E se il tesoro (che non cerco) ci fosse davvero?

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Khartoum (Sudan) – Campo profughi del Darfur, con Emergency, qualche anno fa

 

Stavo rispondendo a uno di noi, qui sul blog, ma mi sono accorto che la risposta poteva acquisire un qualche valore, perché tocca temi centrali. E allora ne ho fatto un post. Eccolo:

Granlasco, ho riletto quel che hai scritto. Non è la prima volta che colgo nei post o nei messaggi che mi arrivano, la difficoltà di percepire la molteplicità. Ho scritto molto, sul tema, anche un romanzo che considero importante proprio perché parla di molteplicità. Guarda caso il mio miglior romanzo, credo.

Ieri l’altro abbiamo detto che “un uomo deve essere in cammino”. Ecco, quel cammino, cos’è? E’ un sentiero di conoscenza di sé, di esplorazione del mondo a partire da sé. E cosa c’è da esplorare dentro di noi? Proprio questo: la nostra molteplicità.

Tutti, società, vita, sistema, ci vogliono univoci. Marito-lavoratore-padre, ad esempio, e non altro. Oppure single-consumatore-lavoratore-amante, ma i modelli sono alcuni, fai tu. Tutto purché univoci. Ci parlano della coerenza come fosse un valore primordiale, sancito, ineludibile. Ci parlano della non-contraddizione, di “essere te stesso”, come se questo avesse un qualche significato non pleonastico. Invece noi siamo molteplici, potremmo essere dei Nobel per la pace e al tempo stesso dei kapò in un campo di concentramento. Le attitudini di compassione e di violenza albergano dentro di noi insieme a infinite altre. Poi dipende dalle prevalenze temporanee, dalla volontà, e qui intervengono le scelte. Ma possiamo scegliere ciò che non conosciamo?

Io nel mondo dove stavo ci stavo male per la sua rozza banalità. Quel che mi veniva chiesto di fare, a scuola, all’università, sul lavoro, era un decimo di quello che io sospettavo di essere (e poi ho capito di essere effettivamente). Questi poveri ragazzi dei call-center, come tanti altri, mi fanno compassione anche per questo: per la loro visuale chiusa, circoscritta, stretta. Non percepiscono la vastità della propria umanità, dunque non possono concepire l’enormità delle scelte che hanno di fronte. Sono loro a chiudersi in quegli stanzoni, nessuno ce li ha chiusi a forza. E noi non siamo da meno, cambia solo il lay-out.

Ecco, quindi, che tu mi trovi antitetico: misantropo, solitario, autarchico a momenti, e poi invece promotore, attivo, relazionato, progettuale e collettivo in altri. Esatto. Ma dimentichi anche tutte le sfumature che ci sono in mezzo… Io sono anche molto altro. Come te, come tutti. Quel che cambia è solo il livello della propria consapevolezza. Ma del resto, quanto tempo dedichiamo ad essa? Dunque che risultati pensiamo di poter raggiungere? Se non cerchiamo il tesoro, possiamo dire con certezza che non esista?

Dentro abbiamo identità diverse, vite diverse, all’interno delle quali scegliamo una o più prevalenze in base all’energia che abbiamo, che ci poniamo il problema di generare e utilizzare. In alcuni momenti della nostra vita, stanchi e sfiniti, possiamo consentircene una a malapena. In altri possiamo ambire a viverne due, sei, venti. Ma siamo molteplici. Ogni nostra malinconia, ogni nostro disincanto, viene da quelle identità non vissute, da quelle vite assassinate. Lo sappiamo questo no?!

Un ultimo punto sulla richiesta di patrocini istituzionali che sarebbero, tu dici, la testimonianza delle mie relazioni, entrature, compromessi etc. Anche questo è un pregiudizio, consentimi. Quando vedo qualcuno che fa qualcosa penso sempre: “vedi? Ci ha provato. Potevo provarci anche io!”. Non penso mai che aveva dei vantaggi che io non ho. Lo trovo offensivo verso di lui, ma soprattutto verso di me. Con Mediterranea io ho fatto il percorso più formale e codificato possibile: “Buongiorno, noi saremmo… e vorremmo… è possibile? Come dobbiamo fare?”. E tutto è avvenuto. Attenzione alla tentazione di non credere mai, di non fidarsi mai. E’ solo balsamo per le nostre paure, ma porta spesso fuori strada. La gran parte delle cose di cui diciamo “ma figurati se io potrei mai…” sono possibili.

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34 pensieri su “E se il tesoro (che non cerco) ci fosse davvero?

  1. “Di ciò che posso essere io per me, non solo non potete saper nulla voi, ma nulla neppure io stesso” – Uno, nessuno e centomila, Pirandello.
    Grazie per averci ricordato le nostre potenzialità Simone!

  2. (Ho provato a variare il “name”, perché già presente)
    Nella mia difficoltà di comunicare e scrivere, provo a comunicare con la mia esperienza in merito che al momento vivo e cerco di evolvere con priorità.

    Da tempo credo che la nostra molteplicità necessiti di sintonia e di intese al nostro interno.
    Evoluzione necessaria, come detto da molti di noi; spesso si può dire, andare contro corrente, quindi è necessario avere ben chiaro con “cosa” orientarci, sapere dove e da chi, avere conferme certe (che non siano di inciampo o peggio stupide sabbie mobili).
    E’ un diventare più grandi, non per sovrastare, ma per far parte di … , esserne partecipe e parte integrante.
    Si potrebbe esprimere in, vivere consapevolmente (quindi non “inconsciamente”).
    Tante parole per dire, Essere in questa realtà, in questo tempo, per poter pro seguire a farne parte e quando si incontrano gli altri, in questa vita, diventa una grande gioia o … che farà sì che quando non si incontra nessuno ci struggiamo perché ciò accada.

    Le intese e la sintonia, al nostro interno che poi farà parte, di quello che troppo spesso ci appare lontano e difficile da raggiungere.
    A volte con fatica a volte invece saliamo sullo scivolo ma, poi, risaliamo velocemente la scaletta e restando in equilibrio passiamo ad altre …, Vivere.

    Simone,(scusami se mi permetto e permetto anche la correzione o la modifica, tanto ti sono amico, se ok per te o per tutti non saprei)a mio parere, dobbiamo riuscire, prima dentro di noi, poi anche con gli altri, a raggiungere la naturale legge (per metafora) dei vasi comunicanti.

    Siamo composti da molteplici esperienze, e non si può comprenderle e viverle se dentro di noi quei collegamenti, quelle intese che equilibrano i livelli interni, non sono ben puliti, definiti manutenuti e coltivati.
    Prima dentro e dopo fuori? no, nessuna divisione, ma qualità, dedizione e strumenti per navigare.
    Per imparare meglio e velocemente, bisogna sottrarsi dai rifiuti del vento o dalle correnti avverse, quando si naviga si incontrano anche belle scie e la libertà consapevole, ci dà una mano da farci dire: “che botta di . da solo non ci sarei riuscito in quel modo.
    Selezionare quando si è capaci di farlo, e noi lo siamo, per esistere, anche se a volte, siamo “maledettamente” soli.

    Ho provato, anzi, credo di potervi parlare, anche se non sono sicuro di saper scrivere.

    A presto Rh-

  3. Elisabetta è molto interessante ciò che scrivi su Gurdjeff…
    Una cosa che mi colpì quando lessi quel libro fu che parlava di quanto l’uomo moderno si stesse meccanicizzando, quindi quanto stesse in realtà(secondo la mia comprensione) pericolosamente vincolando e restringendo sempre più i propri pensieri e l’anima a canoni e abitudini, in modo acritico, invece di guadagnare consapevolezza ed esercitare arbitrio, abbracciare il dubbio e la curiosità.
    Ed oggi ne vediamo le conseguenze: spesso sembriamo degli psicotici che agiscono, pensano e parlano compulsivamente come fossimo in preda a chissà cosa. Senza apparente motivo: in realtà forziamo la mente a ragionare sempre secondo gli stessi meccanismi (pochi, tra l’altro, data l’alta ripetitività delle nostre vite ed esperienze).

  4. L’opera di Gurdjieff è multiforme. Ma qualunque sia la forma in cui si esprime la sua parola è sempre un richiamo.
    Egli chiama perché soffre del caos interiore nel quale viviamo.
    Egli chiama affinché apriamo gli occhi.
    Egli ci chiede perché esistiamo, che cosa vogliamo, a quali forze obbediamo. Egli ci chiede soprattutto se comprendiamo ciò che siamo.
    Egli vuole farci rimettere tutto in questione.
    E poiché egli insiste, e la sua insistenza ci costringe a rispondere, tra lui e noi si stabilisce una relazione che è parte integrante della sua opera.
    Per circa quarantanni questo richiamo risuonò con tanta forza che uomini di tutti i continenti vennero da lui.
    Ma avvicinarlo era sempre una prova. Davanti a lui qualsiasi atteggiamento sembrava artificioso. Che fosse eccessivamente deferente o al contrario pretenzioso, sin dai primi minuti veniva fatto crollare. Caduto l’atteggiamento, rimaneva soltanto una creatura umana spogliata della sua maschera e, per un momento, colta in tutta la sua verità.
    Era un’esperienza spietata, per alcuni impossibile a sopportarsi.
    Costoro non gli perdonavano di essere stati messi a nudo e, una volta al sicuro, cercavano con ogni mezzo di giustificarsi. Nacquero così le leggende più stravaganti.
    Quanto a Gurdjieff, egli si divertiva di queste storie. Se necessario arrivava persino a provocarle, non fosse che per sbarazzarsi dei curiosi, che erano incapaci di capire il significato della sua ricerca.
    Quanto a quelli che avevano saputo avvicinarlo, e per cui questo incontro era stato un avvenimento determinante, ogni tentativo di descriverlo appariva loro inadeguato. Per questo le testimonianze dirette sono così rare.
    Tuttavia, la persona stessa di Gurdjieff è inseparabile dall’influenza che egli non ha cessato di esercitare. È dunque legittimo il desiderio di voler conoscere ciò che fu la sua vita, perlomeno nelle sue linee essenziali.
    Perciò gli allievi di Gurdjieff hanno pensato che fosse necessario pubblicare questi racconti, i quali in origine erano stati concepiti per essere letti ad alta voce a un ristretto gruppo di allievi e invitati. Gurdjieff narra del periodo meno conosciuto della sua esistenza: la sua infanzia, la sua adolescenza, le prime tappe della sua ricerca.
    Ma se Gurdjieff racconta se stesso, è per servire il suo vero intento. Vediamo benissimo che non si tratta di un’autobiografìa nel senso stretto della parola. Per lui il passato vale la pena di essere raccontato soltanto nella misura in cui esso è «esemplare». In queste avventure, suggerisce non esempi da imitare esteriormente, ma tutto un modo di essere davanti alla vita, che ci tocca direttamente e ci fa intuire una realtà di un altro ordine.
    Perché Gurdjieff non era, non poteva essere soltanto uno scrittore. La sua funzione era un’altra. Gurdjieff era un maestro.
    …… Ricorda un po’ Simone ??? 😉

  5. Grazie Fabio saracino ! Anche io l’ ho letto molti ma molti anni fa e lo trovo attinente a quando detto in questo post.. Allora mi cimenterò anche in ” incontri con uomini straordinari ” ! Che già in in questo blog credo se ne incontrino molti fuori dall ordinario x fortuna..

  6. Elisabetta, io qualche anno fa ho letto “Frammenti di un insegnamento sconosciuto”. Gia’, anche li’ si parlava della molteplicita’, concetto che all’inizio mi ha inquietato… Gurdjeff e’ interessante e affascina, ho anche “Incontri con uomini straordinari”.

  7. E per avere una visione della nostra molteplicità ci vuole pulizia. Allora applico la regola dei dodici mesi: se non uso qualcosa, qualsiasi cosa, per dodici mesi, la butto. O la regalo, o provo a venderla, dipende dal suo valore. Ma qualsiasi valore abbia, ho deciso che se non la si usa per dodici mesi, il suo valore per la nostra molteplicità è zero.
    L’ho già raccontato qui anni fa, e i miei figli ormai se lo son sentiti dire così tante volte da prendermi in giro: nel cammino di Santiago (per cui ero partita sola, inesperta e per niente allenata) dopo due giorni di inciampi sotto il peso dello zaino, mi si gonfiarono le caviglie tanto da fare tutt’uno coi polpacci. Il dolore mi aveva fatto sbagliare strada e nel bosco avevo perso qualsiasi riferimento. Avevo solo una scelta: svuotare lo zaino e rimetterci dentro solo le cose indispensabili.
    Fatto ciò, riebbi la mia molteplicità: potevo finalmente andare in tutte le direzioni.
    Per gli ambientalisti: poi trovai due signore che pascolavano una vacca a cui chiesi se potevano andare a prendersi i miei indumenti.

  8. Più siamo vicini ad un modello, più ci possono incasella, targettizzare e quindi manovrare. Purtroppo l’intero sistema complotta contro i più deboli affinché restino deboli, una massa da spostare a destra o a sinistra a piacere, sempre e solo allo scopo di riempire le tasche di qualcuno.

    Se siamo molteplici (come giustamente dice Simone) siamo imprevedibili e abbiamo numerose possibilità di emanciparsi. Lo dico sempre a chi mi scrive e mi chiede come fare a cambiare vita: Si inizia prendendo coscienza che tutti possiamo fare tutto, basta solo la giusta dose di impegno e costanza.

    “Io non sono capace” è la prima frase da cancellare!

    • Francesco, come prima frase da imparare metterei anche “Questo non potete chiedermelo, perché io non ve lo voglio dare”

  9. Ciao Antonella! Infatti, semplicemente io intendevo che noi siamo anche il nostro lavoro, così come tu intendevi che non siamo solo quello. Esattamente complementare. Cmq, mi puoi scrivere lo stesso, non è mica necessario che sia per risolvere diatribe!
    …Simone: però stare sopra a un ombrello la vedo dura…scusa, è la febbre ;-)! Dubito ergo sum…e mi piace dubitare per il piacere di potermi ricredere. È bellissimo venire smentiti…

  10. La mia domanda non é sulle entrature, se sia o no fattibile…non mi importa niente e non cambia nulla che tu le abbia avute o meno, quello che conta è il progetto e ben vengano sostegni “importanti” anche grazie a entrature. La mia domanda, mossa da sincera curiositá e assoluta buonafede é se patrocini cotanto istituzionali (che fanno parte del sistema, anzi, sono il sistema) non ti facciano sentire meno libero, pur fornendoti un ombrello protettivo. Gli ombrelli proteggono certo, ma limitano. Non temi che il TUO progetto possa venire snaturato?

  11. Ciao Claudia,alla fine l’ho capito che era una forma di interessamento la tua e non un atto di accusa….forse ho ancora qualche problema con i toni, ma magari è un mio limite :)) Visto? non ho fatto nemmeno a tempo a risponderti in privato appena riavuto il pc che Simone ha scritto questo bellissimo post in cui spiega, come io non avrei potuto mai fare, il senso delle tante dimensioni che appartengono al nostro essere, reali, immaginarie, sperate, coerenti o contraddittorie. Esaurire la propria identità nel lavoro o nell’amore, nell’amicizia ecc, identificarsi insomma con un’unica dimensione, un unico ruolo io lo trovo addirittura pericoloso…pensa ai tanti imprenditori che si sono suicidati quando hanno chiuso le loro aziende o agli uomini/donne che lasciati dal loro amore arrivano a commettere atti estremi…la molteplicità è un’ancora di salvezza oltre ad essere la manifestazione della grandiosità del nostro essere che tante volte erroneamente permettiamo agli altri di limitare…un abbraccio da una di noi

    • Antonella, ciao. probabilmente si è trattato di un fraintendimento. quando hai scritto “io non sono il lavoro che faccio” sono inorridito. Ora credo di aver capito che volessi dire “io non sono SOLO il lavoro che faccio”. Allora d’accordo. Ma io sono certamente ANCHE ciò che faccio, ciò a cui lavoro. Quando mi sono accorto che io non ero il lavoro che facevo, l’ho abbandonato. A carissimo prezzo (cosa che vedo che spesso e volentieri non viene compresa) ma senza alcun dubbio.

  12. Sono gli altri che ci vogliono univoci, o siamo noi che, talvolta, preferiamo nasconderci dietro ruoli preconfezionati (Ma come, lei non sa chi sono io; sono tua madre! sono la professoressa, zitto! sono io il medico, lei ascolti! sono la persona più onesta di questo mondo e lei si permette di dubitare della mia sinceritá??), anche molteplici, ma finalizzati, ad hoc? Per paura, comoditá, quieto vivere, per esercitare una qualche forma di potere, per sentirci sicuri e coccolati? Credo che succeda anche questo. Forse non siamo molteplici, ma complessi, stratificati, inconoscibili e contraddittori, di sicuro. In ogni caso penso che fare domande, anche scomode, manifestare dubbi e criticità sia un grande segno di attenzione e considerazione nei confronti dell’interlocutore, e non di sfiducia, tanto meno un atteggiamento accusatorio. Si da la possibilità di rispondere e spazzare via i dubbi. Io ringrazio sempre chi mi chiede come ho fatto a ottenere certi risultati, non lo trovo un pregiudizio, sarei io prevenuta, trovo sia una fantastica opportunità per raccontare cose che sono alla portata di chiunque chieda “ma come hai fatto a…”. A proposito, nella selva di citazioni letterarie mi viene in mente una canzone… “quante vite hai”. Uno di noi.

  13. Simone…. Che si fottano gli accusatori ! Noi sentiamo la tua onestà . Tu ci dai gioia, sapere che anche noi riusciamo a trasmettere affetto a te ci fa sentire che in qualche modo riusciamo a farti arrivare la nostra gratitudine. E allora tu dillo ! ;o)

  14. Ciao Simone , bellissimo il passaggio “Ma siamo molteplici. Ogni nostra malinconia, ogni nostro disincanto, viene da quelle identità non vissute, da quelle vite assassinate. Lo sappiamo questo no?!”…… eccome che lo so e proprio per questo che mi commuovo ogni volta che ti leggo, le tue parole mi colpiscono dritto al cuore perchè metti nero su bianco in maniera meravigliosa quello che penso da una vita .Buona serata

  15. Simone,
    come sai sono d’accordo anche sulle virgole…

    Ma di questo post mi ha fatto emozionare un’altra cosa… e ci sono tornata e ritornata su a leggerlo più volte… quando dici: “stavo rispondendo a uno di noi”… Uno di noi, hai detto. Non uno di voi. Hai detto uno di noi”…

    Ultimamente ho la lacrima facile… mi emoziono per cose che si considererebbero dettagli…

    Certe strade, sarà forse che si va più lentamente, non lo so, non fanno sfuggire questi dettagli che a me sembrano montagne…

    • Marica, ciao. Se ora io provassi a dirti l’adesione, la vicinanza e la compromissione morale, perfino sentimentale che io vivo con queste pagine e con. Tutti NOI che le riempiamo di parole, pensieri, sensazioni e sogni… mi acccuserebbero di fare il paraculo. Ormai lo so. Dunque nonlo faccio. Ma e’ cosi’.

  16. Ciao Simone,
    Walt Whitman…che era Walt Whitman scriveva…..” mi contraddico? certo che mi contraddico, sono vasto, contengo moltitudini”
    Magari tutti lo capissimo…..buon vento!

  17. ” Dio non ha unità, come potrei averne io?” scriveve Pessoa che attraverso i suoi eteronimi ( alter ego letterari)giunse a dar vita al molteplice che lo abitava.
    Pessoa dimostra, credo, che il molteplice va organizzato, pensato, non lasciato semplicemente vivere; la malinconia troverà quindi sempre spazio tra le pagine non scritte della nostra vita. Bisogna rassegnarsi e preferire la malinconia alla schizofrenia!
    Faust era di avviso contrario..e guardate dove è finito!!

  18. Coi patrocini, Simone, credo tu abbia fatto benissimo. Le istituzioni non bisogna sempre attaccarle con slogan o bombe carta per ottenere consensi, anzi è sempre meglio “accarezzarle”, “accompagnarle”, il che non significa vendersi.
    Quel cammino dell’uomo di cui parli, credo si possa identificare con l’evoluzione della propria anima. Il corpo è solo un involucro, ma la componente importante, l’anima, quello è un tesoro da riscoprire, essa viaggia da sempre nell’oceano del tempo, reincarnandosi di volta in volta in materia. Così può aver vissuto nei pleniluni dei deserti d’Egitto o delle pianure della Mongolia, cavalcato con G. Cesare o G. D’Arco, navigato con Magellano o Dragut, scritto con Sand e Flaubert.
    La nostra anima ci chiede solo questo, usare il nostro libero arbitrio per aiutarla ad evolvere, se ignoreremo la sua voce non assolveremmo al nostro compito, forse anche un dovere…

  19. Ecco cosa intendevo quando dicevo “io non sono solo il mio lavoro” ma molto di più.,.nessuna deresponsabilizzazione, ma solo la molteplicità del nostro essere…mi sembrava impossibile che proprio tu non avessi capito;-)…
    P.S. Sì, per me Stojan Decu è il tuo capolavoro…

  20. Fantastico, il tuo pensiero è il succo della pseudo crisi economica di cui ancora molti non riescono a comprenderne la matrice.
    E’ la crisi della consapevolezza, della mancanza di opportunità che non vogliamo concederci, degli amori che non vogliamo cercare, delle passioni che non vogliamo coltivare.
    Il lacrimatoio di cui ci siamo contornati ci sta annegando.
    Basta lamentarsi è ora di (re)agire, di scavare nelle nostre molteplicità, di fare luce negli angoli bui.
    Affrontare, affrontare, affrontare.
    Non esiste cosa più triste che l’idea di morire senza aver esplorato.
    Meglio un giorno da leoni, consapevoli leoni.
    Ad Maiora

  21. La coerenza è una schiavitù. E’ uno dei tarli della mente che mi torturano e che vorre eliminare. Sto sempre a chiedermi se sono stato coerente, eppure una parte di me, quella creativa e più libera, sa benissimo che si tratta di una cretinata.
    Ma non sono ancora riuscito a convincermi del tutto, perchè il mondo circostante, che ragiona in maniera univoca e ti giudica per quello, insinua in te quell’odioso senso di colpa e il dubbio.
    La coerenza ci tiene tutti più buoni: il lavoratore dipinto come esempio di onestà e sacrificio che non pensa ad altro se non a lavorare e mantenere i figli a scuola è sicuramente un cittadino ignaro di sè e di quello che potrebbe fare e desiderare… basta quindi dargli quelle poche cose e va tutto bene (oggi il sistema sta crollando e neanche più lavoro-assistenza-pensione riesce più a offrire, quanto siamo messi male).
    Questo post me lo stampo perchè è un medicinale potente. Come al solito grazie.

  22. E’molto vero quello che scrivi oggi Simone.
    Per qualche tempo sono stata un po’in disaccordo con te..non so perche’precisamente….un insieme di cose.
    Oggi ti riprendo volentieri come specchio di confronto.

  23. sì, Simone, proprio così. Tutti vogliono appiattirci su una dimensione, ma solo ribellandosi è possibile trovarsi.
    Come diceva Agrado in “Tutto su mia madre”: è molto costoso essere autentici.

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