Come nelle favole, verrà

Mediterranea in (navig)azione

Mettermi di fronte al Mediterraneo e pensare di possederlo tutto, come una boccata di fumo, aspirandomelo bene dentro i polmoni, facendolo diventare cellule, sangue che si irradia fino alle estremità, e per come la organizzo consentire ad altri di fare altrettanto, di smettere di parlare di barche, di navigazione, di mare, che tanto non serve a niente, anzi avvelena, ma di iniziare a viverlo, a starci dentro, a navigarci come si pagaia in un sogno, come si prendono gli spiccioli dalla tasca per pagare un caffè in un bar della marina, al mattino presto, scalzi, perché ci moriamo a dire le cose, senza farle, senza partire mai, sognando solo, dunque immaginando quello che non c’è, che è peccato mortale farlo, mentre bisogna fare quello che c’è, che si vede, che se fai così con la mano lo tocchi, come l’acqua mentre la barca va, e ti spruzzi la camicia di schiuma, e da quello capisci che è vero, che sei in un’isola chiamata mare, la più grande delle isole del pianeta, separate qua e là da poca terraferma, dove però stanno ammassati tutti, e pensi che almeno tu ti levi da lì, ti togli di torno, alleggerisci il peso, fino a che è possibile almeno, perché tra garbage patch e inquinamento e pesca sconsiderata e sfruttamento e navi dei veleni, noi che partiamo siamo gli ultimi a partire, e questi sono gli ultimi anni, poi fine, non ci sarà più niente, dunque neanche il sogno, solo il rammarico resterà, e quella fratelli sarà durissima da digerire, perché il non ancora è già ruvido di suo, s’attacca alla mucosa, ma il mai più te la buca, la mucosa, e anche l’anima, e prima di quel giorno si va, e chi vuole può venire, non tutti, anche perché per stare sull’Arca di Noé bisogna essere almeno tutti animali, un minimo di omogeneità di genere ci vuole, e non è detto, sai com’è, fatto sta che si va, tre mesi da oggi, pronti via, che poi quando saremo anziani ci ricorderemo non del viaggio, non dei posti, non di quella sera sul molo di Istanbul, o a Trebisonda, ma che un giorno, lontano, mentre tutti dicevano che non si può, che è impossibile, silenziosi come foche, astuti come tursiopi, abbiamo mollato la cima e siamo andati, ci abbiamo provato, che a me sembra già tanto, e per di più ambiziosi: “a coesistere in modo diverso”, ma è difficile! ma se partiamo ce l’abbiamo già fatta, perché l’altro schema è che non si parte mai, dunque il primo miglio è già vittoria, tutto il resto, come sempre, come nelle favole, verrà.

Leggi su: Corriere della Sera / Viaggi – “l’Avventura di Mediterranea

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Conversazioni con una schiena

salire mi è sempre sembrato più interessante che scendere...

Poco fa, per due volte, ho avuto una serie di fitte alla schiena così forti che stavo per andare lungo steso per terra, meno male che c’era mio padre, ottantaduenne, che mi ha sorretto (paradossi psicofisici della modernità), e pensavo che oggi sarà difficile tutto, pensare, essere di umore sufficiente, almeno, per cogliere il correre della vita, perfino sedermi su questo treno, o aprire il computer e scrivere, e pensavo anche che apparentemente oggi tutto è perduto, chissà cosa sarà di me, della mia schiena, se potrò operarmi, non ho l’assicurazione sanitaria, chissà quali sono i tempi della sanità pubblica, dunque chissà se potrò salpare con Mediterranea tra tre mesi, dunque il lavoro duro fatto fin qui chissà che fine farà, ogni cosa, e via via fino al peggiore dei pensieri sul futuro, ma anche sul presente, troppo presto per uscire di scena, per non essere capace di fare, perché tutto il mio schema si basa su questo, sull’autosufficienza, e capisco oggi che è stato un azzardo, che ho supposto troppe cose, per esempio le capacità fisiche, che magari uno perde lungo la via, non è poi così strano, bastano due vertebre messe male, come ho fatto a non pensarci, che presuntuoso, e chissà ora cosa accadrà, volendo può andare da schifo, o potrebbe andare meglio, certo, ma a me interessa la peggiore delle ipotesi, non è il momento dell’ottimismo, quello servirà quando dovrò tenere duro, adesso serve un piano, il piano C, che non ho, e dunque mettiamo pure che le cose si mettano male, oddio, e adesso? Ecco tutti che arrivano: te l’avevamo detto, il tuo piano non funzionava, troppo facile, eccolo là, vedi? e mentre pensavo queste cose mi sono accorto che stavo sorridendo, ma che cazzo hai da sorridere, deficiente, ci hai messo diciotto minuti per passare da un binario ad un altro, che quasi perdi il treno, ti sei dovuto appoggiare tre volte a una colonna altrimenti finivi per terra, e ora sorridi? e va anche detto che io quando sto male non sorrido per niente, di solito, anzi, mi deprimo, dunque questo sorriso proprio non ha senso, e allora cosa vuole dire, e ho provato a darmi una risposta mentre lentamente cercavo di sedermi sul sedile del treno, mentre il treno partiva, mentre scorreva la campagna umbra oltre il finestrino, tra le mie paure e l’alba, e non ci sono proprio riuscito del tutto, ma almeno una cosa l’ho pensata: ragazzi se ci ho provato! porco mondo se mi sono dato da fare! se mi sono speso, se ho studiato e poi fatto… accidenti, tanta fatica, tanta fatica, tanta fatica, però anche tanti libri scritti, tante miglia percorse, tante cose costruite, sentite, amate, tanto tempo utilizzato come so, come potevo, e allora sorridevo per questo, forse, mentre mi trascinavo come un lombrico lungo la stazione, con l’unico obiettivo di fare duecento metri in meno di venti minuti, record negativo mondiale, che quello che siamo in vita riecheggia nell’immobilità, che ogni movimento effettuato dà senso alla paralisi, che ogni volta che questa schiena si è mossa, vale il dolore di oggi, il limite insuperabile di domani, e una cosa bisogna ricordarcela sempre, che la schiena se non la usi adesso domani potrebbe essere tardi, e io ho avuto per quarant’anni una splendida schiena, e le sono sinceramente grato, mi ha dato un mucchio di soddisfazioni, quando feci quel record juniores a delfino, quel giorno che feci tre gol in vasca da 33 contro il Latina, e almeno per qualche anno l’ho usata davvero tanto, i miei muscoli dorsali sono ancora belli tesi, e se ora molla e si arrende, beh, ha tutta la mia considerazione, e di lei non penso che si tratti di una cattiva schiena, al contrario, una schiena è quello che ha fatto, quante volte è stata dritta con dignità, senza piegarsi, quante volte si è piegata sinuosa, senza spezzarsi, di quante volte ha fatto da asse per l’amore, senza sciogliersi, quante volte ha sorretto e sollevato di peso, e se una schiena ha preso la faccenda della schiena così seriamente, con tanta devozione, come una missione, beh quando molla tu non puoi che sorridere, esserle grato, e allora adesso io e la mia schiena ce ne stiamo qui, seduti storti sul sedile del treno, e ce la stiamo raccontando, che di cose ne abbiamo viste insieme, solo che lei le ha viste dal di dietro e io da davanti e dunque stiamo riannodando i fili di un mucchio di storie che conoscevamo soltanto a metà, e anche questo è buono, dunque la giornata sarà dura, ma sarà anche una giornata utile, di scoperta, ad esempio di quante cose si possono fare con una schiena, anche dialogare, tenersi compagnia, come due vecchi amici che vanno via, di schiena… mille giorni di me e di te

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Più di Mr Gwyn

il più è ottimo anche in cucina, arricchisce tutti i vostri piatti...

Zerouno di crescita, talmente poco da sembrare uno zero corretto apposta, solo per poter avere il più invece del meno (a proposito lo zero è di segno più o meno? opinioni e teoresi matematiche…), che non è un caso, più vale di più di meno, e quello perciò si chiama più, più incoraggia, più fa sorridere, allenta la tensione, dio come siamo stati tesi in questi anni, sempre meno meno meno, e come si fa a vivere col segno meno? non c’è da stupirsi che l’economia cali, che la gente non investa, anche se il segno meno vuole dire che è già calato, che la gente è già ferma, solo che il meno alimenta il meno, come il più alimenta il più, è la dinamica del fare, del tentare, come direbbe Er Più, più è meglio di meno potrebbe essere un suo slogan, di quello là, avete capito, quello che Baricco gli ha detto di no, ma lui però gliel’aveva chiesto! e se diceva di sì che facevamo la campagna estiva Mediterraneo Mare? o un programma di ristrutturazione dei beni culturali intitolato Castelli di Sabbia? o la marcia dei Novecento su Roma? o un piano per sostenere i falegnami in crisi intitolato Sega? ma perché quello del piùcheèmegliodimeno ha chiesto a Baricco di fare il ministro? bravo bravissimo, un paio di suoi romanzi mi sono anche piaciuti, scrive molto bene, ma che c’entra uno scrittore come lui con la cultura del paese? perché ha studiato, è colto? e allora perché non a Umberto Eco, che sarà meno ispirato ma ha studiato di più? più zerovirgolauno, questo conta, facile criticare, intanto abbiamo ripreso a crescere, mentre ‘sti fancazzisti di scrittori pseudoeremiti giocano con le parole e cercano il pil nell’uovo, il pil, quello fuori dall’uovo, è tornato a crescere, di poco, ma che importa, basta per invertire la tendenza, per tornare a crederci, e questi anni, così lunghi, pieni di pensieri, che potevano farci ripensare al come, al cosa, al dove, se ne sono andati invano, presto tornerà a circolare sangue nelle vene, rialzatevi, correte, zerovirgolauno non va visto come poco, ma come un segno, e il segno è tutto, lo dice la semiotica, ecco vedi a cosa serviva Eco? è finita la crisi, tutti noi mr. Gwyn torniamo a sorridere, bene, grazie, ma sì, ma certo, l’orizzonte, sì, buongiorno signora, ha visto che bel sole? ma veramente piove! disfattista, questo è un grande Paese, ma certo, e c’è il sole, a me non pare, diamoci da fare, volentieri ma piove, piove è meno mentre noi abbiamo il segno più, evviva.

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Bisogna perderci

Perché studiate economia? Cosa vi affascina del denaro, del cambio, del tasso di sconto, del tasso d’interesse? Cosa vi scalda il cuore degli strumenti finanziari, di questa tecnica bancaria, scienza medioevale? Non c’è qualcosa di eccessivo, artificiale, in questa vostra passione? E’ normale che dilaghi, come tutti sembrano pensarla oggi? Ognuno si eccita come vuole, certamente…, il masochista perfino facendosi frustare. Ma lui cerca il dolore solo quando sperimenta la sessualità, e tutto il resto del tempo vive, mentre voi all’economia dedicate il lavoro, l’aggiornamento, l’esistenza intera, e l’amate sempre, tranne quando avete un rapporto sessuale, speriamo almeno.

Io vi vedo, come tutti. Ascolto come ragionate, so che anche quando non parlate state riflettendo ai meccanismi economici, o al rapporto con la vostra banca. Vedo che passate il tempo leggendo il contratto di un mutuo, o ispezionando il vostro conto corrente. Sapete più di leasing che di Leibniz, controllate ogni giorno il valore di un’azione, di un’obbligazione, senza uguale pensiero a quel che fate, ai vostri impegni. Soprattutto, non avete capito la novità, il segreto: bisogna perderci! Non buttare via, non dilapidare, ma perderci, senza rammaricarsi dei mancati guadagni. Voi siete avveduti, non vendereste mai una casa, oggi. Invece è proprio oggi che va venduta, e non fa niente che l’abbiate pagata di più. Non guadagnarci, perderci un poco, non attendere, preferire il momento e la motivazione al prezzo e all’opportunità, ecco alcune delle grandi scelte della nostra epoca. Per far capire anche a voi: è il prezzo della libertà. Così vi piace di più?

L’epoca è a perdere…, che brutto destino per voi! Ma c’è dell’altro: il mondo intero, quel film che scorre oltre il finestrino e voi perdete leggendo Il Sole 24 Ore, mentre andate a lavorare. Alzate gli occhi! Non potete non appassionarvi al vero, perché il denaro è un’invenzione, fors’anche un utile strumento, ma non c’era, mentre la neve c’è da sempre, ci sarà anche dopo, come il sole che spunta sotto l’ultima nuvola, inatteso.

Perché studiate economia, con tante belle discipline che ci sono? Cosa cercate di voi, di vero, di essenziale? Capirei se foste una minoranza…. Ma siete troppi. Poi finisce che vi sentite sotto assedio, e per difendervi vi chiudete in qualche valle, tra le montagne, e fate i referendum perché nessun altro ci entri, oltre voi….

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Il dito

Dito offeso. Particolare

Stamani, sul presto, stavo rifacendo un muretto a secco crollato in un punto per il diluvio universale di qualche giorno fa. E’ la cosa che so fare meno, i muretti a secco, la reputo difficilissima. Gli incastri tra le pietre mi sono arcani, non li “vedo”. Comunque, ugualmente, come sempre mi ci metto. Comincio col togliere pietre, smontare ulteriormente la parte di muretto venuta giù, per poi riprendere a costruire dal primo punto saldo. Appunto 1: per riparare qualcosa bisogna romperlo di più.

Procedo con una certa disinvoltura, quasi soddisfatto persino, fino all’ultimo pietrone, una decina di chili, forse più, di ottusa selce di fiume. Mi avanza (quando non sappiamo fare qualcosa avanza sempre un pezzo) dunque decido di piazzarlo sopra. Lo alzo con qualche sforzo, trovo il punto e glielo sbatto sopra per farlo assestare bene. Solo che tra muretto e masso ci finisce il mio dito, l’anulare destro. Dolore affabulante. Appunto 2: quando si dice, per minimizzare, che uno si è pestato un dito, non si sa di cosa si parla. Per parlare di qualcosa occorre averne avuta almeno in parte esperienza o essere dotati di immaginazione fuori ordinanza.

Dal momento dell’impatto noto una serie di cose in rapida sequenza: curiosamente, mi vengono le lacrime agli occhi; il dito perde rapidamente sensibilità; non ho il coraggio di togliermi i guanti da lavoro, i quali per quanto sottili un poco forse mi hanno protetto; mi viene mal di stomaco; cerco un punto dove sedermi, come se mi facessero male le gambe, mentre è il dito che fa male. Impreco scomodando alcune divinità del sacro Olimpo, mi viene effettivamente da piangere dal male, cerco di immaginare cosa fare, vorrei fumare ma ho quasi smesso e non posso, mi guardo intorno per vedere che accade nel mondo. Appunto 3: come a bordo, di fronte all’imprevisto, bisogna sempre continuare a monitorare la situazione intorno alla barca. Sono i momenti in cui ti distrai e vai a scogli.

Nella mezzora che segue cerco di reagire. Mi faccio da madre: “Povero piccolo, fammi vedere cosa ti sei fatto, vieni che ci mettiamo una fasciatura, stai tranquillo”, da padre: “non è niente, mettilo subito sotto l’acqua della fonte, che è gelida, poi ci vuole il ghiaccio così eviti il gonfiore”, poi da fratello: “bella fratè, sei il solito pirla!”, poi da sorella: “non sei capace, non sei capace, non sei capace”, poi da moglie stronza “ma non era meglio chiamare qualcuno? Sempre questo vizio di farti tutto da solo!”, poi da fidanzata amorevole “povero cucciolo, ma che ti è successo, raccontami!”. La solitudine, l’ho sempre detto, fa risparmiare sullo psicanalista. Appunto 4: un dito, fino a che non te lo pesti forte, è del tutto inutile nella ricerca sul tema dell’identità.

La cosa più sorprendente: scoprire di essere in tanti quando qualcosa va storto. La cosa più prevedibile: tra pietra e dito vince la pietra. La cosa migliore; i guanti mi hanno evitato una ferita. La cosa peggiore: credo che il dito sia rotto.

Per la bendauna bacchetta di bamboo secca e asciutta, quattro veli di garza 10×10, nastro da vele Gray-Tape della Scotch. Dopo averlo tenuto nel ghiaccio per almeno venti minuti lavare l’arto offeso, asciugare bene. Avvolgerlo in due veli di garza, senza stringere troppo. Posizionare il bastoncino di bamboo sulla parte superiore del dito, avvolgere dito e bastoncino con altri due veli di garza. Chiudere col nastro con un solo giro, ma completo. Far riposare.

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