Non solo per me

Anche un incidente brutto è utile. Disvela, apre, favorisce la comprensione. Non parlerò di quello che ho vissuto dentro in questi dieci giorni così difficili. Lo farà Renato Reis, forse, e lo sta già facendo il pirata Dragut Rais, su pagine che leggerete chissà quando. Però quello che è avvenuto fuori è interessante.

Tanti: “Mi dispiace! Ti aiuto”. Pochi: “Perché chiedi aiuto?” Ricordo di aver fatto un pensiero mentre la barca s’impennava e precipitava giù nella lavatrice della buia burrasca: “Cosa sei disposto a fare per non fermarti qui?”. Risposta obbligata, sempre la stessa da quando sono vivo e penso: “Quello che serve. Qualunque cosa lecita, purché Mediterranea vada avanti”. Quando si sogna concretamente, si finisce per dirsi sempre le stesse cose. La differenza tra fare e non fare. E poi nella vita mi piace smettere, semmai, non dovermi fermare.

Sembra che io, per alcuni, non avrei dovuto scrivere l’appello di cui sapete. “E’ una questione di stile. Ai miei sogni provvedo io!” dice qualcuno. “Perché dovrei aiutarti ad andare in giro in barca?”. “Ma come, sono qui a morire di lavoro, tu non lavori, e io devo aiutare te?”. Li capisco. Come non mi stupisce il brivido di soddisfazione: “Oh, finalmente, non può andargli bene tutto. Ecco che i nodi vengono al pettine. Hai voluto fare quello che molla e se ne va? Eccoti servito”. Soprattutto alcuni velisti, hanno goduto. Peccato mortale, secondo me. Velisti da cortile, tirascotte d’accatto, che hanno dimenticato che in mare la sventura non si augura, della sventura altrui non si gode, e soprattutto, quando capita, genera compassione (etimologicamente: condivisione del dolore). Uno dei pescatori che mi ha aiutato a SBT mi ha detto: “Magari tra di noi ci odiamo, ma se uno ha un problema, fosse pure il tuo peggior nemico, si mette da parte tutto e si va ad aiutarlo per primi”. Toglietevi il giubbottino North-Sail ultimo modello, vergognatevi e imparate.

Io potevo girare per il Mediterraneo per conto mio, piano piano, non ho bisogno di niente. Però avevo un progetto in testa, che ho condiviso. Poi il progetto si è allargato ancora, e ora coinvolge decine di persone, tutte comproprietarie del viaggio e co-sognatrici del sogno. Molte altre si aggregheranno. Il Progetto Mediterranea è un progetto culturale e scientifico, rappresenta ormai un pezzo dei sogni di tanti. Ecco perché ho chiesto aiuto. Ecco perché in tanti ci hanno aiutato. Ecco perché tanti SI sono aiutati.

Io credo che sia finita l’epoca del “solo mio”. Da tempo scrivo e ragiono sul coabitare, coprodurre, coadiuvare. Anche per mare è così: nessuno di noi può avere una barca. Ma insieme, se rinunciamo alla titolarità, alla proprietà assoluta, possiamo. A bordo non conta chi ha soldi, ma chi sa sognare a vela. Certo, l’idea di incontrare gli altri deve suonare come bella, utile, possibile. Per i solitari a bordo non c’è alcun appeal nella condivisione di una barca e di una rotta. Per me sì. E a giudicare dai tanti che ci hanno aiutato, che Si sono aiutati, non solo per me…

Un’ultima cosa. Ringrazio in particolare chi mi ha scritto dicendomi: “Tu hai aiutato me con i tuoi libri, a farmi delle domande o a cambiare. Ora io aiuto te volentieri. Grazie!” Il risultato della partita perfetta, come scriveva Gianni Brera, è il pareggio.

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Bivi e burrasche

Un bivio: pochi istanti dopo questa immagine Mediterranea ha rotto gli ormeggi ed è andata alla deriva

Giorni istruttivi. Gli elementi che sfondano, gli incontri che disvelano. La vita ritrovata è avventurosa, mutevole. La chiamo sempre, tra me e me, “la vita vera”, quella fuori dalla bolla. Ciò che imprigiona protegge, ma anche nasconde. Meglio una buona menzogna o una cattiva verità? La seconda.

Recentemente, contatto stretto col potere, con i soldi. Il potere che ti guarda dall’alto in basso: “Io conto, tu non conti niente. Dunque io parlo, tu stai zitto”. Bellissimo quel bivio, quando devi decidere cosa fare: parlo? Dico la mia? La dico piatta e tutta? Oppure sto zitto, chino il capo? Un uomo deve sempre misurare chi è dalle cose che può dire, dai vincoli che ha a riferire il suo pensiero. Mi sono accorto che al bivio pensavo: “qualcuno mi dà da mangiare, qui? Oppure il cibo che qui mi do, oppure mi nego, è quello della mia libertà intellettuale, della mia dignità?” Padrone di niente, servo di nessuno. L’istante dopo, il potere ha capito. Era furibondo. Aveva letto nei miei occhi che non sono uno schiavo. Momento terribile per lui.

Giorni anche di solidarietà, di vicinanza. Quando ti volti e incroci uno sguardo che sta dalla tua. Il tuo sguardo chiede: “Sono io diverso, sono io che sbaglio?”. “No, hai ragione tu. Io sto dalla tua”. La complicità che aiuta a capire se stessi, e ad amare.

Vari e controversi effetti della libertà. Un territorio selvaggio, senza protezioni, dove la pelle è a contatto con la raffica salmastra, le parole con l’essenza, il cuore con l’anima. Dove nulla protegge, nulla neppure nasconde. Il compimento della nostra vita avviene ogni istante, e l’obiettivo non deve essere la sicurezza, l’assenza di difficoltà, ma la realtà. Ieri mi chiedevo: “cosa me ne faccio di una vita in cui non c’è l’intemperia?” I marinai navigano verso l’interno, perché le burrasche vengono sempre da dentro. Quelle da fuori, alla fine, generano quieta bonaccia nel cuore.

(leggi l’appello di Mediterranea)

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Tornare a casa…

Guardate questa puntata diUn’altra vita“, il mio programma su Rai 5 dell’anno scorso. Ascoltate dal minuto 46’50” la storia di Joshua Slocum. “Se un uomo è al centro della sua passione, torna sempre a casa”. Questa frase, oggi, mi ha ridato una grande forza.

Che giorni… Utilissimi, come sempre quando si va oltre il confine. Duri e utili, in cui ho azzerato ogni cosa precedente. Ogni pensiero, ogni dubbio, ogni circostanza prevalente. Il fortunale ha spazzato tutto. Anche le cose che premevano sul mio cuore. La forza rigenerante e avvilente della natura questo sa fare. C’è qualche messaggio, in questo fortunale, che dovrei cogliere? Me lo chiedo…

Devo parlare ad Asti, sabato. Parlare di mare tra Monferrato e Langhe, che curioso destino. Spero di essere in grado di affrontare la gente che verrà. Stanotte ho dormito bene. Stamattina ho letto qualche buona pagina di navigatori e scrittori che amo. Avevo bisogno del conforto della grande popolazione blu a cui mi sono ispirato. Ho tetto Tabarly, che ostentava sempre sicurezza, Moitessier, che aveva sempre l’occhio al cuore, Vito Dumas, che era un uomo d’acciaio, Chichester, che sapeva sognare con semplicità, e soprattutto ho risentito la puntata su Slocum, che con il suo brigantino Liberdade naufragò e seppe costruirsi una barca a vela abbattendo alberi, con un’ascia, da solo, per tornare a casa. “Se un uomo è al centro della sua passione, torna sempre a casa”.

Il mio APPELLO per Mediterranea gira per la rete. Mai in vita mia avrei pensato di fare un appello del genere. Io che pur di non chiedere aiuto mi farei ammazzare. Ma non per orgoglio, chissenefrega dell’orgoglio… è che nel fare le cose da me ho sempre trovato stimoli, gusto, piacere. Ragiono su questo mentre sorge la luce del giorno, e penso a Joshua Slocum, alla disperazione che avrà provato l’alba seguente al suo naufragio. La sua reazione mi ha dato molto coraggio.

Ho dormito bene finalmente. Anche questo mi aiuta. Stamattina sono pieno d’energie. Parte della forza cinetica del vento mi deve essere entrata nelle vene, mi ha trasfuso. La storia di Slocum ha saputo captare quell’energia, sintetizzarla in qualcosa di buono. Il mare toglie e dà. Lo sento sulla pelle. Niente di quello che viene da fuori ci può intossicare, o far stare bene. A parte il mare. Forse…

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Appello

accanto a Mediterranea, alle prime luci dell'alba...

Questa è una chiamata generale di soccorso:

Mediterranea è sfuggita per miracolo a una tragedia. Un fortunale l’ha strappata dall’ormeggio nel Porto di San Benedetto del Tronto e c’è voluto il lavoro di generosi marittimi presenti, e nostro che siamo corsi appena abbiamo potuto, per salvarla. Chi frequenta questo sito lo sa già…

Non è affondata, grazie al cielo, come altre sette barche accanto a lei, ma ha riportato danni ingenti. L’intero Progetto Mediterranea è a rischio. Ecco perché questo APPELLO. LEGGETELO, PER FAVORE.

Io sono stanco, preoccupato, ho ore e ore di sonno arretrato, mi fanno male le braccia e la schiena, un pezzo della mia vita è a rischio. Tutte cose mie, che non interessano, per cui non chiedo alcuna commiserazione; le racconto solo a beneficio dei benpensanti che già si fregano le mani (li vedo…) e sono subito pronti ad aggredirmi sul fatto che è meglio dare i soldi per la tragedia delle Filippine, che questa non è Emergency, oppure che come vedi simone anche tu sei legato ai soldi, eccetera eccetera.

Mi espongo a questo rischio solo per un motivo: il sogno è mio, è grande, ma soprattutto mi lega a decine di persone che lo amano quanto me. Se fossi da solo in questa storia, forse, si tratterebbe soltanto della fine del mio sogno di navigare. Una cosa che posso sostenere.

Vi chiedo un favore, dunque: se potete, rompetemi i coglioni fra un paio di settimane, non adesso. Sarò pronto alla lapidazione, ve lo prometto. Ora però sono troppo angosciato e stanco, dopo quello che ho passato. Vedere la barca in quelle condizioni volare sopra al molo come se fosse un proiettile, per ore e ore e ore… capire che l’assicurazione non ci avrebbe risarcito un euro… è stato già abbastanza.

Grazie, invece, se vorrete aiutarmi a condividere l’appello e darmi una mano anche voi.

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Emergenze…

 

Violenta mareggiata in Adriatico. Vento e mare forti da est-nordest. Mediterranea ha rotto gli ormeggi, ha sbattuto contro la banchina, i parabordi sono scoppiati. Il livello del mare nel cul-de-sac del porto è salito di un metro e rischia di depositare la barca sul molo, o di sbatterla così violentemente da aprire qualche via d’acqua, farla affondare...

Ed eccomi qui: imprigionato sul treno su cui sono salito al volo, appena avuta la notizia, e che dovrebbe portarmi da Milano a San Benedetto in un tempo relativamente breve (4h 30’) e che per l’emergenza in corso, invece, sarà eterno. Arriverò in tempo? Potrò fare qualcosa? Sarà tardi quando arriverò? Chissà… M. è salito in macchina da Bologna e sta correndo lì. Sarà lì prima di me, certamente…

Cosa accadrà, mi chiedo. Mediterranea è a rischio, il Progetto a cui lavoriamo da un anno è a rischio. Ogni cosa è a rischio, pensieri, rotte, programmi, speranze. Validi marittimi del porto, insieme ai nostri amici, stanno lottando contro gli elementi per noi, come fa un vero uomo di mare. Che Dio li ringrazi per sempre. Io, un leone in gabbia. Belva imprigionata in uno scompartimento di treno da cui non può neppure misurare sul muso le raffiche del vento. Stasera, tra le 18.00 e le 24.00 è previsto il picco, tra 40 e 50 nodi. Poseidon scaricherà la sua forza sui nostri destini, ed è per questo che vado. Che sia utile o meno, che io possa fare qualcosa o meno… è importante che sappia che sono lì. C’è un patto tra di noi, rispetto reciproco, vado per ricordarglielo.

Ecco la vita, nella sua metafora migliore: il mare. Solo che io non credo di “vivere per sempre”, dunque non mi servono dimostrazioni. Ecco perché non capisco il senso di tutto questo. E non capire è sempre la maggiore delle emergenze. Peggio del vento, della mareggiata, del destino…

Non si può accorrere in un luogo stando seduti in uno scompartimento di treno. E’ un’aberrazione, qualcosa contro natura. La quiete immobile di questo sedile, mentre l’acqua del porto ribolle e Mediterranea lotta tra la navigazione e l’abisso, è una prova durissima. Chiudo gli occhi. Cerco di controllare il battito del mio cuore, i muscoli tesi, il dolore alla testa. Mi dico che ogni cosa serve, va capita. Questa è un’emergenza, che è parola buona per una barca, che deve galleggiare, restare emersaVedremo, allora, cosa emergerà. Per me.

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