Quello che dovevi cercare…

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Lo abbiamo trovato, possibile? Di già? Cinque anni, un viaggio immenso tra le epoche delle nostre vite. Possibile aver già trovato il Mediterraneo? Eppure è qui, eccolo, è in questo luogo assoluto, duro, selvaggio. Lo guardo per un’ultima volta mentre salpiamo alle sei di mattina. Porto Cayo, antro, riparo, covo, tre notti e due giorni strapazzati da sua maestà, il Maestrale, inchiodati in una rada chiusa, protetta da mare, capace di esaltare i venti di ponente con le sue schiene alte di roccia. Indescrivibile Mediterraneo, base dei temibili pirati del Mani, i cui sacerdoti accoglievano le barche forestiere con doni, attirandoli a terra, per poi farli depredare dai compagni nascosti e fingersi inconsapevoli della trappola, negoziatori del loro rilascio. Storie millenarie, del tutto dimenticate, come non fossero mai state, come l’architettura Maniota, pietra a torri squadrate, borghi in eterna faida, oggi dimore splendide e austere, dove nascondere amori impossibili. Mediterraneo che ci mantiene, da giorni mangiamo la grande leccia, i cefali guizzanti, gli alalunga carnosi. Mediterraneo difficile da parare, anche con sessantacinque metri di catena, collegati al fondo dalla marra irresistibile di un’àncora disperata. Mediterraneo di luce aranciata, di azzurro accecante, del nero infestato di stelle, delle guardie notturne insonnoliti sotto le raffiche a quarantacinque nodi, del caffè, delle sigarette, del caffè ancora, del vino, del bar, del piccolo gommone che fa la spola gorgogliando, e del pontile, la scalinata per il Paradiso che lega l’uomo alla sua terra infedele.

Mediterraneo. Lo abbiamo trovato, possibile? Forse abbiamo incontrato quello che cercavamo. Forse da ora in avanti potremo solo trovare quello che non sappiamo neppure di cercare. Volevamo essere liberi, navigare, navigare… Volevamo le risposte, e siamo finiti con la prua su nuove domande. Quello che non sai neanche chiedere, quello che neppure speravi, quello che dovevi cercare ma non lo sapevi, ti aspetta sempre qui. O al prossimo giro di vento.

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5 pensieri su “Quello che dovevi cercare…

  1. Affascinante che sia sempre un imprevisto, o un arresto non calcolato, una trappola incantata, sua Maestà il Maestrale o… insomma, che non siamo noi a causare la scoperta. Almeno l’ultimo miglio di essa. Non siamo noi con la testa. Lo siamo, invece, col nostro carnale essere in situazione, col puntare la prua verso l’ignoto. Ed è lui, l’ignoto, che ci si avvicina. Come un gabbiano a beccare cibo dalle nostre mani. A beccare la nostra fantasia, il nostro ardore, l’azzardo sfacciato negli occhi, l’impazienza di mani innamorate… e il Mediterraneo appare. Già. Ci credo! Proprio allora. Come un eterno ritorno. Salato. Infinito.

  2. “E’ cosi’ che succede. Ritiri ogni cosa per qualche tempo, e di tanto in tanto dai un’occhiata dentro l’armadio in cerca d’altro e allora te ne ricordi e ti dici: fra poco. Poi diventa un oggetto che e’ la’, nell’armadio, e vi si affollano davanti e sopra altre cose, e finisci col non pensarci piu’. Proprio a cio’ che consideravi il tuo luminoso TESORO. Non ci pensi. Una perdita che in passato ritenevi insopportabile e’ diventata ora qualcosa che a stento ricordi. E’ cosi’ che succede. Sono poche, pochissime le persone che hanno un tesoro, percio’ se ce l’hai devi tenertelo stretto. Non devi lasciarti imbrogliare e fartelo portare via.”. Le parole di Alice Munro – dal suo libro ‘In fuga’ – mi sono sembrate profondamente ‘concordanti’…

  3. Trovare una cosa cercata è un po’ come mettere un mattone sotto i piedi, che ti alza quel tanto che basta per vedere un po’ più in là, dove nuove cose affiorano indistinte all’orizzonte, sconosciute ammaliatrici che alimentano questo affascinante moto perpetuo. Sto arrivando anch’io a cercare… 😉

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