Cicoria e altre storie

Alba. Natura viva con cicoria di campo. Panta rei os potamos

Gran sole oggi. Taglierò l’erba. Dunque, prima, raccolgo la cicoria e il tarassaco, teneri e verdissimi. Per due o tre giorni il mio fabbisogno di verdura è assicurato. La settimana scorsa ho raccolto funghi, che sono durati anche loro due o tre giorni. L’ho già scritto altrove: metà della verdura di cui abbiamo bisogno può essere raccolta. Per un altro quarto, circa, si può fare l’orto (ma c’è gente assai più brava, la percentuale dunque è variabile). Le spezie, tutte fresche naturalmente, dall’origano al timo, dall’erba cipollina alla santoreggia, dalla maggiorana al prezzemolo. Così il 75% dei costi per la verdura si può tagliare. Qualche centinaio di euro l’anno. Poco fa riempivo le mie cialde per fare i quattro caffè della giornata. Altra piccola azione piacevole che fa passare il caffè da 38 centesimi a cialda a 7 centesimi. Se comprate cialde già fatte low cost le cose non cambiano molto: quelle Conad, solo come esempio, costano 28€ al chilo, il caffè sfuso Conad 11. In sintesi: altre centinaia di euro l’anno risparmiati (4 caffè al giorno, diciamo per 250 giorni, 310€ di risparmio). Tra verdure e caffè, diciamo 550€ l’anno (se siete single).

In tutto ciò mi è tornata in mente una scena. Ieri vado in un distributore Eni per cambiare olio e filtro. 19.000 km, direi che è il caso. Da quando ho l’automobile (6 anni) l’ho sempre cambiato da me, tranne una volta in autostrada. Ieri però mi sentivo un po’ stanco, un po’ ricco (immotivatamente, mi sto rilassando sulle spese, devo riprendermi alla svelta), e allora mi dico ma sì dai vado al distributore. Il ragazzo mi accoglie troppo querulo, occhio a palla, avrei dovuto capire subito che qualcosa non andava. S’infila sotto la mia auto incerto, vedo che bofonchia, svita qualcosa e svuota. A occhio l’olio è poco e ha una consistenza strana, lo analizzo. Verdetto: “è quello del cambio”. Ah, sì, no, forse… A quel punto la macchina va alzata, anche se il ponte è garantito 20 quintali e la macchina ne pesa 25. Attimi di incertezza. Intanto che confabulano (nel frattempo la squadra è diventata di tre persone) mi infilo sotto, svito e svuoto il serbatoio giusto.

Morale: alzano l’auto (rischio) smontano il carter, recuperano l’olio del cambio, siringa, smontano filtro olio con molta difficoltà, non esce, mezzora per farlo uscire, lo rimontano. “Il filtro devi stringerlo con la chiave. Idem per il dado dell’olio del cambio”. Il ragazzo borbotta ma poi esegue. Bilancio: 1 h e 55’, peggiore prestazione mondiale outdoor. Saldo: 100 euro. Nessuno fa cenno ad un eventuale sconto.

Che il ragazzo fosse non inesperto, del tutto digiuno di motori, ci sta. Bisogna pur imparare. Però lui smadonnava: “porca troia, vaffanculo, ma che cazzo…” come prendendosela con un’entità immaginaria che lo stesse ostacolando. Il suo “secondo” (col doppio degli anni) ne sapeva meno di lui, e soprattutto non toccava niente, con l’atteggiamento di chi, a fine casino, non vuole responsabilità. Il terzo, che di anni ne avrà avuto ottanta, era l’unico che aveva visto un motore in vita sua, ma pur sempre in grave imbarazzo di fronte al mio. Nessuno si è scusato con me. Nessuno ha avuto la sensazione di doversi giustificare. Evidentemente adesso si lavora così.

Alba. Guardo la cicoria, verde e tenerissima. Per qualche oscura ragione mi torna in mente la scena del distributore. E penso: bisogna essere bravi, fare le cose molto bene, con precisione. Bisogna essere umili, spiegare che siamo inesperti, e che per quello faremo risparmiare il cliente. Bisogna scusarsi dei disagi derivanti dalla nostra imperizia, ma poi correre su un libro e studiare tutto, con orgoglio, per diventare bravi, molto bravi, e fare meglio domani. Bisogna avere dignità, non smadonnare contro alcun nemico invisibile, perché non c’è. Bisogna vergognarsi di non essere capaci a fare le cose con le mani, soprattutto se con quelle mani dobbiamo campare. Bisogna sapere, saper fare, fare quello che si sa, stando nel proprio, col sacro orgoglio del diritto ad una nostra opinione…

Un po’ come fa la cicoria. Eccola lì. Nessuno sa fare la cicoria meglio di lei. Le sorrido, colmo di stima.

 

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Ricominciare

 

Ho ricominciato a scrivere. Il silenzio assoluto di questo luogo, la storia che vive dentro di me da oltre cinque anni, i libri studiati, da riprendere, schedare… E’ iniziato un nuovo lungo viaggio. Personaggi ancora senza volto, anonimi, mai esistiti, che prenderanno forma, mi accompagneranno per giorni, forse per anni, come fratelli amati o amanti infedeli. Una nuova, insondabile avventura. Un mondo che si disegna, colora, caratterizza lungo il sentiero, sotto il mio passo incerto. Il miracolo della generazione di storie, di vita!, si ripete, più vero della stessa realtà.

Buon viaggio.

 

“Ma non capisci Kadir?! Ho cercato di morire, per poter vivere. E non ci sono neppure riuscito. Mi sono gettato nelle fiamme, senza bruciare. Quel che speravo non si è avverato, semplicemente perché non ho mai sperato. La guerra, solo la guerra, assaltare, distruggere, battere l’avversario. Sai qual è il momento più triste di un guerriero? La vittoria. Dovrebbe dare soddisfazione e non porta che sgomento. Meglio mille volte la sconfitta, che ha il sapore della rivincita, anima ogni muscolo nella carne, lo irrigidisce, lo tende fino a farlo schioccare. E dopo tante battaglie, oggi, non riesco a fare più differenza tra prevalere e soccombere.

Una vita intera, a fare la guerra… E’ così che un uomo smette di vivere”.

(Dalle prime tre pagine del mio romanzo, che di pagine in totale ne conta tre, e non ha ancora un titolo)

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Come facevo?

Un uomo da solo su una barca, in mezzo al mare, è costretto a trovare la sua rotta

Giorni di umore mutevole, come il tempo. Vivere in questa casa, così poco protetta, così dentro la natura, impedisce umori diversi dal vento, e col fortunale di stanotte, anche dall’acqua. In tre punti del tetto è entrata in casa copiosamente. Devo lavorare lassù, appena tornerà il sole. Bizzarra sorte quella dei tetti, condannati a cedere sempre all’assalto, prima o poi. Ci somigliano. Mi torna a mente “Una diga sul Pacifico” di Marguerite Duras, le battaglie perse, la natura temporanea e illusoria della prevalenza umana sulla natura.

Il duende se n’è andato, ormai da un po’, e non torna. Lo aspetto con trepidazione. Senza il duende siamo sacchi di pelle inerte, inadeguata a qualunque impresa. Non resta che aspettare, fare le minime cose quotidiane. C’è tanta dignità nella resistenza, nel riprendere tutto daccapo. Si scende dal piedistallo, senza mugugni, si rifà la lista: lavarsi i denti tentando di essere felici; cucinare tentando di essere sereni; pulire la casa tentando di essere spensierati. L’unica via è tentare da soli. Via dura, ruvida, che non fa sconti. Ma necessaria.

In questi giorni mi chiedo come si possa vivere senza solitudine. Penso a persone che conosco, e poi alle migliaia di lettori che mi scrivono da anni, con cui scambio opinioni, testimonianze. Viviamo tutti nella promiscuità. Non è vero, come si dice, che questa è un’epoca contraddistinta dalla solitudine. Al contrario: i giorni sempre uguali, i percorsi sempre segnati, gli incontri inevitabili, la città… Siamo costantemente immersi nella relazione, imposta, coatta, forzata. Buongiorno, ciao, come stai, hai visto come piove? Parole, fiato, rumore. Come si fa a non perdersi quando si è costretti all’assenza da sé proprio mentre ci si deve ritrovare? Come fanno gli uomini, la donne, quando sono a disagio, quando hanno finito l’energia, eppure devono andare avanti a parlare, commentare, sorridere, rispondere? Non me ne ricordo più, tanto è lontana la mia seconda da questa terza vita.

Ogni ricavo ha un costo, e dal loro rapporto capiamo il bilancio. Per ricavare equilibrio serve investire (anche) nella durezza salvifica dell’isolamento. Almeno per me. Come facevo quando la solitudine era solo un miraggio? Provo a rammentare, mi stringo nelle spalle, mi viene un brivido. Non ricordo più, e non so neanche immaginare. Oggi, tuttavia, se dovessi andare per forza, fare per forza, stare nell’umano consesso, per forza, credo che morirei. Forse è solo una questione di asticelle, posizionate dove. Oppure è un’altra prova, un’angolatura ulteriore con cui valutare il proprio percorso. Quando hai energia tutto sembra buono, ma è quando perdi il duende che la vita scelta deve sembrare possibile. Dunque anche oggi, anche questo silenzio così duro da masticare, serve. Il fatto di pagarne il prezzo, a ben vedere, ha molto a che fare con la comprensione.

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Come state?

La mia "clinica", vista dal lato di sinistra

Vi ricordate i politici della Prima Repubblica? Molti di loro si ammalarono e morirono appena perduto il potere, o in prigione o in esilio. Fino al giorno prima stavano benissimo.

Oppure pensate a quando ci ammaliano il venerdì sera, giusto in tempo per il weekend, appena finito di lavorare, e lunedì mattina stiamo già meglio, forse vado in ufficio… Oppure quando ci ammaliamo in vacanza, nonostante il sole d’agosto: mal di gola, un po’ di febbre, ma tu guarda, proprio in vacanza!… E durante le feste natalizie?! Mai successo? Per non dire di quelli che si ammalano e muoiono appena andati in pensione, o dopo aver perduto il lavoro. Insomma: l’istante dopo potere, lavoro, attività, ruolo… “normalità”. Cioè quando la stampella viene via, quando “molliamo”, forzatamente o per il meritato riposo. Fino a un attimo prima il virus c’era già, la cellula neoplastica anche, il blocco arterioso pure, ma il sistema immunitario non consentiva, sbarrava il passo: “Non ancora!”.

In questi giorni ospedali e malattie, biopsie ed esami istologici. Viaggio dove non avrei voluto andare. Ma viaggio, ad ogni modo, come sempre. Dunque luogo “altro”, mai visto, da guardare con la bocca aperta, memorizzando, collegando, scoprendo. Pensando

Fateci caso: siamo tutti così attenti a mangiare cibi senza pesticidi, a non fumare, alla carne bruciacchiata sulla griglia, non mangiarla che è cancerogena! Siamo ossessionati dal colesterolo, dai trigliceridi, dalla pressione arteriosa, dal diabete… Non facciamo che occuparci di quello che ingeriamo, inaliamo, beviamo. Se c’è una muffetta su un formaggio, oddio! Fa malissimo, buttalo! Facciamo anche sport, per questo: serve contro l’infarto, fa bene al cadiocircolatorio. E i detergenti? Attenzione, la pelle ne risente. E il sole? Occhio che fa venire il tumore della pelle. E la postura? L’ernia. E parlare troppo? Il tumore alla laringe. E stare zitti? Quello credo non sia grave, anzi…

Ma se poi ci ammaliamo nel weekend, o il giorno dopo che il nostro evento è andato bene, o dopo la causa in tribunale, dopo il rush finale prima di Natale?! Ci siamo persi qualcosa?

La verità è che curiamo metà della vita: il corpo. Come se cambiassimo solo le gomme di sinistra alla nostra auto, sperando che basti a non andare fuori strada. L’altra metà è mente, cuore, spirito, sistema emotivo, sentimenti. In una parola: energia. Tanto essenziale da valere il 51% della nostra salute. Ma per quella non facciamo niente. Mettessimo nella produzione d’energia la metà della metà dell’attenzione e dei sensi di colpa che abbiamo quando fumiamo una sigaretta o quando mangiamo un pezzetto di grasso d’agnello abbrustolito, forse saremmo salvi.

Nelle corsie degli ospedali si vedono molte cose. Bisognerebbe farci un giretto, di tanto in tanto. Non solo per rinverdire alcune frasi di Seneca. E neppure per ricordarci cosa capita se fumiamo. Anche per quello, ci mancherebbe. Ma c’è dell’altro, molto altro. E vale parecchio. Soprattutto perché non lo sappiamo, perché nessuno lo studia (chi finanzia gli studi clinici mira a medicine, non a gente sana che si cura da sola. Buono che lo faccia, ma così ci curano a metà). Noi amiamo le pillole, quelle che se hai un problema (dopo) ne prendi una e tutto passa. Senza pillole è tutta un’altra storia. Il lavoro ci sarebbe. Prima.

E voi, come state?

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A tutti

Bandiera e guidone sulla mezzana di Mediterranea

Contrariamente a quello che pensano in molti, io non sono un grande comunicatore. Il grande comunicatore è uno che vai ad ascoltarlo con molti pregiudizi, convinto di prenderlo in castagna, e lui invece ti conquista. Tu recalcitri e lui se ne frega, ti rapisce con il suo fascino. Te lo immaginavi in un modo, e lui ti spiazza mostrando di sé tutt’altro profilo. Io invece faccio breccia solo tra chi ha un animo sereno, chi non si mette in posizione di sfida. Chi sospetta di me, uscirà sempre più sospettoso. Chi ha pregiudizi troverà conferma. Chi viene ad ascoltarmi prevenuto mi trova arrogante, presuntuoso, ambizioso e via così, in una lunga sequela di epiteti. A me va bene, lo so da sempre. E’ un modo per fare selezione.

Ieri ero in pessima forma. E’ un periodo difficile per tante ragioni, ho poca energia, sono stanco. Sono a terra, diciamola tutta. Capita. Ne verremo fuori. Almeno me lo auguro. In ogni caso, ieri dovevo parlare in pubblico, alla Festa della Marineria di La Spezia. Molta gente in sala. Io avevo la voce bassa, poco fiato, un disastro. Purtuttavia, mi dicono che avrei pronunciato affermazioni interessanti, concetti su cui vale la pena riflettere o discutere. Una mia amica ne ha appuntate alcune, le elenco sotto, giudicate voi.

Una curiosità: ieri, scarico, senza energie, in stato di evidente fragilità emotiva, con la voce bassa, un po’ tremebonda, sono risultato simpatico a tutti.

Dal taccuino di Marinella:

“I miei amici del Progetto Mediterranea non hanno vinto mondiali di vela, non hanno fatto giri del mondo in solitaria… Sono gente qualunque, ma non sono gente comune. C’è grande differenza tra queste due cose. Io non mi cruccio di essere uno qualunque. Ognuno di noi è uno qualunque. Ma non voglio essere una persona comune. E anche loro.”

“Un progetto, quando è la conseguenza concreta di un sogno, deve essere realizzato. In ogni caso. Il problema non è mai economico: non è che oggi manchino i soldi e dunque i sogni non si possono realizzare… Le cose sono esattamente all’opposto: non ci sono sogni, dunque i soldi per realizzarli non circolano, e questo appare a tutti come un ostacolo insormontabile (e una splendida scusa). Una buona idea, quando è irrorata dalla passione e dalla convergenza con un sogno, trova sempre il modo di essere realizzata.”

“Occorre introdurre nuovi ingredienti nelle formule economiche. La passione, ad esempio. La sua iniezione in un progetto è una delle variabili che riducono il budget necessario a realizzarlo. Ma non solo in sede macroeconomica, non solo nelle iniziative imprenditoriali o specifiche: i sogni rendono la vita meno cara in assoluto. Per tutti.”

La vita non è cara. Dipende da chi la vive. Se non hai sogni, è come se avessi tante falle nello scafo su cui stai navigando: per non affondare devi tapparle con cunei di legno tenero. E i cunei costano.

“Credo nella convinzione, assai meno nella coerenza. Che è molto diverso. Quando si è convinti di qualcosa e ogni giorno, nonostante le prove da superare, si continua ad esserlo, questo da fuori appare come coerenza. Cosa non così straordinaria. Il problema però è continuare quando non si ha più alcuna convinzione. Quella non è coerenza: è martirio.”

“Se abbiamo un sogno concreto, in cui crediamo fermamente, se non molliamo, il nemico si stanca. Uno che tiene duro ce la fa sempre. Ciò che lo ostacola mollerà, prima di lui.”

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L’Altro Uomo

La splendida copertina Bompiani di Stojan Decu

Stojan Decu, l’Altro Uomo” (Bompiani tascabili) – Il mio primo romanzo, il più amato. Credo anche il migliore, certamente il più complesso e letterario. Lo tengo tra le mani, carico della meraviglia e della sorpresa di trovarlo a casa, al mio rientro. La mia gratitudine va a Elisabetta Sgarbi, Direttore editoriale, che credette molto in questo romanzo e che ora lo ristampa in edizione economica.

I pochi coraggiosi giornali che lo recensirono quando uscì, nel 2005, dissero ogni bene di questa mia storia inconsueta e bizzarra. Ne riporto due:

“Stojan Decu è una creatura tentata dal demone della vita. Un uomo che mescola il dove e l’altrove in una miscela di progetti, sogni, amori, illusioni, utopie, realizzazioni.” Giovanni Tesio, La Stampa

“L’eroe del bel romanzo di Perotti è un clandestino del mondo, un ribelle capace di guidare il proprio destino.” Stefano Bucci, Corriere della sera

Qui le prime righe del libro, una sorta di epigrafe a firma dello stesso protagonista. Buona lettura.

Si fanno cose per giorni, per mesi, con la certezza che la propria esistenza passerà sempre per quegli orizzonti, quelle case, quei viali, quei momenti ricorrenti tornando da un bar, sulla via di un litorale, verso un quartiere in periferia. A volte questi stati si protraggono per anni, periodi la cui durata sembra superare ogni limite. Poi accade qualcosa e tutto si fa trasparente, senza che ci sia il tempo di dolersi, o di comprendere ciò che termina, ciò che inizia, ciò che termina prima ancora di aver avuto il suo inizio. Evacuazioni dalla casa della nostra nostalgia.

Accade che di queste rivoluzioni non siamo in grado di accorgerci se non dopo epoche di apatia: un galeone di cenere che attraversa la nebbia di fronte a un cieco.

Stojan Decu

 

La quarta di copertina

 

 

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