Remi e sorrisi

L'arrivo (Foto: Giuliana Rogano)

Non so che viso avesse, e neppure come si chiamava. L’ho seguito già all’arrivo, mentre doppiavo il capo di molo del porto. Poi l’ho cercato stamattina, eccolo là, ancora, lento come un rematore stanco, regolare come l’accelerato delle sei. Ma ero lontano. Di quest’uomo ho visto solo la storia, il lento anda e rianda da un capo all’altro. Remi contro onda di traghetto, remi contro motori. Braccia per vivere.

Quando ho allargato la visuale, ho visto la signora. E’ arrivata, si è seduta sulla panchina, la borsetta sulle gambe, un vestitino dignitoso, come quello delle nonne anni Settanta. Ha atteso. Lui mi è parso accelerare appena il ritmo del remo, forse ergersi impercettibilmente sul tronco, darsi un tono. Chissà quante volte l’ha portata da un capo all’altro. Fin da fanciulli magari, lei col vestitino pulito della festa, lui giovanotto aitante, canottiera e muscoli destinati a sperare.

Goran, mi viene da chiamarlo così, si guadagna da vivere portando la gente di là. Per dove, non si sa. A piedi dovrebbero fare un giro lungo, fino al ponte, poi di qua, chissà quanto ci vuole. Il suo ufficio è la barca arancione, la sua materia prima sono le braccia, il suo mercato è uno stretto braccio di mare. Lavoro, fatica, dignità, i cespiti del Mediterraneo. Mi sono sforzato di ricordare il suo volto mentre Mediterranea entrava nel porto di Zara. Mi è tornato in mente che ero al timone, e ho quasi alzato il braccio per salutarlo, e poi non l’ho fatto. Ho pensato: per rispondermi dovrebbe togliere una mano dai remi.

Goran va. Su e giù, come una quieta risacca. Attenderà sempre il momento propizio per attraversare, sfilando i grandi traghetti della Jadrolinija, le barche a vela cariche di vacanzieri. Col suo occhio stretto, col suo cuore lento, darà i suoi corti colpi di remo, senza mai far uscire la pala dall’acqua. Gli daranno una moneta, lui farà un cenno di saluto. Solo alla signora farà un sorriso. L’ha portata per una vita, avanti e indietro, ma lei è sempre lì. Forse va e viene senza motivo. Solo per lui. Ecco perché, anche lei, sorride.

Il viaggio (Foto: Giuliana Rogano)

 

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Portiamolo a due…

Le signore della campagna croata. Ognuna con un microscopico orticello. Ognuna con un banchetto. Una delle immagini da ricordare della "nostra" Dalmazia

Sebenico, 126° giorno a bordo 

Scorre il mare, scorre sotto la nostra chiglia a forma di delfino. La stanchezza c’è, inutile raccontarsela. Stanchezza da empimento, da ricchezza, da bellezza. Stanchezza da parole, da volti, da nomi che si intrecciano a baie e profili di costa. Mediterranea non naviga un giorno senza immagini da ricordare. Una barca può ricordare? I suoi marinai certamente

Oggi piove, primo giorno senza sole. Il nostro sistema energetico interamente solare è un po’ in affanno. Interrompiamo l’uso del bagno elettrico, teniamo le luci accese se necessario, non utilizziamo le pompe di sentina o dell’acqua di mare. I nostri tre pacchi di batterie si assestano. Poi qualche raggio ci fa respirare. Pensiamo a quanta energia abbiamo evitato che venisse prodotta per noi da una centrale, in questi mesi. Se oggi c’è da risparmiare lo facciamo senza fatica, con orgoglio. Nessuno ha dovuto inquinare per Mediterranea e i suoi marinai.

Una ventina di giorni alla fine di questa nostra bella rotta “Sulla scia delle galere”, dal Golfo di Lepanto al Nord Adriatico. Per noi ancora l’alta Dalmazia, le Isole Incoronate, Zara, Lussino, forse Cherso. Poi giù, rotta a sudest, sulla nostra stessa schiuma. Infine San Benedetto del Tronto, dove ci aspettano gli amici della Lega Navale. 2.200 miglia circa, mal contate. Tanti fuori rotta, tanti cambiamenti di programma. Le barche migliori sanno dove finire il loro viaggio, ma non mettono opzioni su come avverrà. Decide il giorno, il vento, l’onda di risacca, una baia senza neppure un nome, scoperta per caso.

Agosto va, intanto. L’anno che sta per iniziare bussa alla porta. Un anno che durerà un giorno per chi lavora al suo grande progetto di vita. Un anno lungo un anno per chi fa altro. Vista da qui, da me, non c’è storia…

Ieri si parlava d’amore su Mediterranea. Qualcuno ha detto: “forse non sono mai stata innamorata…”. Io ho subito pensato che non ricordo un giorno in cui non lo sono stato. Ci sbagliamo entrambi, quasi certamente, però sono rabbrividito. Si possono fare errori di valutazione analoghi, solo per eccesso o per difetto, ma con diversi effetti. Cosa sia l’amore, del resto, lo capisco sempre bene, quando sono qui. Lo vedo più nitidamente oltre le draglie, tra le scotte diagonali, appena dopo la falchetta. Nel blu, dove tante cosa sembrano più chiare. “Di fronte al mare la felicità è un’idea semplice” (J-C. Izzo).

Facciamo così: non chiudiamo subito tutto. Non rientriamo mani e piedi, non abbandoniamo troppo rapidamente i pensieri fatti questa estate, alcune specifiche emozioni, alcuni stati d’animo, proprio quello, di quel momento, ce lo ricordiamo no…?!. Lasciamo che qualcuno di essi trovi un suo angolo, dove poter stare indisturbato. Dove poter macerare, germogliare, crescere. Non assecondiamo la schizofrenia d’essere due cose così distinte: una per forza, nel novantanove per cento del tempo, l’altra per amore, ma troppo poco. Eccolo lì, l’innamoramento: quell’uno per cento. Quello che non saremo mai, se non per istanti, o che siamo sempre, ma senza che sia. Non indossiamo troppo disinvoltamente quel nome che, gridato per strada, non ci farebbe neppure voltare. Quel nome non è il nostro. E le cose sono conseguenza dei nomi…

Mediterranea va. Mare che scorre. Pensieri che incrociano pensieri come rotte su una carta nautica. Tra quelle linee ce n’è una, un augurio per questo sfinire d’estate: quell’uno per cento, non facciamolo scomparire per un altro anno. Anzi. Portiamolo a due.

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I sì generati da

La griglia del Trumbeta

A Lucijan Matijasevic mancano quattro denti davanti, arcata superiore. Tutto il resto per vivere, però, ce l’ha. Soprattutto luce negli occhi e gioia. Fa segno di sì con la testa, infatti, anche se non gli sto dicendo niente. Un sì precedente, ancestrale, a monte. I sì non si dicono “a”, sono generati “da”. Dentro.

Lucijan (spero di ricordare bene il suo nome) è il proprietario del piccolo ristorante, ma non sta alla cassa. Si occupa lui della griglia. “Qui è rimasto tutto uguale dal 1980”, ci assicura. Conosco gente (i professionisti…) che gli consiglierebbe lavori, upgrade, migliorie. Ma non c’è niente da migliorare. Semmai c’è da tenere tutto com’è. Soprattutto la stamberga dove c’è il grande camino. La grigliata è una cosa che si fa dentro.

La baia sulla punta estrema nord ovest di Peliesac è un arco profondo e chiuso, ideale per proteggersi da tutti i venti. Il paesino si chiama Loviste, ma uno dei nomi che affollano la carta nautica dice “Porto Chiave”. Perfetto. Qui c’è una chiave: forse il fondale ideale per l’ancoraggio; forse le poche case croate semplici, ben tenute; forse Lucijan, che non ha i denti ma mastica bene i sorrisi. O forse una baia la fa la sua storia. Qui un croato ha tentato la speculazione immobiliare, anni fa: Spa + albergo + porto turistico. Ha venduto terreni non suoi, perfino. La gente è insorta, ma non solo per questioni di proprietà. “Perché mai dovevamo farlo? Avrebbe inquinato. Sarebbe stato brutto”. Le baie belle hanno un lato interno. Lo vedi solo da dentro.

La grigliata del piccolo ristorante Trumbeta (43°01’23”N – 17°01’53”E) è la migliore che io abbia mai mangiato in vita mia. E ne ho mangiate…. Per fare una grigliata servono cose che qui ci sono. Almeno oltre al pesce freschissimo, intendo.

Chiunque passi da queste acque, tra Hvar e Korcula, sa dove venire, o deve conoscere il motivo per cui non lo fa. Angoli di Mediterraneo, in cui il punto è la faccia di Lucijan con le sue prevedibili conseguenze: i ragazzi gentili che servono a tavola, la gente che non vuole un mega albergo, le cornee croccanti della testa del branzino che sfrigolano tra i denti. La cosa che conta di un angolo, del resto, siamo noi, cioè se guardiamo verso il vertice o verso l’arco. Così una baia: il suo profilo ricurvo chiude o apre?

Dimenticavo un dettaglio: il tavolo è a pochi centimetri dall’acqua. Che è sempre meglio.

 

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Tra le isole lunghe…

Pensieri tra le isole...

Tra i lunghi canali croati spazzolati dal vento, navigando sulla scia delle galere veneziane, prendo alcuni appunti. Parto da una luce, da una testa di molo, e mi inerpico tra le idee fino chissà dove, lontanissimo, quasi a perdermi. Uno di questi sentieri aeronautici l’ho trascritto. Mi sembra utile sottoporlo alla lettura di chi mi legge e mi segue.

Auguro a tutti grandi cose, tutte vostre, simili a voi come sono (sempre) le nostre azioni.

“Per conto mio, non farei che scrivere e pubblicare. Oltre ad avere molte idee (trame continue che si rincorrono, si accavallano, cercano spazio a danno di altre), ho anche scritto molto nelle mie prime due vite (la prima fino al 1999, la seconda fino al 2007): circa una decina di libri tra romanzi, racconti e strani saggi narrativi di cui un giorno parlerò. Sono tutti inediti, non li ho mai fatti leggere, tranne uno.

So bene, per altro, che nell’ambiente letterario tutti guardano con molto sospetto a chi è troppo prolifico. Circola un po’ dovunque il sogno dei D’Arrigo, dei Salinger, o di altri autori resi mitici dalle voci ancor prima che dai testi, anticipati da un fascino imperscrutabile, a volte perfino immotivato. L’autore che non scrive, che lascia intendere il capolavoro sempre in fase d’ultimazione, che viene atteso febbrilmente dalla critica… esercita sempre una grande attrazione, tanto sugli editori quanto sui giornalisti, e perfino sul pubblico.

Io non la penso così: dei miei autori amati vorrei leggere qualcosa di nuovo ogni tre mesi, o forse sei, seguire un filo continuo, che non subisce distrazioni o cadute di emozione. Di chi non lavora molto, o non produce, nell’ambito delle proprie passioni, non mi fido mai. Mi s’insinua il dubbio che sia un po’ stitico, creativamente parlando, poco generoso, e che abbia incontrato il proprio successo per caso, sull’unica cosa che aveva da dire. Di lui tendo a disamorarmi, come se fossi convinto di essere poco amato, poco considerato, mentre mi ritengo, invece, il suo maggiore supporter.

Certo, non posso lamentarmi, almeno come autore. Ho scritto e pubblicato nove libri in otto anni, ma ne ho scritti (o riscritti…) almeno uno in più. Ho seguito solo il mio cuore, la mia vocazione, le mie più limpide intenzioni. Oggi qualunque editore, anche dopo il buon successo di “Un’Altra Vita” su RAI 5, pubblicherebbe volentieri un mio ennesimo libro sul downshifting, sul cambiamento, sul lavoro, sulle nuove vite possibili, e lo farebbe pagando quanto meno il giusto anticipo. Ma io non ho che pensieri sparsi, sul tema, e sto scegliendo di pubblicarli in altra forma, e gratuitamente, sul Fatto Quotidiano e sul mio blog. Il tutto mentre un editore sta valutando un romanzo che ho scritto vent’anni fa, e in più riprese rilavorato. Vedremo se farlo uscire, non fosse altro perché ha più a che fare con oggi che con allora.

Quello che ho deciso, invece, è di prendermi tutto il tempo necessario per scrivere una storia a cui penso da oltre cinque anni, e su cui ho lungamente studiato. In questi anni ne ho scritto solo una pagina, forse quella iniziale. Per il resto ho letto decine di libri, fatto schede, redatto cronologie, riempito qualche taccuino di appunti, particolari, quisquilie dell’epoca, il ‘500. Quanto ci vorrà per scrivere questo romanzo? E chi lo sa… Nelle premesse è un romanzo enorme, ricco fino quasi all’eccesso, gravido di trama, personaggi, livelli di possibile lettura. Potrebbe volerci anche molto, oppure no, chissà.

A ogni modo, una scelta poco furba. I miei lettori (che sono ormai migliaia) si dimenticheranno di me? Deluderò le loro aspettative? S’indispettiranno per la mia apparente stitichezza? Mi auguro caldamente di no. Ma, con tutto il rispetto, me ne importa poco. Da quando sono diventato un uomo che tende alla libertà, e che ci prova davvero, non accetto pressioni di alcun tipo: né editoriali, né ambientali, né dettate dalla mia stessa convenienza. Si tradisce quello che si ama quando non lo si fa più seguendo la linea dell’amore, navigando tra i flussi favorevoli della nostra intima corrente. Per me che sono un marinaio, qualcosa di impensabile. Se mi accorgessi di aver preso questa via, anche se per le migliori ragioni del mondo, mi sentirei morire, farei rotta per il primo porto, abbandonerei la barca. E non scriverei più.”

 

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Non venite…

Grande armonia a bordo, quest'ultima settimana

112 giorni da quando siamo saliti a bordo, a Messolonghi. Mediterranea va, disegnando il suo profondo e delebile elzeviro di rotta. Una lunga frase difficile da leggere: penna blu su foglio blu, come se quello che descrive fosse visibile, ma non per gli occhi. Sono scorsi così la Grecia, l’Albania, il Montenegro, e ora la Croazia. Sono passate così le persone, soprattutto, lasciando su Mediterranea orme proporzionate al peso della loro anima.

Nelle ultime settimane la connessione internet è stata difficile, spesso impossibile. Le grandi e scintillanti aziende di telecomunicazione non sono ancora in grado di fare decentemente neppure il loro mestiere più semplice. Che miseria definirsi “avanzati, tecnologici, globali” e non esserlo. Che tristezza fingere, mentire. Mi chiedo cosa resterebbe dei loro manager se l’economia, l’impresa, fossero come il mare, che disvela quello che sei realmente a ogni miglio, e che ti sfida sulle tue paure più profonde. Ieri una barca non ci ha dato la dritta (la precedenza, in terraferma). Il comandante doveva essere uno di loro, ne sono certo.

Scrivendo blu sul blu, e senza possibilità di comunicarlo, abbiamo raggiunto un certo silenzio interiore. Merito anche (molto…) del meraviglioso equipaggio di quest’ultima settimana: intelligente, vitale, attento. Bella gente, teste in movimento tra Ginevra e l’Istria, tra Inghilterra, Russia, Roma, Forlì e Milano. Tante idee, tanti tentativi possibili, tanti percorsi compiuti e iniziati. Rispetto alla gran parte di chi è sbarcato la settimana precedente, un largo abisso di cultura e ricchezza interiore.

Tanto da spingermi a un appello: non venite in barca. Disertate questi luoghi fluidi, dirigete la vostra prua altrove. Almeno se non siete vivi, se non siete curiosi, se anteponete una doccia a un’emozione, un disagio alla meraviglia che reca (sempre) un evento inatteso. Non venite se non entrate in risonanza con le persone, con la natura, con la luce. Non venite se sprecate acqua, se non vi sapete rilassare, se siete ansiosi, se avete fretta, se le vacanze le vivete in quel modo lì, che sapete bene… Non venite se godete di più a mangiare che a preparare uno spuntino per gli altri. Non venite se fate i paraculi con la vita, se non siete in cammino. Non venite se non vi siete letti per filo e per segno tutto ciò che penso della vita, quanto mi sento (e sono!) diverso dalla maggioranza. Non venite se (come scrivevo qui sotto), siete abituati a perdere occasioni come fossero grani di sabbia tra le dita spalancate di una mano ingrata. Se avete qualche dubbio su questo, non venite. Non vi voglio, ma soprattutto voi non vorrete me, non vorrete le mie parole, non vorrete questo mare, questo viaggio, questa vita. Capire quello che davvero non si vuole, è il gradino più impervio e necessario della scala. Metteteci un piede sopra. Fatelo per voi. Ma anche, tanto, per me…

 

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La strage delle occasioni

Il tramonto ieri l'altro ad Ulcini

Sto lavorando da un po’ di giorni sul concetto di spreco. Non quello di oggetti, acqua, risorse alimentari… su quello ci lavoro già da molto tempo. No, sto lavorando sullo “spreco” di occasioni.

Io guardo. Uno scrittore, se dovessimo rappresentarlo in qualche modo, non potremmo altro che disegnarlo come fosse un enorme occhio, un obiettivo fotografico grandangolare e telescopico al medesimo tempo. Io produco fotografie in continuo, immagini di ogni genere, raffiche di “click” che vanno al ritmo del mio cuore. A volte le foto si perdono, quasi sempre le riguardo. A volte rido. A volte mi commuovo, mi viene da piangere. Cancello molte cose, molte informazioni dalla mia mente. Ma non le fotografie.

E quello che vedo è lo sperpero, la distruzione di massa, l’olocausto delle occasioni. Un gesto di sterminio collettivo, perpetrato con continuità, interrotto solo sporadicamente, per momenti temporanei e solitari, che pure hanno un impatto straordinario sulle nostre vite.

Vedo sperperare gli incontri, quasi sempre affrontati senza curiosità, filtrati dalla diffidenza; vedo distruggere le parole, mai ascoltate, mai scandagliate, mai assunte e analizzate con la dovizia dell’entomologo esistenziale che dovremmo essere; vedo gettare via panorami, luci, filigrane di colori come fossero immondizia che non necessita di alcuna differenziazione; vedo soprattutto la pulizia etnica delle emozioni, sostituite sistematicamente dalle paure con la correità della distrazione. Come può essere così ricco, chi spreca così, per consentirsi una tale prodigalità? Io mi sento così povero, vivo così ossessionato dal rischio di perdere anche solo una minima opportunità: uno sguardo vero in mezzo a mille occhiate vuote; un saluto sentito tra tanti distratti; una luce che ti trafigge il cuore tra tante che ti accecano; un gesto che attendevi, da tanto tempo, che non può essere fatto invano, non può deludere; una parola nuova, la maggiore delle meraviglie tra tanti vocaboli muti; una dichiarazione d’amore, che il maggior danno sarebbe ascoltare con minore emozione di chi la pronuncia.

Stimo che le occasioni che abbiamo siano circa un miliardo di volte quelle che cogliamo, dieci miliardi di volte quelle che diciamo di non aver avuto, un triliardo di volte quelle che servirebbero per far decollare la nostra piccola, stupida vita trascorsa nell’attesa di ciò che c’è già.

Le persone che incontriamo possono dare di più; le parole che dicono sono meno stupide di quel che sosteniamo; i momenti (ah, che momenti…!) hanno maggior valore di quello che saremmo propensi a credere. In una frittella fatta con dedizione c’è molto più di un buon sapore.

Oggi a Bar (Montenegro) il vento caldo delle montagne spazzola l’anima. Mi piacerebbe iniziare la giornata con il proposito di scattare una bella fotografia: un cuore sereno, saldo quanto basta, che cerca di battere al ritmo di ciò che vede. In sintonia. In armonia. Oggi. Qui. Per entrare in risonanza, vibrare insieme alla vita. Per non perdermi nulla. Non me lo posso permettere.

 

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