tutto è leggittimo, se porta ad un modo migliore di stare e un modo di vita che ci rende più sereni e felici. Ma se uno il lavoro che fa lo ama? E se già ha smussato qualcosa e pian piano ne smusserà altre? Non va bene anche o ci vuole l’operazione d’urto necessariamente? Boh! per il momento sto bene così. Non sguazzo nel lusso, ma sono abbastanza felice. Domandina: ma operazioni di autoanalisi, in cui si cerca di smussare aspetti del proprio sè interiore che limitano in qualcosa la libertà di vivere, ne fate? Perchè penso che siano alla base e che tutti tutti debbano farlo prima (e sempre, non si finisce mai di migliorarsi) ancora di andare a smussare aspetti del proprio sè sociale?
    Altra domandina: che ne pensate?
    http://www.repubblica.it/cronaca/2013/02/09/news/trapani_operaio_edile_disoccupato_si_suicida_lo_faccio_perch_senza_lavoro_non_c_dignit-52248802/?ref=HREC1-1

    • Se uno sta bene facendo quel che fa non deve cambiarlo. Se però si chiede come cambiare, forse, non sta poi così bene. I cambiamenti sono interiori. Solo dopo seguono quelli pratici. E’ dentro che occorre stare bene, cercare la via dell’equilibrio e dell’armonia. Poi, una volta cambiati, assestati, equilibrati, si vede fuori cosa serve e cosa osta. Io la vedo in quest’ordine.

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