Riprendo a navigare

 

 

Come si sa, io navigo per vivere. I libri passano, camparci è difficile. Ora chissà per quanto tempo non ne pubblicherò uno, ad esempio, in attesa di iniziare e finire il grande romanzo sui pirati del ‘500 a cui studio da anni…. Ma non si tratta solo di questo. Io di mare non ci campo soltanto, ci vivo. E’ uno dei motivi per cui ho fatto le mie scelte. Ed eccomi qui, allora. Pronto a imbarcarmi ancora.

A maggio e giugno navigherò lentamente in Grecia. E’ il periodo ideale per farlo. Il clima e l’assenza di affollamento rendono unico ciò che è già di per sé splendido. Chiacchiere, buon cibo, vela senza alcuna difficoltà, baie isolate, mare trasparente, sole: ecco gli ingredienti di questi due mesi.
Per me (insieme ai ragazzi dei Nomadi a Vela e di Mediterranea, con cui organizzo le mie attività nautiche), inizierà così il warm-up del grande Progetto Mediterranea, che vi invito a leggere se non lo conoscete già. Chi verrà sarà tra i primi a venire a bordo, in un certo senso a… iniziare il viaggio su un ketch di 60 piedi, una barca solidissima, spaziosa, che comincia così a sgranchirsi le vele prima del grande viaggio, la cui partenza è prevista per marzo 2014. Ne parleremo a bordo, sarà uno dei nostri argomenti per sognare…

Ecco di seguito il programma di massima e alcune informazioni su costi e logistica. Fatemi sapere. Vi aspetto.

Maggio:
Dal 2 maggio, raggiungeteci in Grecia. Questo mese ce ne resteremo nel golfo di Patrasso (collegato piuttosto bene con Bergamo via low-cost o via traghetto da Trieste, Ancona e dalla Puglia).
Lo perlustreremo palmo a palmo, fino anche alla costa sud subito fuori dal golfo verso le Isole Ioniche, con qualche puntata Zacinto e Cefalonia, se sarà possibile.

Costo 390 € a persona (che non includono cambusa, gasolio ed eventuali porti, da dividersi al consumo tra l’equipaggio. Diciamo qualche decina di euro a testa, dipende. Gli approdi, ad esempio, in Grecia spesso non si pagano. Se c’è vento e si va a vela il gasolio non si consuma. Etc..).Dato che questo mese sarà tranquillo, prendete contatto con noi per organizzarci sul vostro arrivo, che comunque sarà sempre verosimilmente a Patrasso.

Giugno:
A Giugno inizieremo a girare per le Ionie, dove vorremmo navigare con molta calma vedendocele tutte molto bene. Le conosciamo tutte, ci siamo stati varie volte girandole piuttosto attentamente, sono isole splendide. Qui sotto non le nominiamo tutte, ma se vi guardate la cartina vedrete che tra isole, atolli e scogli avremo l’imbarazzo della scelta:
– I settimana, sabato 1 giugno, imbarco a Patrasso, sbarco a Zacinto
– II settimana, sabato 8, imbarco a Zacinto, sbarco a Cefalonia
– III settimana, sabato 15, imbarco a Cefalonia, sbarco a Itaka
– IV settimana, sabato 22, imbarco a Itaka, sbarco a Lefkada

Costo 430 a persona (che non includono cambusa, gasolio ed eventuali porti, da dividersi al consumo tra l’equipaggio. Diciamo qualche decina di euro a testa, dipende. Gli approdi, ad esempio, in Grecia spesso non si pagano. Se c’è vento e si va a vela il gasolio non si consuma. Etc..).

Regole di base (leggete soprattutto l’ultimo punto):

Per prenotarvi: scriveteci via facebook sul gruppo Nomadi a Vela oppure via email a nomadiavela@gmail.com.

L’imbarco è previsto il sabato sera, lo sbarco il sabato mattina seguente (per chi sta una sola settimana). Chi arriva ha quindi il tempo di arrivare e chi va via lascia tempo per fare quel che serve alla barca. Viaggio e logistica di chi ci raggiunge non vengono gestiti da noi. Ognuno si organizza per conto suo.

Per avere certezza dell’imbarco occorre fare bonifico bancario all’IBAN che vi verrà indicato e comunicare via email il CRO del pagamento. Fino a quel momento il posto a bordo non sarà garantito. Di questa rigidità ci scusiamo in anticipo, ma è l’unica formula praticabile. Non avete idea di quante volte abbiamo risposto a qualcuno “la barca è piena, ci spiace!” e poi invece avevamo la barca vuota perché chi si era prenotato non veniva e neppure ci avvisava. L’unico modo per prenotarsi definitivamente è dunque fare il bonifico.

Equipaggiamento: nessuno in particolare. Solo quel che serve in base alle esigenze e alle stagioni: sacchi lenzuolo o sacchi a pelo, a voi la scelta. Idem per cerate (non essenziali) e scarpe (l’unica cosa: non a suola nera o colorata. Meglio bianca. Altrimenti riempiamo la barca di righe).Non sono ammesse a bordo valige rigide o semirigide. Solo sacche, borse morbide etc.. Per portare con sé attrezzature speciali (bombole diving, canne da pesca, etc,) è necessario prima segnalarlo ed essere autorizzati

A bordo sono ammessi tutti, senza alcuna discriminazione. Non è necessario saper andare in barca, saper nuotare o avere doti specifiche. Eventuali malattie o condizioni di evidente difficoltà o impedimento fisico vanno comunicate prima della prenotazione per poter essere valutate insieme nel vostro interesse. Non abbiamo mai lasciato sul molo nessuno, comunque, e ne siamo fieri.

Consentiteci poi una nota conclusiva che generalmente non trovate sui programmi di viaggio.
Noi non siamo un’agenzia marittima, non siamo una società di charter tradizionale, non siamo un tour-operator… siamo navigatori, appassionati di mare, appassionati della libertà e della vita. A bordo, per me, c’è incontro, relazione, comunicazione, natura, passione, divertimento. C’è il gusto del mare, del sale sulla pelle.
Chi è abituato a pretendere, ad avere i programmi precisi al minuto secondo, le “attività ricreative” prefissate, o ad avere fretta… ecco, magari ci pensi un attimo se venire o no. Noi abbiamo scelto di fare “un’altra vita”, ed è quella che troveranno a bordo. Così facendo abbiamo visto sempre gente felice di navigare con noi, e noi con loro. Lacrime sul molo, quelle della gente che sarebbe voluta restare invece che sbarcare, ne abbiamo viste tante. E qualcuna l’abbiamo anche versata noi.

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“Mediterranea”

Rotta della spedizione "Mediterranea" tra 2014 e 2018

 

Partirò. Perché a un certo punto occorre farlo. E sarà tutto fuorché andare lontano. Semmai sarà un avvicinarmi, un restare, e per quante miglia vi siano dentro a un cuore, sarà uno spingermi dentro, non certo un uscire. Quando si tratta del Mediterraneo è sempre, solo così.

Sono almeno vent’anni che ci penso, che misuro mappe, che immagino passaggi. Se lo ricorda chi c’era a quel tempo.  Le idee che ti riguardano non invecchiano, non passano. Tuttalpiù si affinano, sedimentano fino a smettere ogni stato spirituale, poi fluido, e diventano un gradino, una soglia. Poi viene il giorno in cui ti accorgi che ci hai messo un piede sopra, e sei partito.

La spedizione “Progetto Mediterranea” sarà a vela. Un ketch di 17 metri, armo a cutter, tante soluzioni per tenere il mare. I moderni “argonauti” saranno 9 (Manuela, Daniela, Marco, Francesca, Marinella, Enrico, Antimo, Giuliana ed io), ma posso già immaginare con quanti compagni di viaggio trovati su un molo nascosto condivideremo vento, sole, miglia. Posso misurare già oggi le lacrime delle partenze, i sorrisi degli arrivi, gli occhi e lo stupore degli incontri occasionali.

Quello che faremo sarà nautico (non ho notizia di qualcuno che abbia fatto questo viaggio), scientifico (analizzeremo mare, inquinamento e mille altre cose del mare insieme all’Università) e soprattutto culturale. Andremo alla ricerca delle “Voci del Mediterraneo”, il pensiero di filosofi, artisti, giornalisti, scrittori, marinai, per sapere cosa pensano di questo mondo storto, come possiamo uscirne, cosa possiamo fare. L’Europa, nata zoppa, feto esangue perché privo della sua anima mediterranea, ha bisogno di questo pensiero. Qualcuno deve raccoglierlo, parlarne, dargli volume. Lo faremo noi. Anche noi

In questa porzione del mondo è nato l’uomo, il suo mito, la sua leggenda. Da qui ogni problema è partito, ogni soluzione ha preso le mosse: Mediterraneo da sognare. Qui ha avuto origine il Bello, il meglio che l’uomo abbia pensato, e l’ingegno ha sfiorato le vette più alte: Mediterraneo da ammirare. Qui la tragedia si è consumata, più e più volte, e continua oggi a dissanguare, disgiungere, abbandonare: Mediterraneo da temere. Qui, un tempo, le barche facevano da sutura. La vescica onnivora di questa porzione di mondo stava insieme grazie al loro anda e rianda. La loro cantilena di miglia (come punti di un invisibile ricamo) costruiva ponti sul tombolo della memoria: Mediterraneo da ascoltare. Qui, secoli fa, c’era un linguaggio comune. Le parole del “Sabir”, la lingua universale dei porti, sono ancora sparse per il grande vocabolario blu: Mediterraneo da riscoprire.

Per questi e infiniti altri motivi salperemo, a marzo del 2014. Qui trovate il progetto. Da maggio sarò in giro con “Mediterranea”, in Grecia, per farci lavori, testare la barca, iniziare a prendere confidenza con il mare. Ci sono tante cose da fare per preparare un viaggio come questo. Ma ho il tempo necessario. Il tempo senza tempo che un tempo non c’era. Ma oggi sì. Buon vento.

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Lasciate sole

(Capitolo tratto da “Dove sono gli uomini?“, Chiarelettere)

 

Tra le donne della grande metropoli di New York circola una condivisa consapevolezza: ogni giorno, quando scendi in strada, devi essere perfetta, vestita «da gara», ma soprattutto pronta e concentrata. Gli uomini in circolazione sono pochi, soprattutto se dal totale dei maschi togli quelli sposati e i gay, tantissimi nella Grande Mela. Meglio non farsi trovare sguarnite. La prontezza è
la virtù più efficace del predatore, soprattutto quando le prede scarseggiano.
Uno degli effetti della confusione di genere della nostra epoca è che la donna è diventata cacciatrice, un ruolo storicamente attribuito all’uomo. La necessità stimola i cambiamenti e sviluppa le virtù, anche se con effetti diversi. Infatti nel mondo «privo» di uomini molte donne rimangono sole, per mere ragioni statistiche o per effetto della competizione, o perché non vogliono partecipare
alla sfida quotidiana. Non a tutte va di andare a caccia, non tutte nascono con l’arco in pugno e la faretra piena di dardi. Non tutti i dinosauri erano pronti al cambiamento, rapidi nello sviluppare doti anfibie, unghie capaci di offendere, denti aguzzi con i quali sbranare. L’evoluzione ha i suoi risvolti crudeli. Una volta, tuttavia, le «zitelle» erano rare, e c’era sempre un motivo per la loro solitudine. Non c’era bisogno di spiegazioni, si capiva. Oggi no. Al contrario. Se anche qualche caratteristica, qualche specificità, potrebbe far supporre cause e ragioni individuali, la vastità del fenomeno è sconcertante. Donne che hanno perso il passo mentre il gruppo accelerava, e ora chiudono la fila. Donne lasciate sole dalla nostra epoca, dimenticate, senza motivi reali.

Lorenza ha 35 anni e vive in una grande città. Nata in un paesino delle Marche, era già fuori di casa a 19 anni. Ha convissuto con un’altra ragazza per tutto il ciclo di studi e per i primi cinque anni di lavoro. Quando la sua convivente si è fidanzata ed è andata via, è rimasta sola. È sempre stata perfettamente autonoma, ha un suo ritmo e una sua organizzazione. Ha solo qualche problema di peso, ma non è stato sempre così, a giudicare da come appare nelle fotografie che tiene sul comodino e sulla libreria in salotto. Della sua storia passata nessuno sa niente di preciso. Sembra che abbia avuto una storia d’amore finita male, prima dei 25 anni. Uno sportivo, forse un ciclista che tentava il salto verso il professionismo, pronto a tutto pur di arrivare. Anche Lorenza correva. Le donne lo fanno, a volte: incontrano un uomo che ha un pallino, una grande passione, e la fanno propria. I malevoli dicono che si fanno plagiare. I benevoli sostengono che si tratta di apertura, accoglienza di un sogno altrui, generosità e condivisione. Scelte fatte per amore. In ogni caso, come sembra, lui correva in bicicletta e lei anche. E come lui si dopava. Non aveva le sue stesse ambizioni agonistiche, ma era portata, diceva lui, aveva la muscolatura adatta. Può darsi che Lorenza non sia mai stata una silfide, semmai una ragazza robusta con un viso dolcissimo, ma quando la storia è finita qualcosa è cambiato. Dentro e fuori. Quando si è giovani si è anche fragili, talvolta. Quando si ama tanto da drogarsi per correre, qualcosa rischia di rompersi. Oggi Lorenza lavora tanto, ed è molto brava. Negli ultimi vent’anni il settore del risparmio gestito ha avuto momenti di euforia e di depressione, fino al campo di macerie dei nostri giorni. La forte riduzione del volume d’affari ha provocato esuberi e licenziamenti degli addetti dell’intero settore, ma di Lorenza nessuno ha mai saputo fare a meno: impiegata, assistente, poi venditrice, e infine supervisore di venditori. La crisi c’è, ma dipende sempre da chi sei. Lorenza è seria e precisa. È in ufficio fin dal mattino presto. Vive in azienda, esce solo quando non c’è più niente da fare. È sveglia, conosce la macchina ma non si limita ad applicare le regole. Trova soluzioni, escogita modi nuovi per affrontare i problemi. È creativa. Ed è anche simpatica, cosa rara. Il suo umorismo è rapido, a volte tagliente, e le piace ridere alle battute degli altri. Il suo primo capo la considerava un «alto potenziale». I capi seguenti ne hanno colto subito l’intelligenza, l’abnegazione, e l’hanno promossa. Di collaboratori come Lorenza nessuno si priverebbe mai. È lei, semmai, a privarsi di qualcosa. Nessuno, da più di dieci anni, l’ha mai vista con un fidanzato.

Se Berenice si vestisse come si deve, tutti gli uomini si girerebbero a guardarla. L’ovale del suo viso è aggraziato, le sue labbra sono ben disegnate e di un rosa marcato anche senza rossetto, gli zigomi sono in evidenza, rotondi ma pronunciati. Ha occhi grandi, da gatta, e guarda sempre il mondo da sotto in su, cosa che un uomo trova irresistibile. I suoi capelli sono sempre molto corti. Nessuno
si ricorda di averle visto indosso una gonna né un paio di scarpe con il tacco, neppure basso. Pare che i colori le si spengano un po’ addosso e che le maglie accollate si affastellino l’una sull’altra come d’autunno sotto gli alberi le foglie. Non conosce le mode; si vede che non mette alcun impegno nella scelta degli abiti. Ciò che colpisce di Berenice è l’espressione: tutto fuorché rassegnata. Nei suoi begli occhi c’è un lampo, un guizzo semisepolto ma ancora visibile, che farebbe pensare chissà cosa. E infatti tutti i colleghi pensano chissà cosa, ma dalle frequenti incursioni nella sua stanza, in fondo al corridoio della direzione generale, nessuno è mai tornato con nulla di concreto. Tanto che l’uno dopo l’altro hanno lasciato perdere, distratti da qualche collega più disponibile. Berenice vive sola, da sempre. Intorno ai trent’anni ha cominciato a lavorare in una grande azienda informatica, nella segreteria dei capi, e grazie alla sua pazienza e al sostegno professionale di qualche dirigente è finita prima nell’area dell’amministrazione, poi in quella legale. Alla soglia dei quarant’anni Berenice è a una svolta. In quella grande città ci sono opportunità di ogni tipo per divertirsi, seguire le attività culturali, incontrare uomini e donne, vivere allegramente e in modo spensierato. Ma se lei non ne approfitta, perché restare? Se ha tentato cento volte di uscire, di frequentare i locali degli aperitivi e le feste, ed è tornata a casa ogni volta con un sentimento di estraneità e di distacco, cosa può farci? Ormai declina ogni invito e ogni occasione prima ancora che si presentino. Quante serate sul divano di casa può ricordare? Quanti libri, quanto internet, quanto piacere, pur raro, dato e ricevuto da sé, senza condivisione? Gli uomini che incontra non le dicono nulla, non sa cosa rispondere ai loro messaggi scialbi, ammiccanti o troppo diretti. Se abiti in una grande città ma non rispondi ai messaggi, cosa ci vivi a fare? Le sembra di volere qualcosa di diverso, ma non sa esattamente cosa. Forse qualcuno che non chieda, meno educato, meno timoroso, un po’ irruento. Pensa che in lei ci sia qualcosa che non va: un blocco, un muro che qualcuno dovrebbe sfondare senza bussare. Ma spalle grosse non ne conosce. Uomini che abbiano voglia di sfidare quel muro, neppure. È possibile sentirsi in disarmonia con un’intera epoca? E con gli uomini di quell’epoca in particolare? Berenice decide di prendere un part-time e di lavorare da casa. Si trasferisce dalla Lombardia alla Venezia Giulia. Due giorni a settimana tornerà nella grande città, se serve, ma per il resto del tempo se ne starà al mare. È disposta a perdere le sue sicurezze, il posto a tempo indeterminato, i benefit, pur di starsene da sola, come murata viva nella sua stessa vita. Tanto vale avere di fronte agli occhi il mare, visto che nessuno è capace di scavalcare i bastioni e di portarla altrove. Vive così da quasi cinque anni. Se passate davanti al suo appartamento potete vederla sul suo ampio terrazzo, con l’iPad in mano, mentre lavora o forse legge un ebook con gli occhi che di tanto in tanto si perdono lungo la costa. Sola.

Anche Lory vive sola. Ha 45 anni e nessuno l’ha mai vista con un uomo. È nata in Campania, ma è cresciuta a Torino. Ha studiato scienze politiche e si è laureata giovanissima con il massimo dei voti. Ha iniziato subito a lavorare, non ha neppure dovuto mandare un curriculum. È entrata nella più importante agenzia pubblicitaria italiana, dal gradino più basso. Ci mancava che le facessero fare le pulizie, per il resto le hanno chiesto di tutto. Lei non ha battuto ciglio. Il nonno, da piccola, le ripeteva: «Se uno non dice no, gli altri gli dicono sì». Lei non capiva esattamente cosa intendesse quell’uomo anziano e mite, con il viso scavato e un lieve sorriso sempre sulle labbra, piegato sulla terra dalla mattina alla sera, ma aveva preso sul serio la sua lezione. Niente no, solo sì. Per i nati negli anni Sessanta è stata quasi una maledizione. E a furia di dire sì aveva fatto un po’ di strada. I genitori le hanno comprato un piccolo  appartamento con cucina, camera da letto, bagno e terrazzino verso l’interno del palazzo. Nelle rare giornate estive in cui riesce a tornare prima del tramonto Lory ha trovato su quel balcone pace e riposo. Un tavolino di bambù, una poltroncina di vimini, un cuscino, un posacenere. Un bicchiere di vino, una sigaretta, un buon libro in cui perdersi e viaggiare. Non è forse una privilegiata? Lory ha pensato spesso di sì. Alla sua porta però non ha mai bussato nessuno. Lory non è una modella, ma non si può dire che sia brutta. Ha l’acume e l’umiltà delle persone intelligenti, dunque non teme di dire la propria, e ha una certa velocità nel parlare,
retaggio dei ritmi serrati dell’agenzia di pubblicità. È una grande esperta di cinema: non si lascia mai sfuggire una rassegna estiva o una retrospettiva sui grandi maestri della regia. Legge tantissimo, ogni volta che può. A volte divora romanzi che la emozionano e l’avvincono, anche se dopo due mesi non saprebbe ricordarne la trama. Quella lettura così veloce, compulsiva, sembra più un modo per evadere, per fuggire dalla realtà, che amore per la letteratura. Molte donne leggono così. Lory ha accolto in casa sua pochi uomini, rari come apparizioni. Quando beve un bicchiere di troppo, dopo una giornata dura che ha minato le sue barriere difensive,
Lory se ne domanda il motivo. Il suo sguardo vaga sul cortile interno, tra il gatto che dorme sulla poltrona nella casa di fronte e il suono attutito di un televisore acceso.
Ricorda poco, senza emozione. Non si commuove né rimpiange. Se un uomo suonasse ora al campanello lo farebbe entrare, lo ascolterebbe. Sarebbe bello preparare un vassoio con due tartine e due bicchieri. Sul terrazzino mancherebbe una sedia. Potrebbe prendere quella della cucina, ma ci sarà spazio sufficiente per due? Il giorno che Lory si alza per fare la prova è soddisfatta. Ci sta pure
il tavolino, quasi al centro. È un bell’angolo per chiacchierare. Sembra fatto apposta…. Poi il sorriso svanisce. Si accorge che ha una lacrima sulla guancia.

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Deglutizioni

Foto: Francesca Piro

Stasera ho preso carta, penna e calamaio e ho scritto a un gruppo di cari amici. Poi ho riletto, e ho pensato che potevo anche allargare il giro. Pubblico dunque qui.

“Cari voi, cari tutti.

Colgo un momento propizio per scrivervi. In questo momento sono preso da centomila cose, le ultime presentazioni, le interviste, la gente che mi scrive, il libro che va, ma soprattutto mia madre, che mi fa una tenerezza infinita, e poi ogni giorno i programmi del grande Progetto, e poi Rimini dopodomani, e mio padre, soprattutto, con cui collocare le cose, e le sculture da portare a Milano (“devo fare una fattura Fabrizio, come faccio?”), e le cene da preparare, e le cose da registrare, e poi però esserci per chi amo, per chi mi ama, che non c’entra niente se io ho tante cose da fare, vuole la sua parte, vuole me, come è giusto che sia, e ha bisogno del mio contributo… e poi studiare, i lavori a casa (uno solo a: lavare i panni, pulire la casa, fare i lavori che mancano, e le bollette, accendi il fuoco, cucinare, lavare i piatti, e l’assicurazione della macchina, etc)…. E risparmiare!

… E sento anche voi indaffarati in mille cose, M. coi suoi problemi al lavoro e i quadri da spedire per la sua mostra in Bahrein, M&D col lavoro e il trasloco, F.ca che ha mille impegni e si dà da fare in tutto, giuliana con gli eventi, le regatine, il lavoro, il problema di fare la valigia (“per quanto tempo staremo in mare Simo’, che mi porto?”), e F.co che gli fregano sempre la casa all’ultimo minuto, e che il sabato piove e al bar non passa mai, e A. che avrà mille cavoli tra famiglia e lavoro, e E. che lavora 7 giorni su 7, e M. che va sempre per uno, che ci crede ancora, che non molla sui princìpi…

Insomma. Col Paese che va così, tra l’altro… E mi fa anche male un dente (uno diverso da quello che mi faceva male sei mesi fa…)…

Beh, in tutto questo stasera mi sono chiuso sotto la doccia bollente, che quasi sembrava di essere in un Hamam di Aleppo, e mi sono lasciato scorrere l’acqua addosso, e ho pensato. Non mi ricordo esattamente a cosa ho pensato, però mi è tornato in mente quel che diceva mia madre poco prima. Stavamo seduti accanto, io devo aver detto qualcosa inveendo contro le assicurazioni tra me e me (una minorata di qualche call center mi ha tenuto venticinque minuti al telefono per fare quello che il mio gatto avrebbe fatto in poco meno di quattro minuti [miao…]) e lei senza neanche girarsi verso di me ha detto: “beh, tanto si sa… le cose vanno sempre a modo loro” e io mi sono voltato e l’ho guardata, e lei mi ha sorriso, come se non l’avesse detto per caso, in uno dei suoi deliri, o delle sue forme di “altra lucidità” come le chiamo io, ma si fosse proprio rivolta a me, per farmi capire qualcosa. E io ho smesso di inveire, naturalmente, perché poi, che lo sapesse o no, che lo volesse o no, che fosse rivolto a me oppure no, aveva ragione.

E allora volevo dirvelo, che sia utile o meno. Perché anche quando si sta tutti presi, tutti attenti, tutti concentrati, è sempre bene ricordare che siamo qui per un soffio, che le cose vanno, che tutto scorre con una velocità supersonica, e va già bene se riusciamo a tirare fuori qualche istante di ebbrezza da questa vita insensata. Ma il punto è: rendersene conto. Un sorso è sempre una roba che ha a che fare col deglutire. Ma assaporare, che pure implica la deglutizione, è un’altra cosa.

Buone giornate. Se potete.

Ciao.

S.”

 

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2.676.960 minuti…

con Riccardo Iacona e Silvana Mazzocchi (La Repubblica) a "Libri Come" (Roma) - Foto Francesca Piro

… gli immigrati senza nome che muoiono nel Mediterraneo…”. Otto parole, non una di più. Poche sillabe, pronunciate dalla neoeletta Presidente della camera dei deputati. Il ricordo, o almeno una citazione, che aspettavo da tempo, che migliaia di parenti delle vittime di questo assurdo genocidio marittimo e migliaia di uomini del mare inorriditi aspettavano con me. Da tanto. Un lampo. Un istante in cui i fatti della vita, l’urlo di dignità e riconoscimento dei più inermi, delle vittime, fanno breccia nei palazzi del potere, dove le decisioni non prese si macchiano di sangue, dove quelle da prendere potrebbero risparmiarne.

Durante il dialogo di oggi con Riccardo Iacona e Silvana Mazzocchi è partito un applauso, quando abbiamo ricordato questo discorso. Un bell’applauso spontaneo di gente che era venuta ad ascoltarci, con cui evidentemente condividiamo qualche residuo stupore. Lampi di luce, raggi di sole che squarciano le tenebre generatrici di mostri. Un bel momento anche oggi, dunque.

Tra “Fa la cosa giusta”  a Fieramilano, organizzato da Terre di Mezzo, e “Libri Come” all’Auditorium, sono stati due giorni di bei segnali. Tanta gente, bei sorrisi. Persone che hanno atteso, ascoltato, fatto domande, e che poi sono venute a stringere la propria mano con la mia solo per dire “Ti leggo dall’inizio. Grazie. Condivido molto il tuo pensiero. Vai avanti!”. Una premessa ideale per l’ultima presentazione, mercoledì a Rimini. Stavolta sono state una ventina in tutto, contro le 100 dei libri precedenti. Rallentare, ridurre, scegliere di perdere qualche occasione per focalizzare, salvare tempo, energie, azioni. C’è un grande progetto alle porte. Non ci si può disperdere di fronte ai sogni. Una cosa grossa. Ve ne parlerò…

“Dove sono gli uomini?” va, prosegue il suo sentiero. Mentre passeggiavo, oggi, pensavo che sono stato troppo cauto. La nuova frontiera, il nuovo orizzonte di una nuova umanità… non sarebbero valsi maggiore forza, maggiore energia, affermazioni più radicali, che scuotessero di più? Chi lo sa. Ma il tempo passa. Sono 1859 giorni (2.676.960 minuti), più questa sera, che vivo tentando quotidianamente la mia nuova vita. Di parole ne abbiamo dette tante. Dove sono quelli che, con me, le hanno pronunciate? Il tempo va, è andato, e la vita con lui. E i sogni, si sono avvicinati? Chi di noi ha fatto cosa? Guardando indietro, che uomo di 5 anni fa vediamo? Lo stesso di oggi? Migliore? Peggiore? Quante parole sono state dette, quante azioni sono state fatte? La lista dei minuti salvati, come la lista di Schindler: “Uno ancora! Uno ancora! Sono troppo pochi! Sono ancora troppo pochi!”. Buona settimana

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La “Giornata dell’Uomo” (dal Fatto quotidiano)

 

Riporto qui il testo di un mio articolo sul “Fatto Quotidiano” di oggi, 8 marzo.

Una “Giornata dell’Uomo” sarebbe tanto necessaria quanto urgente, ma credo che non nascerà. Non ancora, almeno. Per una nascita, in natura, servono ambiente favorevole, attrazione, motivazione, fertilità. Un clima “fecondo” che tra gli uomini non c’è, anche se ce ne sarebbe terribilmente bisogno.

La prima “Giornata della donna” risale all’inizio del Secolo scorso, un periodo particolarmente fervido in cui operava un vasto movimento marxista che aveva tra i suoi membri donne come Rosa Luxemburg, Clara Zetkin e personaggi del calibro di Lenin. Nell’Internazionale socialista si discuteva accoratamente di guerra imminente, economia, colonialismo, ma anche di questione femminile e suffragio universale. Esisteva un’Internazionale delle Donne Socialiste, un giornale ufficiale della loro azione (Die Gleichheit – l’Uguaglianza), un programma di lotta. Le donne dunque c’erano, erano attive, in fermento. Tanto che quando l’Internazionale socialista espresse preoccupazione che le proprie battaglie di rivendicazione femminile si mescolassero con quelle di altri gruppi per gli stessi diritti, come ad esempio le «femministe borghesi», molte donne insorsero. “L’Internazionale” – scrisse la socialista Corinne Brown nel 1908 sulla rivista The Socialist Woman – non ha alcun diritto di dettare alle donne socialiste come e con chi lavorare per la propria liberazione”. Per maggiore chiarezza, pochi giorni dopo, le donne socialiste di Chicago chiamarono la loro riunione settimanale di lotta “Woman’s Day”, il giorno della donna, aperto a tutte. Agenda: diritto di autodeterminazione, sfruttamento sul lavoro, dislivello di salari con gli uomini, orari lavorativi, discriminazioni sociali e sessuali, suffragio alle donne.

Sebbene esistano motivi molto seri per cui la lotta delle donne è bene che proceda, come fa, e compia il lungo percorso già effettuato, le attiviste di quella stagione e le loro eredi possono vantare tantissime vittorie. Quasi tutti i punti dell’ordine del giorno di quel primo “Woman’s Day” sono stati ottenuti. Altri ne restano, certo, ma la coscienza sociale ha fatto passi da gigante. Ciò che è cambiata maggiormente è la consapevolezza stessa delle donne e della società. All’epoca a lottare era una minoranza di illuminate. Oggi la maggioranza, almeno nel nord ovest del pianeta, non ha bisogno di essere convinta sui temi della parità. E neppure la maggioranza della società.

Noi uomini del nostro tempo siamo in condizione del tutto diversa dalle donne dei primi del ‘900, e pur tuttavia viviamo un’epoca di crisi profonda, la peggiore forse della nostra storia. Sarà che non facciamo più la guerra, non in massa almeno; sarà che non abbiamo mai dovuto lottare per alcun diritto di genere; sarà che il mondo cambia e se non cambi anche tu resti indietro. Ad eccezione della minoranza gay, che vive invece una stagione del tutto diversa, assai più simile alla condizione di centratura, motivazione ed energia delle donne, mai come oggi la maggioranza maschile eterosessuale sembra aver perduto ruolo, spinta, visione. Non siamo più i condottieri, non siamo più i portavoce della comunità, facciamo da vestali a un sistema morente, che in gran parte è un nostro prodotto, di cui siamo ancora largamente i tenitori, gli attori, gli schiavi. In più, continuiamo a non comunicare orizzontalmente, tra di noi, né con le donne, contorcendoci su noi stessi tra un endemico analfabetismo emotivo e una tragica incapacità a raccontarci. Succubi dell’ansia per qualunque prestazione, veniamo chiamati a un’azione adatta all’uomo di una volta, come era nostro padre, non certo a quel che siamo oggi veramente. Incapaci della solitudine operosa e autocosciente, veniamo masticati dal sistema lavorativo, che ci schiaccia, dall’assenza di ruolo famigliare, da un profondo dislivello energetico e psicologico di fronte alle donne, al cambiamento, al futuro. Tutto in modo acritico e supino. Dov’è, cos’è diventato l’uomo contemporaneo? Cosa prova, che strumenti gli sono rimasti? Se fosse libero di scegliere, che vita farebbe, per quali sentieri andrebbe alla ricerca della propria avventura? Che relazione nuova saprebbe costruire con le donne di questa Era?

Mai come oggi servirebbe fermarsi, riflettere, sentirsi, trovare i problemi, portarli alla luce, espellere quella biomassa di residua virilità putrescente che ancora ci impedisce quasi ogni relazione. Dovremmo smettere di partecipare al sistema che ci affossa, ci schiavizza, per partecipare a un sistema nuovo, in cui avessimo nuovo ruolo, adatto a noi, ma che prima dovremmo pensare, urlare, lottare per realizzare. L’agenda del primo “Man’s Day” potrebbe suonare così: manualità perduta, responsabilità individuale, distacco dalle famiglie di origine, nuovi sogni, coraggio per perseguirli, fuga dal consumismo, nuova grammatica del lavoro, solitudine, nuovo alfabeto emotivo, nuove relazioni. Forse, così facendo, potremmo anche mettere la parole fine alla violenza sulle donne. Donne che quando vanno via, quando ci provocano a una comunicazione in cui siamo ignoranti, ci mostrano solo quanto siamo deboli, quanto a un uomo in crisi non restino altro che fuga, disincanto e botte.

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Premesse di un naufragio

 

Avevo già segnalato il problema, settimane fa, ma ora ci torno. Non posso non tornarci, quando le cose si aggravano. Il 20% delle e-mail che ho ricevuto lascia pieni di speranze, l’80% le spazza via. Per un commento maschile a “Dove sono gli uomini?” che suona così: “Non condivido del tutto. Ma devo ammettere che la questione c’è, esiste, e ci siamo tutti dentro!” ne ricevo centinaia del tipo: “Le donne dell’est sono migliori, ti stanno a sentire” oppure “sono tutte stronze qui, non ti cagano se non sei ricco”, “Per tutte le donne del mondo il Sesso è un PIACERE per quelle italiane, invece è un PROBLEMA” e perfino “le donne dovrebbero tornare a essere disponibili, dolci, gentili. Così diventano come gli uomini. Anche peggio”. E questo non va. Non va il tono, non vanno gli argomenti, non vanno le misure, non va il punto di vista. Così non si fa un metro. Rotta sbagliata, vele al vento, timone in bando: tutte le premesse di un naufragio.

Lunedì mattina: alzarsi, vestirsi, tornare al solito posto, per la solita strada intasata, fare la solita cosa, per tornare a casa a ritroso, la sera, nelle stesse orme del giorno, come sempre… non ci fa bene. Il “mondo fuori del mondo” ci ha atteso ancora invano. Lì c’è tempo per l’ascolto, per la visione terza, per capire che siamo molto di più, siamo altro: umanità sconosciute se non saremo noi stessi, per primi, a vederle. Credetemi, possiamo sentire, dare, fare esperienze del tutto diverse. Non accontentiamoci dell’ovvio, non tentiamo di far finta di essere foolish e hungry, perché quello è uno slogan. Il fatto è che non è vero, ed è peggio di accettare la sbobba quotidiana dicendo “che buona!”.

Per quanto pazze, sfasate, fuori di tono, le donne ci sono. Puoi prenderne una da parte, farle così sul mento perché ti guardi dritto, chiederle cose. Poi ascoltarla, e non per imparare, per fare quello che dice, ma per essere-un-uomo-che-ascolta. Ma puoi decidere che prosegui per la tua strada solo se una strada ce l’hai. Ce l’abbiamo una strada? Abbiamo notizie della nostra vita tra cinque anni? Stiamo lavorando a qualcosa, un progetto, un’idea concreta?

Cercano uomini ricchi, dite… Ma non sarà che il denaro serve a colmare il vuoto di idee, di energia, di risorse che constatano in noi? Non sarà un accontentarsi che presto, in un lampo, il calore per una nuova vita nei nostri occhi, farebbe sfumare? Non sarà che abbiamo qualcosa di più attraente, che non stiamo usando, che pensiamo di non avere, senza il quale non rappresentiamo più niente ai loro occhi? Non sarà il minor grado accettabile di dignità convincersi di questo?! Passione contro denaro; sogni contro denaro; furore dell’azione contro denaro.

Voi ascoltereste, seguireste, accudireste, un uomo come noi, che ha in mente il nostro attuale finto “progetto”, che fa quello che facciamo noi ogni giorno? Sicuri…?

Muscoli da azionare ne abbiamo. Vedremo risorgerne la nascosta prestanza sotto la nostra pelle da vecchi, avvizzita anzitempo. Idee non è vero che non ce ne sono, basta cercarle, formularle, credendoci quanto basta per dar loro la luce. Ogni cosa, ogni giorno, proprio se ci appare insuperabile, vuol dire che siamo noi a non ammetterne l’ipotesi. Facciamo così con la mano, dietro quelle ragnatele c’è spazio, modo, c’è un’occasione. E quell’occasione siamo noi, è la chance di uscire dalla storia che ci raccontiamo per sopravvivere. Prendiamola. Nel prenderla guardatevi intorno. Occhi acuti e attenti vi staranno osservando…

Sono preoccupato. Dove ci dobbiamo accontentare c’è morte e disperazione. Non dichiariamoci fermi prima di esserci mossi. Tante cose avvengono, quando si fa un passo. La prima è sembrare nuovamente vivi. E il primo passo di ogni eroe si chiama umiltà. L’umiltà di dire “così non va”, “non sono quasi più niente”. Subito seguita dalla vita che scorre, che urla: “non sono ancora morto!”. Come Papillon: “non mi avrete mai!”.

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