Quello che dovreste…

L’ho già scritto, ma lo ripeto, perché vedo che ce n’è sempre più bisogno: “Quello che c’è si vede. Quello che non si vede, non si vede perché non c’è”. Ecco un mantra chiaro, semplice, verificabile. Ripetiamocelo, convinciamocene. Basta col mondo che dice cose che poi non si vedono. Basta con la gente che dice cose che poi non sa fare. Quando uno non sa fare qualcosa deve ammetterlo, e ritirarsi, per quanto doloroso possa essere. Smettiamo di dire cose che poi non avvengono. Smettiamo di sognare i sogni impossibili, irrealizzabili e soprattutto inadatti a noi. Smettiamo di credere che quello che diciamo (o ci viene detto) è vero nonostante non lo si riscontri nella quotidianità, nella pratica, nella concretezza salvifica dell’azione, delle parole dette, dei gesti, dei toni, delle decisioni.

Credetemi, quello che c’è si vede. Se non vedete qualcosa, è solo perché non c’è. Non vi dite stronzate tipo “c’è, lo so, ma adesso, in questo momento specifico, non si vede… Ma vedrai che…”. Non credete all’invisibile, all’incredibile, non datevi giustificazioni, non giustificate. Vi state mentendo. State perdendo tempo. Non state facendo quello che dovresteBasta con le cose che non si manifestano. Sapete perché non si manifestano? Perché non ci sono. Fine.

Share Button

Molto meglio così…

IMG-20141022-02465

servono mani e piedi. Prima però serve altro…

Il gusto delle cose quando sono vere è che sono vere, non come quando ti dicevi un mucchio di stupidaggini convinto che fosse la realtà, ma c’è di più: le cose che hanno senso le vedi che infatti determinano avvenimenti, conseguenze, le puoi misurare, mentre gli slanci senza corpo, le ipotesi senza futuro, i sogni campati nel vento vedi che restano vento, quando non determinano caos, effetti paradossali, disagio, però c’è anche qualcosa ancora, che è alzare la testa, un giorno, e trovarsi dove dovevi stare, non in quell’altro posto dove eri quando ci pensavi, dunque anche il tuo corpo si è mosso, non solo bite, ma atomi, cioè la verità sposta il corpo, e non il contrario, e quando tutto diventa fisico, in tempi umani, tu puoi finalmente concederti un bel sorriso, non come quei sorrisetti nervosi che facevi, apri gli occhi e sorridi, anzi, ridi, cominci a sganasciarti addirittura, ti rotoli per terra, ridi a crepapelle, che ti fa male la pancia, perché ti accorgi che era tutto così semplice, un passo segue l’altro, stando nel proprio, o con escursioni su ciò che già sei, ma non ancora, senza lanciarsi dove proprio non ci sei, anche se lo desideri, roba tua insomma, che tanto lo sai qual è non è vero?! ecco, appunto, il problema è quello, non lo sai, immagini cose, provi a casaccio, ma non lo sai, l’unica cosa che dovresti sapere, da sempre, l’unica a cui dovresti pensare da anni, l’unica, cioè cosa ti riguarda, cosa davvero devi fare, non la sai, hai evitato di fermarti un attimo, da sempre, di pensarci, di chiedertelo per paura di non saperti dare una risposta, e quindi ecco da dove veniva la frenesia, da dove vengono le ansie, le bugie, i progetti complicati, che non stanno in piedi, che non sono niente e generano terremoti, dalle domande non fatte, dalle risposte mai cercate, tutto un groviglio per non ammettere che sei dove non dovresti, e non sai dove devi andare, e meno male che non sai come si sta quando apri gli occhi e sei dove si sta, meno male che il posto non è quello giusto, perché sarebbe troppo, meglio così.

Share Button

Pensieri buoni

IMG-20141013-02403

Riflessi “sporadici”

Sempre mezzi nudi. Braghette corte e palme dei piedi sul ponte vellutato di teak. Sole sulla pelle, e sale, che la leviga, che toglie ogni odore di terraferma. Mare intorno, distesa blu, che in questi giorni è immobile, solo colori e testimonianza silenziosa. Poco fa era il momento del prelievo di plancton sulla nostra rotta: abbiamo filato il PI e atteso, raccolto il sangue del mare, da inviare a Plymouth. Abbiamo anche preso nota sul diario degli avvistamenti di meduse. All’ancora, verso le tre di pomeriggio, abbiamo goduto di un’ampia baia solitaria, bevuto una birra, mangiato uova, parlato di coppia, di vita, d’amore. La nostra giornata, insomma. La mia da diciassette settimane.

Intorno, nessuno. Ogni popolazione è altrove. Quando incrociamo una barca, raramente, la guardiamo avvicinarsi, poi andare, misteriosa presenza, come se non capissimo di cosa si tratta. Poi ci rimettiamo le maglie, cerchiamo ripari per la sera. Equipaggio esperto, ormai, movimenti unisoni, senza parole, manovriamo lenti. Nel buio, nel nero della poca luna calante, cerchiamo tepore sotto coperta, prepariamo tutti insieme, ascoltiamo un po’ di musica, mangiamo. Ieri, tra nassa e fucile, è uscito un bel pescato per dieci, quanti siamo: polpo, ricciola, saraghi, una triglia, un cefalo, uno scorfano. Era tutto buono. C’era allegria, abbiamo fatto un po’ gli scemi, ci siamo fatti delle foto con le smorfie. Qualcuno si è messo a leggere, altri a dormire. In cinque, addirittura, poker fino a notte fonda.

Il lungo viaggio. Mesi, anni. Laboratorio di anime, di vite, di destini. Domani vedremo il centro di tutela e difesa della Foca Monaca. Dopodomani, chissà dove saremo. L’occhio lungo del marinaio ci porta a sabato, quando deve entrare maestrale. Cercheremo un riparo, in largo anticipo. Quanto durerà, non lo sappiamo. Se dobbiamo, aspetteremo. Perderemo tempo a bighellonare per il porto, o sulla barca. Può darsi, se siamo fortunati, che penseremo a qualcosa, o a qualcuno. Da qui, dalla linea spezzata del nostro mare dentro, potrebbero perfino essere pensieri buoni.

Share Button

Dovremmo congratularci col nostro lavoro

IMG-20141012-02388

La baia di Skopelos dove sto scrivendo…

Quello che accade, è già accaduto. Facciamo sempre l’errore di confonderlo con ciò che si manifesta, quando si palesa, che a sua volta (a ben vedere) si è già mostrato anche lui. Mi stupisce sempre quando qualcuno esclama: “è stata una cosa improvvisa, mi ha colto di sorpresa!”. Diamo agli eventi il valore quasi magico di accadere così, ex abrupto, come fossero animati da vita propria, o avvenissero per cause esterne a noi, o peggio ancora, li subissimo supinamente, senza averli in realtà generati, a volte con perizia e pazienza.

Noi speriamo intimamente, agiamo silenziosamente (piccoli navy-seals del nostro destino), scegliamo parole, momenti, facciamo espressioni del viso, restiamo silenziosi quando sappiamo che è necessario… tutto purché si avveri, si realizzi, quello che deve, che inconsciamente, o consapevolmente, sappiamo che deve accadere per come siamo, per quelli che siamo, per dove vogliamo condurre il nostro destino. Che infatti (l’uomo è un animale molto capace), si compie.

Andiamo quando è giusto andare. Stiamo quando è giusto restare. Se non amiamo, è per il nostro disamore, se lo facciamo è per il nostro cuore. Quando la vita si compie in uno dei suoi passi, quando il film della nostra storia aggiunge l’ennesimo episodio, tendiamo a sorprenderci, o a rifiutare, ciò che abbiamo a lungo voluto, cercato, costruito. Eccola la nostra falsa coscienza. Dovremmo congratularci col nostro lavoro, molto ben fatto, che infatti ha scaturito l’effetto inevitabile previsto. Invece preferiamo dolerci, invochiamo compassione, chiediamo aiuto, lanciamo invettive ad altri (che abbiamo usato per i nostri scopi) e ci sentiamo vittime di sfortuna e angherie. Eccolo, è iniziato, con quei lamenti, un nuovo lavoro, un nuovo progetto, che si compirà un giorno, prima o dopo. E noi, anche quel giorno, sosterremo di essere stati danneggiati. Volevamo tutt’altro. L’opposto. Infatti, siamo innocenti.

 

Share Button

Due

IMG_6507

Il ghigno…

Nel caso vi venisse di credere a quello che provate dentro, nel cuore, fatevi una domanda: è roba mia che mi riguarda davvero, oppure non lo è del tutto? Se rispondete sì avete due possibilità: potete esservi detti la verità o potete aver mentito. Nel primo caso non vi resta che mettervi a lavorare in quella direzione, nel secondo dovete necessariamente fermarvi, per evitare di infilarvi in qualcosa che non fa per voi, devastando la vostra vita e quella degli altri. Se rispondete no, avete due possibilità: potete esservi detti la verità o potete aver mentito. Nel primo caso siete sani, perché non mentite a voi stessi, e avete altre due possibilità: cercare cosa dunque vi riguardi davvero, oppure accontentarvi di non fare ciò che non fa per voi (che è già tanto). Nel secondo caso siete preda della paura, tanto da mentirvi di fronte a qualcosa che dovreste fare per stare bene, nel vostro, e dunque avete due possibilità: lavorare per vincere le vostre paure e liberarvi dai freni esistenziali che vi trattengono, oppure soggiacere alle paure e negarvi per sempre la via che sarebbe vostra.

Tenete conto che, prima di tutto ciò, avete due possibilità: farvi domande come quelle qui sopra, oppure non farvene affatto. Nel primo caso avete due possibilità: porvi questi o altri interrogativi centrali, fondamentali, che incidono sulla vostra vita, oppure farvi quelli sbagliati, cioè quelli di cui conoscete già la risposta, ma che non servono a molto. Nel secondo caso, come avrete già capito, siete salvi.

 

Share Button

Il ciclo

IMG-20141009-02375

Mediterranea sulla banchina libera di Skyatos

L’inquietudine si fa leggera, in questi giorni. La morsa che ha trattenuto cuore e mente per mesi inizia a sciogliersi, e a curare sono sempre le mani ruvide, il vento sulla faccia, e tutto ciò che il mare chiede per navigare in autunno. Le acque sono libere, finalmente. Le banchine sempre a disposizione di chi entra in porto. I gamberi sono dolci, costano poco, e gli isolani di nuovo sereni dopo la stagione del lavoro. Questa è un’epoca jazz, del resto: l’armonia risiede solo nel controtempo.

Navigo da maggio, tolti quaranta giorni tra luglio e agosto. Davanti almeno due mesi, ancora, per la Grecia del nord e la Turchia. La stagione del freddo non si vede ancora, e continuo a stare scalzo sul ponte, sul molo, mezzo nudo per gran parte del giorno, mi copro solo la sera. Riprendere la via dopo Atene è stato importante. Pareva che quel catino di Zea, confortevole e sicuro, non volesse lasciarmi più andare. Salpare con le mie vele ancora sane, libero dalla trappola, mi ha rincuorato dopo tanta ingenuità. Il tempo degli scali del resto si compie, prima o dopo, non è come quello dei ritorni, e quando le cime cadono in acqua si sa che il momento della partenza era lì che attendeva da giorni.

Passeggiando sul molo, al tramonto, ho cancellato molti pensieri dalla memoria, ripensato a molte cose, restituito e tolto valore a ciò a cui lo devo. Guardando il pesce brillante in vendita nel chiosco ho sognato buoni cibi da preparare, ma senza alcuna urgenza. Lontano, era possibile lanciare un pensiero dignitoso, intenso, profondo, ed è quello che ho fatto con gratitudine ed emozione. Alla fine della passeggiata avevo compiuto un ciclo completo, da dentro a fuori, dal mondo fin nel profondo. Ho inalato l’ultimo respiro di luce, per riempirmi l’anima. Poi sono tornato a bordo e finalmente, dopo tempo, ho ricominciato a scrivere.

Meritiamo sempre il nostro destino, perché siamo uomini nuovi ogni giorno. Ricordarlo o no, mentire o no, non basta ad assolverci.

Share Button