L'equilibrio, gran bella cosa. Che sia di una farfalla o il nostro, è sempre il motore della potenza della vita.
Pathos e Logos. Secondo i greci si spartivano l’anima: la sofferenza, l’emozione, “la pancia”; il controllo, la ragione, “la testa”. Il sopravvento di uno dei due era considerato squilibrio. Oggi invece no. Vedi il progresso, alle volte…
Osservo però, con un certo antico e reiterato stupore, che i due termini, e gli ambiti esistenziali cui si riferiscono, godono di buona e cattiva stampa. Se parli a qualcuno di istinto, emozione, azione d’impulso, slancio emotivo, scelte fatte di pancia, quello ti guarda, fa sì col mento, e un vago sorriso di approvazione gl’incorona il viso. E’ dalla tua, ti capisce, anche se il gesto fatto di pancia ha prodotto un errore, anche se dovrebbe dirtene quattro per quel che hai fatto.
Se parli di ragione, sforzo di programmare anche le questioni di vita, se cerchi di razionalizzare gli stati d’animo, analizzarli per capirli e disinnescarne le cause, se dimostri di scegliere con la testa, quello che hai davanti di solito ti interrompe: “questo è vero, ma in teoria!” oppure “ma non puoi, è troppo razionale, la vita è un’altra cosa!”
Nel paese del Papa, della metafisica, del romanticismo, in cui mai riuscirono a far breccia il miglior progressismo empirista e razionalista, in cui non abbiamo mai avuto un Voltaire, la ragione se la passa male da sempre. Che tu possa soffrire è cosa accettata, quasi doverosa, nessuno se ne scandalizzerà; ma che tu possa cercare d’illuminare le tenebre della vita, del tuo cuore, con l’ausilio di una luce intelligente, con il balsamo livellatore della ragione, questo è deplorevole, roba da cervellotici, del tutto fuori luogo, inutile.
Il Pathos è caldo, la ragione fredda. Verrebbe da farne un “tiepido” ma non sia mai. Se si deve eccedere, molto meglio farlo dal versante del primo, mai del secondo. I sentimenti hanno a che fare esclusivamente col Pathos, mai con il Logos. “Le cose migliori sono incomunicabili” “ciò che conta di più è invisibile agli occhi”, col risultato che siamo ciechi e muti. Molto affascinante…
La cosa più paradossale è che a fare questi discorsi siamo noi, che viviamo di convenienze, che non muoviamo un dito se non per qualche vantaggio, che temiamo d’impoverirci anche di fronte alla richiesta di una moneta da un mendicante, che per una pensione ben calcolata immoliamo una vita intera. Molto Logos e poco arrosto. Come nelle relazioni d’amore: o anaffettivi o pazzi, o impermeabili o sciolti, o sofferenti o soli. Innamorati tanto, tantissimo, ma anche consapevoli mai: “mica siamo marziani!”. Questo s’era capito.
Che per capire la vita (quella che sarebbe sempre “un’altra cosa” per i groopies del Pathos), i filosofi da Aristotele a Cartesio abbiano sempre applicato “il Metodo della conoscenza” affidato ad analisi e sintesi, poco importa. “ma quelli sono filosofi…!” (detto generalmente espirando, con sufficienza). Che per capire i recessi dell’animo umano nel 1900 sia nata una scienza, la psicologia, che come tutte le scienze scompone e ricompone, smonta e rimonta, cerca, analizza e sintetizza, importa ancor meno. “Strizzacervelli” li chiamano, infatti, non strizzacuori.
A nessuno piace il Logos, perché il pathos è gratis mentre il Logos si paga col lavoro. Tanto meno apprezzata è la sintesi tra di essi, che pure è il senso profondo del nostro essere animali razionali, la quale richiede prima lo sforzo del Logos e poi quello (durissimo) in cui si contemperano gli opposti. A nessuno, soprattutto, piace definirsi in cammino, per la via mancina del Pathos e per quella retta del Logos, in continua allerta nel tentativo di “essere duri, senza perdere la tenerezza” (però quanto ci piace citare Che Guevara!).
Per gli appassionati della statistica: gli aficionados del Pathos sono la stragrande maggioranza. Sconsiglierei dunque esortazioni collettive del tipo “beh, ma dai, che ci sia un po’ di pathos almeno!” Mi pare ce ne sia già troppo. Esempio: il sentimento imperante, quello della paura, è in carico al Pathos e fugge quando vede il Logos. Un po’ di equilibrio, non servirebbe? Troppo freddo anche l’equilibrio?
Chiudo ricordando che l’egemonia assoluta del Pathos porta a osannare i dittatori, assunti acriticamente some salvatori della Patria; induce nell’autodistruzione, quando rimane orfano del suo fratello raziocinante; spinge agli eccessi incontrollati e non all’ebbrezza scelta, che invece genera piacere: produce giocatori d’azzardo e manifestanti manipolabili; è terreno di coltura dell’ignoranza, della superstizione, della religione oppio dei popoli. Ma questo, come si sa, non è grave. Meglio soffrire per amore che capire perché soffriamo.