La condizione migliore…

Mediterranea che naviga nel Golfo di Corinto

Trentunesimo giorno a bordo

Ormai vince sempre il sud…“. Frase dalla sintassi poco comprensibile, a meno che non venga detta da un marinaio. Uno che di vento ne ha preso tanto. Restiamo in silenzio, io e il Maestro. Quel silenzio gravido di pensieri con cui comunicano due marinai quando guardano una carta meteo. 

Negli ultimi anni, nel Mediterraneo, vince sempre il vento da sud, quello carico di umidità che dice molto dell’Europa, dove le perturbazioni atlantiche si insinuano, si espandono a catena, la fanno da padrone. I Balcani filtrano, fanno da scudo, e nella maggior parte dei casi le nuvole ci passano a nord. La Germania e il nord Italia fredde e piovose, la Grecia assolata. Una metafora dell’epoca, potrebbe riconoscere qualcuno. O solo un cambiamento climatico, ormai strutturale. Ricordo qualche decennio fa le lunghe estati sempre azzurre e asciutte, che partivano da maggio e finivano ad ottobre. Scomparse, forse solo deformate dal mito dei ricordi, sempre bugiardi. “Vince sempre il sud”.

Ieri cinque ore di vela verso est. Per quasi 40 miglia Mediterranea è scivolata veloce e salda sulla superficie d’acciaio del golfo. Uno spettacolo nautico di silenzio e giusta rotta. Oggi ancora a est, verso Galaxidi e Itea. Di questo lungo girovagare mi colpiscono le parole. Sorgono dal profondo insieme alla luce. Compongono un lungo “Vocabolario Mediterraneo“, su cui sto iniziando a lavorare. Le parole sono importanti, rimandano ai significati, e non il contrario. La parola di ieri era “Sud”. O forse “Sempre”.

A bordo siamo in 13. Non abbiamo bisogno di energia elettrica e il primo serbatoio dell’acqua dolce non è ancora esaurito dopo 10 giorni di uso. Grande armonia, grande comunicazione. Mi chiedo se il tempo, i luoghi, siano in grado di “fare le persone”, oppure il contrario. Non dico di cosa sono sempre stato convinto, a riguardo. Chi ha letto le mie pagine credo lo sappia bene. Solo che non ne sono più così convinto. Sarà forse questa brezza del mattino, col sole splendente che la smeriglia. Difficile ricredersi in un mattino così.

Tra poco molleremo a prua e a poppa, Mediterranea avrà un fremito leggero e abbatterà la sua prua dal molo, verso il largo. Disegneremo un elzeviro di schiuma nella piccola baia. Diventeremo un punto, poi scompariremo dietro il capo. La cosa più affascinante è che non conosciamo l’approdo di stasera. Sappiamo da dove veniamo, a volte. La condizione migliore per non sapere dove andare.

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Si può ancora?

il tramonto ieri...

Ventiseiesimo giorno a bordo.

Oggi verrà vento, al Marina di Messolongi, 10 miglia sul lato nord del Golfo di Lepanto, in fondo a un canale di circa due miglia che s’insinua in un’immensa laguna naturale. E’ la novità del giorno per la bizzarra comunità internazionale che vive o transita qui. Sono rientrati tutti. Qui comanda sempre il vento.

Ieri sera siamo arrivati verso le 23.00, dopo una trentina di miglia di splendida navigazione da Trizonia. Il Libeccio salirà oggi, a metà giornata, e ci siamo venuti a riparare. Sul molo Il Maestro ci ha preso la cima e ci ha invitato a bordo. Aveva ospiti, spagnoli e italiani. Abbiamo bevuto un bicchiere insieme, mangiucchiato qualcosa. Il piccolo miracolo di questo angolo di mondo che si ripeteva. Abbiamo discusso su come fare per coinvolgere più persone, per spiegare a tutti che il tempo scorre, che la vita può essere presa in un altro modo, che non c’è tempo, né motivo, per non vivere come sarebbe meglio. Il Maestro è convinto che dobbiamo tentare ancora, che non ci dobbiamo arrendere. Io lo ascoltavo. Mi chiedevo se c’è ancora questa possibilità. Se c’è per tutti….

Chi è il Maestro… Un passato da incursore della Marina, palombaro e sommozzatore, poi guardia del corpo, ma solo per sei mesi. Ha salutato tutti ed è andato, più o meno dovunque, tanti anni fa: “non era per me…“. Ai Caraibi con P., suo simpatico e avventuroso conterraneo in Centro Italia, al timone di una goletta aurica disegnata da Sciarrelli, poi in altri mille porti, con altrettante barche. Alcune le ha perfino recuperate dal fondo del mare in spericolate operazioni di archeonautica. Ha una grande esperienza, conosce il mare e le barche, sa di materiali, conosce i problemi. Ma non è solo per questo che più o meno tutti lo prendono come punto di riferimento.

Il Maestro vive solo sulla sua barca, uno sloop nordico tirato a lucido e in perfetta forma. D’estate fa charter tra le isole, ma qui ha trovato rifugio, ci sta bene: “E’ l’ultimo angolo di paradiso”. Dal punto di vista mitologico è un moderno cavaliere errante, un nomade a vela che gira in cerca di chi ha bisogno d’aiuto. Invece del mantello ha una vela, invece del cavallo la sua barca, invece della spada le sue mani. Ha un’idea di comunità così diversa e originale da sembrare anacronistica: un insieme di persone che amano il mare, capaci di capirsi e comunicare, scambiare ogni cosa, sostenersi reciprocamente. Se gli chiedi aiuto è capace di passare tutto il giorno con te, ti porta in giro con la sua macchina, ti spiega dove comprare questo o quello. Poi però, per dimostrarti che non era lì a far trascorrere il tempo, non si fa vedere per due giorni. Non era un bisogno suo, dunque: era per te.

Il Maestro è critico verso il Sistema, non si capacita di come la gente non “alzi il fondoschiena” e si riprenda la sua vita. Lo infastidiscono le lamentele, i desideri che non diventano mai azione, i sogni detti tanto per dire. Invoca tempi in cui (forse) eravamo diversi, migliori. Tuttavia, mi pare, non perde la compassione per chi non ha ancora capito che tutto si sta sgretolando, che bisogna inventare qualcosa di nuovo per coabitare, convivere, ridurre le stupidaggini, i consumi, tentare un’altra vita. Questo gli fa onore. A volte è facile disperare. Provo a pensarci mentre sorge il sole, il porto è immobile e aspettiamo che salga Libeccio, il vento dell’inquietudine e delle domande prive di risposta… 

 

 

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Quello che si costruisce non si può comprare

Una delle belle viste di questi giorni

Compro un servizio, pretendo certe cose“. Il caro vecchio lavoro-guadagno-pago-pretendo. Che meraviglia… Che bello sentirlo dire. Stavo per iniziare a fare le mie considerazioni, valutazioni, con l’intento di contribuire, di fare qualcosa per tentare ancora, e ancora, un contatto con la persona che avevo davanti… Ma in quel momento ho sorriso lievemente. Mi sono fermato. La parola magica ha chiarito tutto. Non serviva aggiungere altro.

L’armonia non si compra. Il benessere non si affitta, né pretende. Le alchimie migliori ci riguardano, le dobbiamo costruire. Per tutto il resto c’è una scheda di plastica, o qualche sottile, inutile, impotente banconota di carta.

Ma che gioia, che soddisfazione, quando tutto si rivela e le differenze si mostrano. Tu giallo, io blu. Peccato. Potevamo essere tutti e due azzurri o arancioni, ognuno con le sue variopinte sfumature. Sarebbe stato un sogno. Non è andata così. Pazienza. Ma ora, finalmente, lo sappiamo. Niente più sprechi, niente più tempi gettati, niente più energie profuse inutilmente. Ovvero la realtà, che anche quando è cattiva è migliore, sempre, di una buona menzogna.

E poi la mia passione: le conseguenze. Il dialogo che si tentava, gli sforzi per essere in contatto, per non allontanarsi, per capire anche l’inconcepibile, tollerare la diversità? Scomparsi. “Beh potresti almeno fare uno sforzo per evitare la tensione…” Veramente è proprio quello che stavo facendo, almeno fino a quando non è venuto fuori, con salvifica chiarezza, che siamo diversi, tanto diversi. “Ma io sono un cliente!” Mi spiace. Non è abbastanza. Certe cose non si comprano.

 

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Non si finisce mai…

Mediterranea - Mikado 60

Golfo di Corinto – Grecia –  19° giorno a bordo

Ieri pensavo a un bel tema, oggetto di un dialogo di qualche giorno fa con G.: il rapporto tra l’umiltà e l’ambizione. Salto i passaggi intermedi e vado alla conclusione: i veri ambiziosi sono soltanto gli umili. Ambire a qualcosa implica desiderio profondo, gestione della paura di non riuscire, mettersi a lavorare nonostante pochi elementi per crederci, infine perfino tentare di superare il limite verso varie rotte. Se il lavoro (l’azione) nobilita l’uomo, allora il tentativo concreto, dunque di per se stesso umile e “operaio”, premia l’ambizioso. Se riuscirà sarà perché ci avrà lavorato.

Qui mi sono fermato. Ho capito che stavo usando il termine “ambizione” con nonchalance. Io so che significato do alla parola, ma so anche che circolano sfumature diverse, il senso ultimo della parola è, oggi, polisemico. Sono corso indietro con la memoria, navigando tra le epoche e gli etimi, e ho capito che questo termine è stato rovinato da un buon trentennio di stupidaggini, gli anni ’80 e seguenti. Dagli albori latini la parola ambitio era chiara e semplice: composta da ambi e itum, cioè andare dappertutto. Che è come dire curiosità, voglia di vedere e avere cose nuove. Non la stupida e sterile accezione dell’ambizione che conosciamo oggi.

Tutto chiaro dunque. La parola suonava male, ma il concetto era corretto. La voglia, la curiosità di avere cose nuove, di andare “over the rainbow”, ha a che fare con l’umiltà di assumersi l’onere e provarci. L’ambizioso è l’umile. Ma se questo è vero, il realista è un presuntuoso. I discorsi devono tornare sia all’andata che al ritorno, altrimenti non vale. Accidenti…

Ci sono arrivato poco fa, mentre l’ultima coda del maestrale prova a darci qualche graffiata senza alcuna speranza. Non cercare, non voler ottenere nuove cose, non tentare l’over-the-rainbow… e voler essere comunque vivi, è pura presunzione. Una tautologia che solo un presuntuoso può immaginare. Mentre lui accusa l’ambizioso di mancanza di umiltà, non lavora, non fa granché per cercare, non vuole ottenere da sé nuove vite. Dunque non troverà, non si muoverà, non farà un metro nella direzione della sua “linea di minore resistenza”. Mi è parso che questo concetto fosse quanto mai vero e riscontrabile. Soprattutto per gli uomini, maschi, eterosessuali, di questa epoca. Dove sono gli ambi itum?

Allora sono uscito sul ponte. Tutti dormivano. Mi sono seduto in coperta, ho guardato in giro. Ho osservato la bella Mediterranea, silente, tesa ma serena nel vento. Di tante cose che mi potevano capitare, in tutta onestà, non immaginavo certo di potermi definire una persona umile. Mi avevano sempre detto il contrario: ambizioso (nel senso brutto naturalmente), arrogante, presuntuoso! E io me n’ero pure convinto! A quarantasette anni ci sono ancora cose che continuo a credere senza averle sviscerate, comprese dentro, rimesse in discussione. E cambiate.

Non si finisce mai…

 

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Dove sono i Mimis?

Rientrando verso il Marina. Da Mimis

Mimis fa il barista, gestisce insieme a Sphyros il piccolo bar in fondo al marina, dove oltre c’è solo mare. Mimis è giovane, avrà 32 anni, forse 34. Ed è un uomo. Sapete perché? Ve lo racconto.

Mimis ha deciso che sorride. La sua dimensione esistenziale è il sorriso, l’apertura, lo sguardo divertito. I suoi occhi balenano, percorrono ogni cosa, ogni persona, come un fremito leggero. Nulla gli sfugge. Ogni cosa lo riguarda. Hai un problema? Te lo risolvo. Vuoi qualcosa? Te lo porto. Hai voglia di parlare, non ne hai voglia? E come faccio a non fare quello che vorresti, visto che adoro stare al mondo, adoro la gente. Adoro te?!

Mimis ha deciso che a monte di tutto, prima di ogni possibile incentivo o turbativa, farà tutto quello che può per fare in modo che tu sia felice. Per quello che può, naturalmente. Non si candida a farti da coach o a venirti a cucinare in barca o a rimboccarti le coperte. Ma quando tu vai da lui, quando tu ti avvicini al bar, in quello spazio definito, il SUO spazio, tu lo trovi. E’ lì. E non asseconderà mai quello che trova, lo determinerà. Ecco perché è un uomo.

Mimis ha risolto così la questione della sua vita, e… miracolo! Tutti gli sorridono. Tutti lo adorano. L’atmosfera intorno a lui si agghinda di festa. Quello che metamorfizza il mondo però non è l’effetto, è la decisione. Lui esprime una volontà chiara, risoluta, inevitabile, a cui aggiunge una mossa ancora per evitare errori: quando (una volta su due) ti offre il caffè, fa segno con la mano, ti guarda, sorride, ti dice “for free!”. Dunque c’è ancora qualcosa, oltre tutto: io non sono qui per denaro, non sono felice perché mi pagate i caffè. E’ un dettaglio quello. Io sono qui perché mi piacete voi. Mi piaci tu. Ognuno a suo modo e per sfumature variabili.

Dove sono i Mimis? Dove sono le decisioni unilaterali, originali, preliminari sul mondo? Dove sono gli uomini che decidono da che parte stare, come starci, perché starci e lo manifestano? Mimis è l’uomo del futuro. E’ qui, a Messolonghi.

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Popolazione del Blu

tramonto a vela

Al Marina di Messolonghi le giornate scorrono come si deve: caffè alla mattina, tutti un po’ lenti. Poi si lavora. Il sole picchia, ma la pelle si abitua gradualmente. La pelle esposta alle stagioni, non solo ad agosto, sa del sole molte più cose delle creme solari. Verso le 14.30 si mangia qualcosa. Al caffè ci prendiamo una pausa, io e Giuliana lavoriamo su internet all’ombra, di fronte al piccolo bar. Gli abitanti del porto si incontrano tutti lì, alla controra: Fino alle 15.30, impossibile lavorare.

Nel pomeriggio ognuno riprende i suoi lavori, fino alla doccia della sera. Capiamo, a quell’ora, perché gli antichi dedicavano tanta attenzione ai bagni, alle terme. Quando lavori di muscoli e sudore, quando vivi sotto il sole, hai bisogno dell’acqua. Le dai il peso che ha.

Siamo in parecchi qui. Tutti giramondo, gente che vive in barca, gente che ci trascorre almeno sei mesi all’anno. Inglesi (molti), francesi, italiani, finlandesi, austriaci, tedeschi. Molti pensionati, qualcuno più giovane.  Gente che naviga, che sa fare i lavori, che mescola resina e indurente, che monta pannelli solari, che gratta e rulla per un nuovo capodibanda blu. In mare, poi, avrà bisogno che tutto vada e sia bello. Qui si prende il mare, dunque, anche da fermi.

Il Mediterraneo è mare di incontri. Come Marco: incursore di Marina, sub e palombaro a La Spezia, poi per sei mesi guardia del corpo a Milano, poi via. “Ho capito subito. Li ho salutati tutti. Sono salito su una barca. Non mi hanno più visto”. Lui qui è il riferimento di tutti. Lo chiamano “il Maestro”. Oggi mentre aspettavamo di essere serviti allo shipchandler ha detto tra sé: “Il tempo non esiste”. Segnato in un angolo della mente. Poi Pino e Tiziana: lui a 15 anni prese il boxer (il motorino) e andò a Pamplona (da Fondi!) perché aveva letto “Festa Mobile” di Hemingway. Nello zaino una mortadella Molteni. Andò e tornò. A Fondi è famoso per questo. Da allora Le Grand Bleu (progetto Sciarrelli) ai Caraibi. E poi tanto Mediterraneo. Tiziana, sua compagna, fa orti sinergici per una parte dell’anno, poi cuce tessuti mediorientali. Sei mesi vivono in barca, girano come nomadi. Ospitano a bordo, guadagnano qualcosa. Vivono. Con loro parlo del senso, della politica, della follia. Hanno letto i miei libri. Ci lasciamo con un arrivederci. Per mare ci si rivede sempre. Basta starci davvero. L’anno prossimo staremo mesi alle Cicladi insieme, ne sono sicuro. E poi tanti altri, tanti sguardi, saluti, parole d’intesa. E’ la grande popolazione del blu Mediterraneo.

Stasera siamo stanchi. Io e Giuliana abbiamo lavorato sodo. Ci siamo meritati un aperitivo di fronte al mare. Tra poco qualche acciuga sotto sale messa nell’olio ad ammorbidirsi. Peperoncino rosso piccante e aglio. Dormiremo duro, lo so. Domani, però, ci sarà ancora questo posto assurdo, di confine, dimenticato e ritrovato. Qui, ora, domani, c’è il Mediterraneo del significato. Ogni molecola di carbonio nel nostro corpo albergava un tempo in una stella. Ogni nostro sogno, ogni nostro pensiero, in questo mare ancestrale.

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