Tutti

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Tutti appartengono. A un’idea, a un partito, a un’associazione, a un gruppo, a un mondo… Io no. Tutti hanno radici, provenienze a cui tornare per riconnettersi alla propria storia. Io no. Tutti hanno luoghi di riferimento, una stanzialità che ottunde ma pure salva, posti del mondo dove fin da bambini hanno sotterrato una scatola piena di ricordi. Io no. Tutti vengono da una qualche cultura di riferimento, da un mondo di valori, da un ceppo originario di pensieri, consuetudini, divieti. Io no. Tutti hanno amici d’infanzia, persone che della loro vita sanno tutto, sono antichi testimoni del percorso. Io no. Tutti credono in un Dio, in qualcosa che li fa sperare e temere, negli astri, nella fortuna, nel destino, nel fato. Io no. Tutti hanno un lavoro, un posto dove andare ogni mattina, una scrivania a cui sedersi, un indirizzo a cui recapitare uno stipendio, un biglietto da visita con su scritto il proprio nome. Io no. Tutti sanno dove devono andare, in cuor loro almeno, e sanno che a parte ogni tentazione ci andranno davvero, prima o dopo, perché sono destinati a quello. Io no. Tutti scelgono di restare, prendono quello che gli manca su tavoli diversi, anche se non sono sicuri, anche se non ci sono tutti, anima, corpo, mente, psiche, anche se restando si inganna qualcuno. Io no. Tutti scelgono in base alla propria convenienza, evitano di pagare i prezzi altissimi che le scelte implicano, dicono ciò che conviene dire, fanno compromessi pesanti che loro solo conoscono, e non li dicono mai. Io no.

La solitudine che ne consegue, come diceva il poeta, non è dunque un albero che se ne stia da solo, in mezzo a una radura, separato dal bosco, ma è la distanza tra le sue foglie e le radici, tra la sua corteccia e la linfa profonda. Un prezzo assurdo, che pare impagabile. Una distanza dolorosa, di cui non so come non provare terrore, oggi.

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134 pensieri su “Tutti

  1. @bloved che scrive “E chi saprebbe dirmi esattamente cosa ha capito di più di prima, dopo aver avuto dei figli? Cosa non può capire chi non ne ha?”

    Dopo aver avuto una figlia ho capito quanto sono fragile, quanto la relazione con un figlio possa mettere in discussione le proprie certezze. E’ stato lo stimolo per guardarmi dentro, per cercare di capire il motivo delle difficoltà di rapporto con i genitori e in genere con chi mi è vicino.
    Mia figlia amplifica sensazioni e reazioni, devo esserci per cavalcare l’altalenanza tra gioia e tristezza, pazienza e irritazione, amore e rabbia, stupore e noia, gratificazione e sconforto…
    Direi che sono i figli che crescono i genitori. Io cerco di crescere insieme a lei giorno per giorno.
    Niente che non possa capire chi non ha figli, solo che per me diventare padre ha smosso un sacco di cose…

  2. Kalaha, bellissimo intervento, grazie 🙂
    Fin alla fine ho avuto il dubbio di poter conoscere, chissà, la persona che idealmente parlava nell’intervento!

    E dopo averlo letto e riletto, ho capito un po’ cosa significa sentirsi estranei a se stessi e non avere più alcun rifugio.

    Mi viene in mente prima Eric Fromm, e tremo un po’, e poi Gibran: “Alle porte della città e accanto al focolare, io vi ho veduto prosternarvi e adorare la vostra libertà.”.
    Non è il tuo caso, tu per quel che ti conosco non sei un estremista, un talebano della libertà.

    Le cose più dure di questo pezzo sono:
    “Tutti sanno dove devono andare […]”. Vero e chi dice di no ormai è abituato a mentirsi quotidianamente. E tu? Non più, perché ci sei già stato.
    “Tutti scelgono di restare […]”. Questa è proprio una mazzata.

  3. Caro Simone, dici spesso che sono importante per te. Lo dimostri da anni, non ne fai solo una dichiarazione. Che l’equilibrio lo trovi muovendoti consapevolmente tra te e me. Che ti piace stare con me, comunicare con me, discutere con me. Hai scritto più volte quanto io sia importante per te. Quanta ricchezza, quanto bagaglio, esperienza, racconti io ti porti. Anche gioia e divertimento. Mi lusinghi ad esserci, a leggerti, a far parte di questa comunità, mi incoraggi. Mi leggi, mi rispondi. Quanti viaggi per venirmi a trovare, quanti io per venire a trovare te.
    Ci sono nel bene e nel male, quando stai bene e quando stai male, quando sei bello o fai il brutto. Ti accetto insomma per come sei, anche se è da poco che ti conosco ma per te questo non fa la differenza, e forse proprio per questo, ti voglio già bene.
    Allora io che leggo quello che scrivi in questo post, cosa devo pensare?
    Cambiata vita, lasciato il tuo lavoro di prima (non il Lavoro) per altri tuoi/tue lavori/passioni forse non hai più qualcosa a cui attribuire la tua tristezza e il tuo senso di solitudine. Se uno ha cambiato vita, o meglio di vita ne abbiamo una, quindi se uno ha cambiato luoghi, relazioni, abitudini, tempi, occupazioni, dilatando ciò che gli piace, annullando ciò che non gli andava bene, non ha più alibi. Con chi se la prende ora? Lo sai, perchè sembri uno che non si nasconde. Allora è per questo che un po’ te la prendi con me, che prendi le distanze, che velatamente mi giudichi? Ci sono, lo sai che ti voglio bene, è per questo? Allora dillo. Come spesso accade chi ci è più vicino diventa un personale parafulmine. Sono questo per te? E’ per questo che hai scritto queste cose di me? Se è così va bene, ma dillo. Mi sembrerebbe che almeno hai ascoltato veramente la mia storia. Sai chi sono, cosa penso, cosa ho passato e passo ogni giorno, quale percorso mi ha condotto fino a qui, quali le mie scelte, le mie sofferenze, le mie difficoltà, ma anche le mie gioie e le mie soddisfazioni, i miei sforzi, i miei ragionamenti, le mie battaglie quotidiane, i miei sogni e le mie speranze. Lo so che lo sai. Lo so che mi hai ascoltato veramente.
    Non ti lascio andare, non ti mollo. Davvero. Ci sono. Sono consapevole che spesso proprio quando ci si ama molto è più facile ferirsi. L’avrò fatto anch’io sicuramente. Questo non cambia coso provo, spero sia lo stesso per …
    A presto
    tuo affezionato Tutti

  4. La mia domanda era un po’ provocatoria, di figli ne ho, diciamo, diversi.

    No perché spesso sento questo “non puoi capire”.

    • Roberto, devo dire che le scene finali di quel film, che tu posti, stridono tragicamente con il PIF protagonista di questi assurdi spot della Telecom. Sarebbe utile, per il figlio, che oltre alla memoria dei caduti per la mafia non desse di sè e del mondo un’immagine così idiota come invece fa in quelle pubblicità. Mi è tragicamente crollato, nonostante lo seguissi e stimassi fin da principio. Non c’è nulla di male a fare il testimonial per una pubblicità, purché in un certo modo, con un certo garbo. Ma qui mi rendo conto che sono un po’ radicale, io. ciao.

  5. Non dico che fare figli sia un obbligo, una cosa buona, una cosa cattiva, ognuno (ovviamente) fa quello che gli pare, dico solo che è un pezzo della vita, un pezzo importante, che ho capito solo dopo averlo raccolto, tutto qui.

    Giudicare non mi appartiene 🙂

  6. Bello, perché poetico, perché ben scritto.

    Però sono troppo limitato per capirlo, concetti difficili per me da comprendere. Dovrei leggere e rileggere 30 volte, rifletterci su per giorni e forse allora…

    Capisco di più il discorso che ne è nato sui figli. Che si faceva confuso sul perché farli.
    Sul crescerli sembrava che tutti fossero più o meno concordi.
    Sul perché farli… Resta tutto abbastanza vago.

    E chi saprebbe dirmi esattamente cosa ha capito di più di prima, dopo aver avuto dei figli? Cosa non può capire chi non ne ha?

    Libertà, non nonostante i figli ma anche per loro stessi. Donarsi ai figli senza che diventi schiavitù, seguire la libertà senza che diventi schiavitù.

  7. Condivido quello che senti, Antonella. Non è retaggio di educazioni religiose di varia confessione, ne si tratta di menate pseudoscientifiche o parafilosofiche. Un laico “take care”, semplicemente, prendersi cura…dei figli, degli amici, dell’insalata nell’orto, dei gatti, della professione. Non serve parlare. Intendo questo per generosità (che non presuppone una ricerca di gratitudine, sec. me, Marica, perchè il vantaggio in termini di lucidità che ne ricevi ti ripaga di per se). Perchè siamo tutti sulla stessa barca, al momento arenata in una terra di mezzo (o su una boa!) che sta tra la nostra nascita e quella che sarà la nostra fine. Certo, per prendersi cura bisogna “esserci” e amarsi quanto basta.

  8. @simone Anch’io, prima di avere figli, credevo di averne capito il significato, me ne parlavano e credevo di comprendere, e solitamente sono uno che le cose le capisce al volo, solo che poi, quando è nata mia figlia, ho capito veramente il significato profondo di mettere al mondo un creatura, averne cura, passare dal pensare solo a se stessi al pensare quasi esclusivamente agli altri, al piacere di fare le cose per fare felici gli altri, all’avere qualcuno a cui insegnare la vita, alle responsabilità, quelle vere, non quelle finte della società in cui viviamo, come pagare il mutuo o fare la spesa spesa.

    Molti mi dicono che ho la capacità di spiegare in modo semplice concetti difficili, ma su questo argomento mi arrendo, non c’è modo, a parole, di spiegare veramente il cambiamento che essere padre porta con se.

    Non c’è altresì modo di spiegare il senso di vuoto che si comprender aver vissuto prima di avere un figlio, e io non sono uno che passa la vita lavorando o guardando la TV perchè non ha niente di meglio da fare…

    • vuoto o pieno che sia, Francesco, è la mia vita, come la tua, come quella di tutti. Ognuno sa se la sta vivendo facendosi sconti, o rinunciando a qualcosa. Per le persone dotate di consapevolezza credo non vi siano passi obbligati, ma solo opportunità. Io sto vivendo un momento molto difficile, molto duro, ma credo sia utile, credo sia parte della mia vita, non credo sia qualcosa da rifiutare o da augurarsi che passi o che non sia mai stato. Non è possibile, per quanto doloroso. Così nel bene, nelle cose belle: non ha senso pensare che durino, che non cambino mai, anche se la sola idea che finiscano, un giorno, ti fa trasalire. La vita è questo continuo rincorrersi di squilibri ed equilibri, e non c’è alcun modo di stabilire che un peso, o una leggerezza, siano l’elemento essenziale di questa armonia o disarmonia. Non c’è una chiave, una parola magica, non c’è una formula corretta o una che porta fuori strada, non per definizione intendo. Io cerco la mia via sudando sangue o profumo di vaniglia, alternativamente. Come tutti. Ma mi sento libero di scegliere e non provo il senso di colpa di non fare figli perché questo sarebbe un “pieno” al cospetto del quale la mia vita di oggi sarebbe un “vuoto”. il pieno e il vuoto sono dentro e sono sempre con noi, figli o non figli.

  9. Per Antonella,

    : ) mi fa un po’ sorridere pensare che mi si consideri una persona pacata e serena…
    Però io, guarda il caso, faccio esattamente come dici tu. Quando sono in quei momenti so cosa devo fare: via, di corsa in superficie, riemergi, alleggerisciti, torna su.

    In superficie (come la chiamo io) si ricomincia a respirare e ci si lascia andare. Non vado dentro me stessa e ancora più giù. Faccio il percorso contrario: Fuori e in superficie.

    Lì c’è l’essenziale. E questo mi ha salvato in più di un’occasione. Non perché lì io trovi le risposte e capisca meglio. Niente affatto. Solo perché in quel luogo mi sembra semplice accettare che le risposte non sempre ci sono, che sono disposta ad accettare il mistero, che sono parte integrante anch’io di qualcosa che in profondità mi sembrava separato e inconciliabile.

    In altre parole, mi riassemblo, cambio il punto di vista. E’ la mia soluzione. Non so se è una semplice distrazione o una specie di inganno ma funziona per me e sento che sono più vicina a ciò che è vero…

    Non so se è quello che volevi dire tu però mi ci sono ritrovata in pieno…

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