Esegesi

Perotti

“Gregorio si trova di fronte a un muro tra la scrivania e il nulla”

Silvia Campantico mi manda una serie di sue riflessioni su “Un uomo temporaneo“. Due pagine dattiloscritte che grondano acume e collegamenti, soprattutto con l’immenso Musil (che Dio ci perdoni…).

Rubo qua e là (è lungo, dunque non lo leggereste, non mentite…) e vi porgo qualche passaggio. Grazie Silvia!

“Gregorio è un uomo senza qualità in un mondo, quello dell’azienda, in cui vengono promosse qualità senza uomo. Gregorio è in bilico tra fissità e movimento, tra soggettività e oggettività, intelletto e sentimento, non sceglie, non resiste, ma esiste.

La temporaneità di Gregorio mi fa venire in mente un qualcosa di inconcluso. Musil scrive: “l’uomo si sposta in avanti per non barcollare, come un funambolo. E poiché procede negli anni e la vita vissuta rimane alle sue spalle, ciò che ha già vissuto e ciò che ha ancora da vivere formano un muro, e il suo cammino finisce di essere simile a quello di un tarlo nel legno, che può contorcersi a suo piacere e anche invertire la marcia, ma lascia dietro di sé sempre lo spazio vuoto“. Gregorio agisce e passa oltre, si trova di fronte a un muro tra la scrivania e il nulla (il muro rappresentato sulla copertina?), e diventa un tarlo libero anche di tornare indietro e regredire.

Il problema degli uomini è che “tendono a temere le esperienze che non conoscono e poi vogliono ripeterle all’infinito” (p.79). La linea retta non esiste, la geometria euclidea astratta ha lasciato il posto ai frattali di Mandelbrot che scrive: “Le nuvole non sono sfere, le montagne non sono coni, le linee di costa non sono cerchi e la corteccia non è liscia, né il fulmine viaggia in linea retta”. Concretezza e forma autonoma. E anche il mondo di Gregorio è fatto di frattali, dal latino fractus, irregolare, spezzato. Gregorio è consapevole dell’impossibile rettificazione della realtà, il che mi fa pensare che non scelga la retta via, ma agisca secondo una matematica delle relazioni. Eppure noi insistiamo, pretendiamo di avere una conoscenza definitiva delle cose, nonostante il 6 novembre del 1919 ci sia stata la svolta epocale nella nostra immagine del mondo: la luce delle stelle, in prossimità del sole, subisce la deflessione prevista da Einstein. Le stelle non sono dove sembrava che siano e la loro luce che arriva a noi dopo molti anni ci racconta il passato dei corpi che l’hanno emessa. “Come le stelle” – dice Gregorio- “Tutti ammirano ciò che non esiste più…”. (p 188).

Ma poi anche Einstein è diventato un mito, quando in realtà lui stesso era dispiaciuto per le sue scoperte e imperterrito cercava la legge che governava l’universo, l’ordine del mondo. Eppure nell’immaginario comune è il maestro della modernità. Gregorio lo sa, sa che “ogni idea è una resurrezione, ma è anche una tomba” (p.182). Gregorio probabilmente sa anche che la logica “causa-effetto” è diventata circolare  e retroattiva “causa-effetto-causa”. Tornando indietro, l’effetto agisce sulla causa e l’annulla. Anche Gregorio agisce in modo circolare, parte dalla perdita della scrivania e annulla la causa, cambiando non le regole, ma il gioco (p. 196). Non si capisce più perché abbia fatto quello che ha fatto, ma qualcosa è successo e per non fare la fine dei “maestri” salta oltre, lascia il vuoto. “Era meglio quando non c’erano maestri” (p.188)”. S.C.

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36 pensieri su “Esegesi

  1. Ciao Simone!
    Ho finito di leggere “Un uomo temporaneo” e mi è piaciuto molto; mi è piaciuto il libro, ma soprattutto mi è piaciuto Gregorio.
    Mi sono immedesimata in lui, perchè anch’io lavoro in un ufficio, un ufficio di un palazzo di sei piani, un po’ più piccolo di quello di Gregorio, ma molto simile sotto certi aspetti.
    Ma , a differenza di quanto accade a Gregorio, non mi è mai successo di ritrovarmi una mattina senza scrivania.
    Una scrivania non è solo un pezzo del mobilio di una stanza d’ufficio, è anche un simbolo: la metafora di un luogo , dove la scrivania rappresenta il “tuo posto”, quello dove devi stare ogni giorno, sempre lo stesso, volente o nolente, spesso sentendoti schiavo di quella posizione/situazione.
    Se ritrovarsi senza scrivania all’improvviso puo’ sembrare assurdo nella realtà lavorativa quotidiana, avere addirittura due scrivanie potrebbe essere ancora più surreale.
    Eppure da qualche settimana, diversamente da Gregorio, io di scrivanie ne ho due, la solita al quarto piano ed una nuova al secondo piano.
    Ma che strano!!!….E’ un vantaggio o è una nuova “trappola” questa seconda scrivania???
    Una seconda scrivania , che rappresenta una nuova attività, in un piano diverso dell’ufficio e che si aggiunge a tutto il resto!
    Doppiamente schiava del lavoro????
    Mahhhh!!!….Eppure da quando, quasi come Gregorio, mi aggiro a ritmi alterni da un piano all’altro avverto una particolare sensazione di “viaggio”.
    Le mura sono sempre le stesse, tetre e vagamente opprimenti, ma i mondi diversi che approccio nel mio nuovo “tour” lavorativo e umano in parte soddisfano il mio desiderio di curiosità.
    La curisosità di capire come si muovono certi meccanismi lavorativi e umani, finora a me sconosciuti.
    Lo stimolo di una vita lavorativa, che in fondo ogni giorno ci opprime con la routine e la mancanza di fantasia, può trovare una vaga forma di soddisfazione nelle nuove opportunità di conoscenza, che si presentano; ma non mi riferisco alle attività lavorative in senso stretto, bensì , soprattutto alle diverse sfere di conoscenza umana, in un ambiente di 150 persone, di cui la maggior parte, quasi sconosciute.
    Si lavora insieme, nello stesso spazio, ma non ci si conosce.
    Mi sono chiesta tante volte: – “Ma chi sono quelli del terzo piano, del secondo….cosa fanno??….cosa pensano???….come vivono????…quali interessi personali avranno????”
    Con il tempo e con pazienza, da quella seconda scrivania, avvicino mondi diversi , con i quali trovo anche punti di contatto: a volte può bastare una frase, un’esclamazione, uno sguardo, un’espressione del viso per conoscere qualcosa di più.
    Nel mio ufficio non si è ancora arrivati al punto di leggere insieme brani di un libro o versi di una poesia, ma si scambiano nuove impressioni reciproche.
    Parliamo anche di noi, dei nostri progetti, dei nostri sogni o delle nostre delusioni; e se un collega mi porta un nuovo libro da leggere , io gliene porto un altro, magari una nuova collezione musicale, che lui non conosce e di cui vorrei sapere cosa pensa.
    Scopro così, che quasi ognuno di noi ha un proprio “viaggio” in testa; mentre io parlo dei miei viaggi in Europa, da una città all’altra, posso suscitare in chi mi ascolta, anche solo per qualche minuto, la capacità di dare forma ed espressione anche ai propri sogni, che si tratti di un viaggio materiale o di un viaggio interiore.
    Per evadere dalla routine e dalla mancanza di fantasia di un ufficio, io viaggio spesso, per cercare la meta o il percorso di quello che sarà il mio grande viaggio, quello decisivo.
    Nel frattempo, spostandomi da una scrivania all’altra, cerco che il viaggio nella quotidianità possa soddisfare la mia curiosità e il mio desiderio di conoscenza.
    Ogni impiegato, dal primo al sesto piano di un ufficio, è un Gregorio in attesa di partire, possibilmente, senza scrivania.
    Complimenti per il tuo libro, Simone!

    • Ma che bello antonella! Beh posso dirti? Osa! Cambia tutto! Prenditi responsabilita che non hai! Fai tutto quello che non si usa, che non si fa, fatti cacciare se non va, ma avrai tentato! Il profumo inebriante e splendido del tentativo, della via nuova, dell’ambizione alta, vera, pura, forte! Vai antonella. Tu, in quella posizione, sei il mondo! Se cambi tu, cambia tutto. Fai scuola, diventa una case history. Osa!

  2. Che bello. Non sono potuta venire alla presentazione, avevo pazienti prenotati fino alle 12. Non ho neppure letto il libro. Ho tante cose ancora da fare, e poco tempo. Ma sono contenta della mia vita. E pazzescamente felice per l’incontro casuale sul lungo Po, in un crocevia per me oltremodo significativo da sempre. Pubblica o no il commento. Come vuoi tu. A te tutto il bene possibile. Ciao.

  3. Ciao Simone, che bella la presentazione del tuo libro al salone! Peccato non aver avuto più tempo per approfondire tutto quello che è emerso e in particolare per non essere riusciti a sviluppare l ultimo interessantissimo spunto sulla differenza tra utopia e sogno. Spero ci saranno altre occasioni..ciao

    • Paolo si, quanta gente al salone ad ascoltarci! Che bello, gregorio ha molti curiosi intorno.. poco fa un lettore presente mi ha scritto “inizio a costruire un vero passaparola: scrivo a trenta amici di leggere il suo romanzo”. Pensa che bello…

  4. GOODBYE, SEE YOU SOON!

    Caro Simone,
    benvenuto al tuo nuovo libro, sembra proprio così magnetico, per me.
    Il mio, questo, del tutto improvvisato e – temo – fuori contesto, è un arrivederci. Non un addio solo perché sono ottimista con realismo e tenacia 😉

    A (presto?) rivederci ai progetti, mai campati in aria ma a lungo elaborati, sviscerati, valutati, analizzati, ponderati. Realizzati poi e poi frantumati dalla delinquenza altrui.

    Eh sì, perché nelle varie e avariate occorrenze concorrenti a un progetto di cambio vita va messo in conto pure questo. Difficile da fare per chi è onesto seppur adeguatamente diffidente, affatto sprovveduto o ingenuo.

    Ma si va avanti, oltre, verso nuovi approdi che sono tappe di un percorso che non finisce grazie a una volontà difficile da fermare.

    Buona vita a te e un po’ anche a me, che ne ho bisogno, ma che non aspetto che mi piova dal cielo per grazia ricevuta.

    A presto,
    Mo’

  5. Simone, non so se lo finirò mai questo libro!
    Ogni volta è un turbinio di pensieri, di ricordi. Frullano per giorni in cerca di risposte.

    Perché uno come Gregorio è stato dietro la scrivania per anni e reagisce (vive) solo quando gliela portano via? E perché mi sembra così solo anche se non gli manca il consenso e l’affetto di tantissime persone?
    Forse se arrivo alla fine lo scopro….

    Nel frattempo sono alle prese con “venir giù”; si precipita ma c’è aria fresca lassù!

    • Mary, accade spesso. Una discontinuità ci sveglia, ci offre l’opportunità di una nuova consapevolezza. Io sono il teorico assoluto del cambiamento SENZA quella discontinuità (anzi, il mio cambiamento l’ho effettuato proprio per paura che una discontinuità, domani, lo rendesse vano e tardivo), ma ammetterai che spesso agiamo così: dormiamo, qualcosa ci desta, cambiamo.

      Quanto alla solitudine di Gregorio ha perfettamente ragione. La sua solitudine deriva dal bisogno di ricongiunzione con se stesso. Lui non sta cambiando l’azienda, poi non sta abbandonandola… lui è in cammino per cercarsi. E chi si cerca, in mezzo a un mondo di persone che fanno di tutto per non trovarsi, è sempre solo.

  6. Quello che spiazza di questo romanzo, a parte la storia on se, è che Gregorio è molto spersonalizzato. Una recensione fa notare che se non fosse caratterizzato da un nome maschile, non sapremmo neppure di preciso se sia maschio o femmina.
    Di Gregorio non sappiamo quasi nulla. La sua vita fuori dell’azienda è vagamente accennata.
    Gregorio ha una vita felice? Ha delle passioni, dei sogni? Ha amici? Una vita sociale? Il cambiamento sul lavoro si riflette nella sua vita privata?

    Questo vuoto nelle intenzioni dell’autore dovrebbe lasciare spazio ad un’interpretazione personale del protagonista. Ognuno lo riempie con ciò che più gli è vicino, e questo dovrebbe avvicinarci a lui.
    Forse l’intenzione era proprio suscitare domande come quelle.

  7. I romanzi possono piacere o non piacere.
    Talvolta mi capita di sottolineare qualche frase, questa volta no, ho provato l’esigenza di riprenderlo in mano subito, di ricominciarlo perché non ne avevo abbastanza e anziché sottolineare mi sono messa a scrivere, al termine di ogni capitolo le sensazioni che provavo, quasi come avessi paura di perderle. Non le invio tutte e, a dire il vero, non ho ancora terminato ma continuerò e forse ti scriverò anche il resto, in fondo, la cosa più bella di questo romanzo ” è come va a finire!”

    Sospeso
    Come può cambiare la tua vita in un secondo, per una stupida lettera ricevuta dalla tua azienda.
    Quello che sino ad oggi era il tuo quotidiano, la tua routine domani non sarà più. Un attimo, e senza apparente motivo ti ritrovi catapultato in altra realtà. Pensaci, sei in grado di uscirne?
    A casa
    Il panico di non conoscere il proprio domani, perché l’oggi è solo rappresentato dal lavoro, dall’azienda e, la calma, forse apparente, di un uomo capace di reinventarsi nuovamente, di rientrare nella propria casa in un orario inconsueto, quando le luci, i colori i profumi non sono gli stessi di tutti i giorni. La capacità di riconoscerli all’istante e farli propri con quel che più riesce a farlo stare in pace . Cucinare, leggere, passeggiare. Ne saremmo in grado?
    La scrivania
    E’ incredibile come possa essere rassicurante un tavolo in legno soprattutto quando questo è chiamato “scrivania”. E poi? Se domani mattina non la trovi più?Cosa fai? Dove vai? Chi sei? Ma il senso della tua vita è dato solo dalla tua scrivania?
    Ripostigli e reietti
    Non sapere dove andare. Non avere più un recinto entro il quale stare, quel recinto che ci hanno affidato, dentro il quale svolgere i propri compiti e solo quelli perché non possiamo usare la nostra fantasia perché non ci è permesso di sognare.
    Grazie Gregorio per essere riuscito a soffermarti su quei pochi oggetti che rappresentano la tua vita, quella vera.
    L’ospite
    Si, perché quando ci si sente ospiti, iniziamo a guardarci intorno e scopriamo angoli che sino a ieri erano sconosciuti per quanto fossero sempre stati li. Si osserva il panorama da una finestra immaginando di camminare su quel prato e ci si accorge della moltitudine di persone che corrono, avanti e indietro senza un reale motivo. Persone che fra loro appena conoscono il nome e se anche scambiano qualche parola frettolosa potrebbero non riconoscersi se si incontrassero altrove. Numeri di matricola, non persone.
    Quel salottino blu, abbandonato a se stesso ma così accogliente, così anonimo e pure con un non so ché che te lo fa quasi piacere.
    Quanto volte ho pensato di sedermi in fondo del corridoio del mio piano, per una giornata intera, solo per osservare quel che accade …
    Vincenzo
    Abbiamo tutti qualcosa da raccontare di noi, abbiamo tutti una storia dietro quel vetro. Vincenzo, una persona come tante, che riesce a trasformare le sue giornate immobili in giornate con un “senso”. Vincenzo che osserva le persone che corrono per entrare, corrono per uscire dimenticando pezzi di sé in giro, pezzi inutili che mai ritorneranno a riprendere… Con calma Vincenzo, con calma…
    Primi passi del viaggio
    Quando inizia un viaggio ti rendi conto che sino a ieri sei sempre stato lì e mai altrove. Quell’altrove che ti permette di conoscere altri volti, altri luoghi. Talvolta può essere sufficiente cambiare stanza per iniziare a cambiare un po’ il tuo orizzonte.
    ….
    e poi continua.
    Grazie Gregorio e grazie a te Simone perché questo è un capolavoro!

    • Beloved, pensaci. Sappiamo qualcosa dei nostri colleghi? Gente che vediamo ogni giorno, non è forse così anonima per noi, così priva di fisionomia, come lo è Gregorio per il lettore? gregorio è il nostro vicino di stanza in ufficio. E noi lo siamo per lui.

  8. Rimetto qui il mio commento già inserito altrove… critica? consenso? no, le mie semplici sensazioni… ed un libro che provoca sensazioni è cosa buona.

    “Un Uomo Temporaneo” di -Gregorio Perotti- (fratello siamese di Simone, l’uomo che tutti noi vorrebbero almeno incrociare).
    Presuntuosa “critica letteraria” di Mario Vaccarone.
    Ciao Simone,
    Ho letto il tuo libro il giorno stesso che l’ho acquistato con la voglia, la curiosità, di sapere come poteva evolversi il pensiero di un amico.
    Nulla che non mi aspettassi… tutta una sorpresa!
    Mi sono addormentato con un mare di cose da dirti, e mi sono risvegliato allo stesso modo.
    Dicono succeda solo agli innamorati. Per me, amante delle parole scritte e delle idee che racconta chi le scrive, non è così inusuale ma non capita, peraltro, con tutti i libri.
    Quello che leggo e quello che mi par di capire tu voglia dirci è “sarebbe potuto andare così, avrebbe dovuto andare così, dovrebbe andare così”, ma leggo dell’altro e te lo spiegherò alla fine.
    All’inizio sembrano esserci due fronti, noi ed il sistema. Un sistema che vuole le persone dentro ben precisi limiti quasi dentro una gabbia.
    E’ davvero così? Non credo.
    La gabbia è fatta da noi, con metodo, cura, e apparentemente a prova di fuga.
    Ogni tanto qualcuno capisce che c’è una porta e che è aperta. La spinge timidamente fino a spalancarla, esce, si volta per dire “seguitemi o almeno provate ad uscire di lì”.
    Quello che in genere accade, dopo che delle persone escono molte delle quali per rientrare subito, è che qualcuno si avvicina e con cura si richiude dentro.
    Rassegnati Simon/Gregorio, non potrai mai cambiare per tutti l’azienda che hai descritto che altro non è che la metafora della vita.
    Tu ci hai provato, un tempo, e la storia sembra quasi dire “ecco come avrei voluto fosse andata”.
    Tu ci provi e ti par di riuscire e qualcosa pare cambiare, alla fine però dovrai iniziare un TUO viaggio e sparirai mentre come un mito tutti si chiederanno dove sei andato.
    Forse hai scritto queste pagine per spiegarci che la tua meravigliosa e durissima scelta ti ha portato a farti incontrare, qualche volta, i fantasmi della paura e dell’incertezza?
    Forse volevi poter fare quello che stai facendo non uscendo dal “sistema” ma al suo interno, in modo di avere almeno qualche certezza, non ultimo economica?
    Avresti potuto davvero farlo? Saresti divenuto quello che sei? Avresti scritto per noi?
    La risposta te la dai da solo, Simon/Gregorio… alla fine parti, e la lettera di “licenziamento” da questa vita la lasci a noi che le diamo un’occhiata senza il coraggio di aprirla per farla nostra.
    Grazie a te, ai tuoi libri, alle tue parole davanti ad un caffè in quel di Milano (ricordi?) tante cose per me sono cambiate e molte muteranno ancora.
    Se ricordi qualcosa di me, ricorderai il motivo per cui non sono con te su “Mediterranea”. Sto insegnando a volare alle mie figlie, le spingo fuori dal nido e cerco di spiegar loro che potrebbero entrare in una gabbia ma che possono entrare e uscire a loro piacimento, se solo lo vorranno.
    Proprio ieri, proprio concludendo l’emozionante lettura delle tue parole (destino?), la mia più giovane aquila, ancora incerta sulle ali, riceve dalla Scozia una mail che le permetterà di intraprendere gli studi che desidera da lei fortemente voluti.
    Sua sorella maggiore è già partita anni fa, ora vola via anche lei.
    Questo ho insegnato loro e ieri mentre correva fuori in giardino a darmi la notizia, la mia orgogliosa gioia si è bagnata in una lacrima di infinita nostalgia mentre guardando in alto la immagino sparire nel sole.
    Cosa farò ora? Cosa farò domani?
    La risposta la ricavo forse da quello che, alcuni giorni dopo il caffè Milanese, mi dicesti in risposta alla mia decisione di non partire: “hai fatto bene! Stai in ogni caso seguendo la TUA strada, a modo tuo… vai avanti”. E’ stata la cosa più bella e saggia che mi sia mai stata detta.
    Farò così, andrò avanti cercando non di seguire la strada ma di tracciarla.
    Ti ringrazio ancora per quelle parole. Altri irresponsabili, persi nei LORO sogni, mi avrebbero spinto a fuggire, a fare scelte sbagliate, o forse non giuste in quel momento.
    Che altro dire.
    Io sono ancora un piccolo, grande Gregorio, che ha ancora addirittura la sua scrivania, e cerca di cambiare le cose almeno per se convinto come sempre che “la salvezza sia individuale”.
    Tu hai avuto l’ardire di “spiegare le ali al folle volo” e ancora stai a pensare a chi è rimasto.
    Non lo fare. Ci sono pochi spiriti liberi nel mondo e quasi nessuno nella nostra nazione (non scrivo cose già dette non fosse altro per alimentare qui inutili polemiche).
    Qualcuno potrebbe pensare che questo libro sia la tua vita e la partenza finale sia la partenza di Mediterranea, la fuga dall’odiato sistema.
    Io non credo sia così… se non altro perché manca l’odio.
    Non vedo un odio che giustifichi una fuga e fuggire per odio è spesso sbagliato.
    Come spiegare il “non odio” di Gregorio?
    Gregorio NON odia la sua azienda perché lei è, o è diventata, Mediterranea… e non si odiano i propri sogni!
    Simon/Gregorio non odia, e cambia. Capisce che cambiando se stesso cambia gli altri e muta radicalmente la sua vita ma comprende anche che non basta più.
    Cambiare gli uffici, la mensa, la produzione, guardar comete sul terrazzo (o dal ponte di Mediterranea?!) non basta più.
    Partire con i camion per consegnar le cose, consegnare ad altri i propri sogni non basta più.
    Partire con Mediterranea, non basta più!
    Il TUO viaggio continua ma da quando il progetto è nato tu già avevi previsto che si sarebbero passate le “Colonne d’Ercole”… e questo, almeno nel cuore, NON è Mediterraneo, non te lo raccontare.
    Simone, tu, Uomo Temporaneo, che temporaneamente attraversi la tua e la nostra vita, passerai quel limite e forse tornerai di qua. Tu sì, ma non il tuo cuore e davvero sarà inevitabile allora spiegar le ali al folle volo.
    Ho finito di leggere ma come vedi non ti poso sul comodino e non ti lascio solo con Gregorio.
    Avrai con te, come Gregorio, “un tuo legno ed una compagnia picciola da la qual non sarai diserto” e di te, in cuor nostro, resterà la traccia lasciata nelle nostre vite temporanee mentre ci chiederemo “dove sarà mai, ora?”

    Mario Vaccarone

  9. Un romanzo è un romanzo. Non è un saggio, né un documento. Di saggi e di documenti Simone ne ha scritti, è anzi lui un documento vivente delle sue idee e delle sue aspirazioni. Quindi Gregorio non esiste, o forse esiste. Gregorio è un uomo temporaneo. Anche nella penna del suo autore. Che se ne distacca, o che gli si avvicina, che lo mette e lo sposta come desidera, o che gli cammina a fianco. E quella scrittura “a singhiozzo” e “l’uso di punteggiatura fissa”, per citare uno dei commenti, e quelle pause, quei capitoli brevi ed incipit che ti catapultano tra le parole, rappresentano proprio la temporaneità del personaggio, ma anche secondo me nelle intenzioni dell’autore, delle nostre passioni, della nostra vita. Cos’è? Cos’è che ci dispiace leggere? Che tutto quel che Gregorio fa E’ la soluzione, la possibilità, l’alternativa? o è il vederci ancora “temporaneamente” seduti a quella scrivania che ormai non c’è più? Questo romanzo infastidisce, come all’epoca fu fastidioso leggere “Adesso Basta”. E come sempre accade con tutti i libri di Perotti, ci si ritrova a guardarsi in uno specchio. E talvolta, è difficile accettare ciò che si vede.

  10. allora te la faccio io una, anzi due, di domande (non ho letto ancora il libro), ma partendo da Musil: riconoscere le qualità senza l’uomo, andare oltre l’individualità, destrutturare e raccordare il soggetto all’anonimato di un tempo cosmico, non può essere di per sè un cambiare le regole del gioco? Almeno cambiare prospettiva, perchè ancorarci alla prospettiva umanista dell’uomo al centro (con o senza qualità)?

    • Aspetta Claudia. A parte che ci vuole Kant col parrucchino di Pessoa per rispondere alla tua domanda. Volevo parlare del romanzo sul tema delle tre lettrici/lettori critici su Gregorio. Facciamo una cosa: se vuoi leggi il romanzo e poi mi rifai la domanda con attinenza a Gregorio stesso. Cosi da un lato la circoscriviamo (e io non mi suicido) e dall’altra non sfuggiamo alla critica del romanzo. Ok!?

    • A me di Gregorio infastidisce il fatto che può tutto. È lo sponsor principale della società contemporanea che, apparentemente, vorrebbe ridicolizzare. Lo slogan: si può fare, basta volerlo, ben si addice a lui, ma è proprio questo lo slogan di una società contemporanea affetta da malattia psicotica. C’è un limite, ci sono cose che non si devono fare, non si possono fare. Dire che tutto è possibile basta volerlo è cavalcare il leit motivo della contemporaneità che annichilisce il desiderio dietro inseguimenti farfalloni di estemporanee idee totalizzanti. Gregorio non si è affatto liberato. È solo diventato pazzo. Ci sono molti punti di evidente psicosi, Simone – secondo me volutamente li ha messi – momenti di annegamento nel liquido amniotico.

      • Fulvio capisco quel che intendi. In effetti Gregorio potrebbe essere confuso, in alcuni passaggi, con un ottimista impenitente, simile ai vari Farinetti (l’ottimismo è il profumo della vita) ai vari Berlusconi etc.

        Però la differenza è abissale con quel pensiero, con quella cultura, ed è di due ordini, sostanzialmente:

        – non è strumentale, cioè non usa la leva manipolatoria per un secondo fine. Fatto centrale, questo. La cultura moderna (soprattutto aziendale, ora con Renzi, anche politica) a cui fai riferimento tu è SEMPRE manipolatoria. Dietro c’è SEMPRE il profitto, o un vantaggio indotto, collaterale, per di più mistificato, mai manifesto. Differenza assoluta con Gregorio, che non invoca nulla, ha già perso tutto, quando gli offrono la promozione non la vuole, quando gli offrono il tavolo di Presidenza del sindacato non ci sale etc. Ti faccio dunque riflettere su un elemento fortemente dirompente che azzera quella cultura di cui parli: la gratuità.

        – è generato (questo suo ottimismo del “si può fare”) da creatività e assenza del virus del potere. Che se ci pensi hanno in comune un fattore altrettanto esogeno e differenziale rispetto alla cultura cui fai riferimento: l’assenza della paura. Gregorio è un paradigma, un caso sfuggito alla norma, perché non vuole niente (tutti vogliono qualcosa) e non ha dunque paura di nulla (paura è sempre paura-di-perdere-qualcosa, dal denaro alla vita). Quello che ci frega è la paura. Non averla genera dei Gregorio in noi.

        Non ti sfuggiranno poi due ultimi elementi.

        – Non è vero che può tutto. tant’è che l’azienda la cambia fino a un certo punto. Poi le persone perdono la spinta, tendono a riassestarsi su un nuovo ordine, la sua ipotesi di cambiamento permanente attraverso tanti stadi di vita temporanei fallisce. L’esito finale della sua azione è dunque sostanzialmente un fallimento. Il suo umore, la sua distrazione, il suo guardare altrove ne sono la prova evidente.

        – Abbandona quel sistema che non è riuscito a rifondare, rivoluzionare, se non parzialmente. La squadra di calcio baratta l’ambizione dell’opera d’arte sportiva ed esistenziale (e relazionale) con del denaro; le esperienze di creatività finiscono col produrre maestri, dunque baroni, dunque gerarchie, dunque il peggio del sistema dell’organizzazione culturale; le persone smettono di credere nel cambiamento e nell’assetto di una possibile vita fondata sulla temporaneità creativa; il suo pupillo accetta le regole del potere e combatte fino a diventare Amministratore Delegato; lui alla fine viene licenziato.

        Mi pare fin troppo evidente, dunque, che con quella cultura, a parte un patina in qualche punto, non c’è dunque nulla. Nè le motivazioni, né le premesse, Nè gli strumenti, né gli esiti.

        Termino dicendo che, per altro, sulla falsariga di quel che scrivevi, io sono un forte sostenitore della sottrazione a questo sistema di parole come ambizione, orgoglio, ottimismo etc. Sono loro ad essersele rubate indebitamente. Ma quelle parole sono mie, e non rinuncerò ad ispirarmi ad esse per il rischio di “sembrare” affine a qualche sistema che invece rifiuto. Parole e concetti non sono a disposizione di chi vuole impossessarsene per motivi suoi, sono libere da copyright, e sai che ti dico? Se ne sono impossessati perché noi le abbiamo lasciate lì, in un angolo, dimenticate. Dunque anche su questo rifletterei… Io, almeno, lo faccio certamente.

        ciao e grazie mille. Bellissimo parlare di gregorio, anche per me!

        • Sai Fulvio, anche a me questa cosa che a Gregorio va bene tutto non va giù. Così sembra, che gli vada bene tutto, ogni cosa gli riesca.
          Mi sembra al limite dell’inverosimile a volte. Poi però mi pongo nelle sue stesse condizioni, una persona che non avendo più ruolo definito ha tutto il tempo che vuole per dedicarsi a qualcosa che gli piaccia. Vedo che non è mai solo a realizzare le cose, il suo metodo è far lavorare gli altri insieme a lui, a convincere gli altri a lavorare di più, fuori orario, gratis a volte. E la storia diventa verosimile, per quanto resti comunque straordinaria.
          Quello che mi fa sentire distante da Gregorio è solo l’invidia: vorrei essere come lui, anche solo un pochino e sento di essere distante anni luce. A volte durante la lettura l’ho odiato.
          Però, come alcuni personaggi della storia, pochi, ho capito che avere vicino uno come lui è un colpo di culo esagerato. Uno stimolo continuo al cambiamento, al miglioramento, al fare le cose dandogli un senso.

          Quello su cui Gregorio alla fine deve arrendersi è che il cambiamento non può essere infinito. L’unica via ad un certo punto è andare altrove.
          La tristezza che alla fine lo prende è la crescente consapevolezza di questa impossibilità, da una parte. Ma anche la consapevolezza che il cambiamento viene sempre veicolato solo da lui. Le persone lo seguono, lo affiancano anche, vanno parallelamente a lui. Ma nessuno osa superarlo.

          • ma a Gregorio non va affatto bene tutto! Quante sue iniziative falliscono?! Quante volte resta deluso?! E alla fine, sconfitto, non se ne va via da quell’azienda?! Ragazzi Gregorio è tutto fuorché un vincente!!

  11. “Esegesi” è parola “ampollosa”, almeno per me. Io attendo con ansia (e spero davvero di riuscire ad esserci) di incontrare l’autore (Simone, dopo tanto tempo…). Ma, per varie ragioni, so già che sarà piuttosto difficile porre domande “scomode”. Lo dico con cognizione di causa. Perché mi capita di farlo spesso. e i risultati sono penosi. La maggior parte delle persone ti dice candidamente che “puoi dire”, “puoi essere”, che non c’è problema, che il disaccordo va bene, che non è sterile polemica. Ma non è vero. Non è così. O almeno non lo è nella stragrande maggioranza dei casi, a mio parere.
    Non sono in grado di fare collegamenti con Musil e non solo per non scomodare sì tanto genio, ma perché la sua opera “Un uomo senza qualità” mi è stata regalata da un uomo, narciso, arrogante, borioso, pieno di sé, egoista, insomma un vero idiota di cui mi sono perdutamente (o quasi) innamorata tanto tempo fa… Ora, a quasi 50 anni, se mi pesa l’età per evidenti ragioni (si invecchia…), compenso con un rinato e rinvigorito spirito, quello di dire quello che penso senza averne paura, senza pensare alle odiose “controindicazioni”: non ti amerà più, ti licenzierà o insomma ci saranno “ritorsioni”. E allora “andiamo!”. Del resto “o ora o mai più”. Io non ho ancora terminato di leggere il libro ma anche io sono rimasta un po’ delusa. Saranno state le aspettative? Sarà il confronto con gli altri libri (letti tutti quanti…). Sarà che le figure femminili per essere “belle” hanno una fila di “perfetti denti bianchi?”. sarà il nome stesso del personaggio femminile “principale”, Betta, che pare anonimo quasi un soprannome? Sarà che ho trovato ridondanza dell’uso della parola “applauso, applaudire”? Non so. So che anche io, a ogni “giro” di pagina, attendevo una “svolta”, non un colpo di scena che non è un giallo e non stiamo cercando un “assassino”. Ci sono alcune parti pregevoli sottolineate. E molte altre con grandi punti di domanda a fianco. Forse non ho capito? Questo mi pare, in assoluto, il posto migliore per esprimere dubbi o domande……..

    • Nessuna domanda e’ scomoda, a meno che non si postuli malafede in chi la riceve. Questo e’ certamente un posto dove le domande hanno piena dignita. Pero se non le poni, niente risposte possibili…

  12. Finalmente leggo di qualcuno a cui il libro non è piaciuto. Pensavo qui di essere l’unico. Anche io ho avuto la sensazione di scollamento tra la scrittura dell’autore e questo libro. Continuavo a leggere sperando in una svolta, ma c’era sempre di sottofondo un senso di ripetizione nel protagonista, impegnato a girare in positivo una situazione che molti non vorrebbero mai provare. E che, incredibilmente, a un certo punto della sua vita sembra non sbagliare mai. Mi sembra poi molto superficiale il ruolo dei vari personaggi, appena accennati. Ho provato un senso di estraneità con il modo di trattare la vicenda; peccato, perché l’interessante spunto poteva meritare un trattamento migliore. In sintesi: non mi ha per nulla coinvolto e mi dispiace.

    • Paolo M. perché finalmente? Potevi commentarlo negativamente anche se nessuno lo faceva. Un romanzo, una storia, un’opera di creatività in generale, si chiude nel soggetto che la osserva, che la legge. Solo lui può chiuderla. Solo lui può farle fare corto circuito. Dunque in se e per sé l’opera è un pre-testo, un’occasione. Se la storia non tende all’universale, quel click lo farà solo in pochi, altrimenti lo fa in molti. Ma molti o pochi neppure conta. Conta che tu, o io, cioè i fruitori (parola orribile) facciamo o meno cortocircuito.
      Si tratta del trionfo della soggettività. “A me questo lavoro non dice nulla”. A un altro sì. E non c’è un giudizio giusto o sbagliato.

      poi, naturalmente, si può discutere nel merito, confrontarsi, spiegare, illustrare, argomentare, ognuno col suo registro.

      A me ad esempio incuriosisce molto la questione dello scollamento… cosa intendi?

      • Non trovo coesione tra le brillanti intenzioni dell’autore, manifestate in varie dichiarazioni a proposito del libro, e l’effettivo dipanarsi della vicenda che rimane statica e a tratti monocorde.

        • Ah, ok Paolo. Non è che capisca proprio tutto bene da questa tua scarna spiegazione, ma insomma, un poco più di prima.

          Le intenzioni erano quelle di rappresentare una storia in cui il protagonista (che non soggiace alle tradizionali tensioni originate dalla paura, dal bisogno, dal machismo, dalla vergogna, dallo spiazzamento per la perdita del ruolo, etc) reagisce diversamente da come ci si aspetterebbe, mosso da una voglia di darsi da fare che tuttavia lo cambia, lo fa evolvere, muta progressivamente la sua visione del mondo, e lo spinge in territori nei quali non era mai andato neppure con l’immaginazione, rivelando di sé (a sé, soprattutto) risorse, creatività e potenza straordinarie, come sempre gli uomini hanno quando non si fanno schiacciare dalla paura del nuovo.
          naturalmente questa storia diventa poi una metafora assai più ampia, che riguarda il nostro stato di latente asfissia e quel meraviglioso respiro della vita che si libera quando smettiamo di ritenere tutto impossibile e cominciamo il nostro sentiero.
          Ciao.

          (ti ho scritto email per verificare la tua posta elettronica, che pare anomala. Mica per altro, solo perché non mi piace ospitare gente col passamontagna virtuale. La prossima volta verifica e rispondimi, oppure metti un indirizzo email vero. ciao)

    • Intanto una premessa: bisogna avere rispetto per i tempi altrui (e non solo per i propri…). E’ importante. E anche, rispetto per le modalità in cui si “discute” qui che sono NON verbali e implicano quindi anche un buon utilizzo del pensiero traslato in scrittura e, perché no, della tecnologia. Sono abituata a scrivere direttamente e di “pancia”. Rileggo, se ho tempo. In questo caso, ho trovata la tua sollecitazione un po’ esagerata ma anche molto provocatoria. Tanto che mi ero decisa a non scrivere nulla e, se mai, a porti queste “domande” di persona.

      Avrei voluto riflettere infatti su alcuni passaggi del libro. Qualche domanda l’avevo già formulata nel mio precedente post ma la riscrivo qui, volentieri: che tipo di donna si vuole rappresentare in questo romanzo? Betta mi è sembrata, non solo anonima e triste, ma assolutamente “senz’anima”, si direbbe una buona esecutrice… E poi. Perchè l’amore di Gregorio la trasforma in “un’amazzone”? Ma soprattutto, come mai l’amore di Gregorio fa evolvere Betta, potremmo dire , la fa “rifiorire” (ma odio questo termine attribuito alle persone) e Gregorio non pare nemmeno (quasi) innamorato? quando, alla fine, i 2 uomini partono e lasciano indietro Betta, stretta nelle spalle, triste e appunto sfiorita….tornano a prenderla e lei si “illumina”, non è un po’ troppo forzato? Io avrei fatto dire qualcosa a Betta……..Sono solidale….

      Gregorio non è un eroe, e nemmeno un anti-eroe. Ma le sue azioni sono spesso accompagnate da “applausi” appena accennati e poi deflagranti. E se ci fosse stato un personaggio (o anche due, perché no) di altro profilo a mettere in discussione il suo “operato”? Gregorio avrebbe dovuto rispondere, motivare, spiegare. Avrebbe perso quell’aura di “quasi Siddharta” ma qualcuno avrebbe fatto meno fatica a “immedesimarsi”, a parteggiare per lui.

      E’ “avulso” dal contesto. Ma lo era anche prima? Pare di sì. C’è ma poi scompare e tutti lo cercano disperatamente…. Mi chiedo: ma Gregorio vuole essere trovato o no???
      Gregorio conosce la fatica che si fa quando si vorrebbe “intessere” una relazione con il proprio collega-dirimpettaio, ostile, incazzato, chiuso, rancoroso e invidioso? Conosce la tipologia del lavoro, soprattutto quella femminile, in cui viene incentivata la “competizione” tra donne (tra chi è “più figa” per esempio) traslando nella realtà lavorativa quella che è una società retrograda e patriarcale che non smette di allibirmi?

      Questo romanzo non mi ha infastidito. Ma tratta di una tematica vasta e problematica. Difficile “da dire”. Il “transfert” a volte avviene a volte no. A volte è positivo oppure no.

      Spero che questo continui a essere uno “spazio” dove sia possibile non solo “porre domande” ma farlo “davvero” in “libertà” e ognuno con i propri tempi…

      Grazie. Ciao. Barbara

      • Direi che il tuo interrogativo finale possiamo anche evitare di porcelo ancora, Barbara, no!? Altrimenti sembra che l’unico limite al dibattito sia la paura del limite al dibattito. Il che e’ un po’ autodigerente…

        Non mettevo fretta a nessuno con le domande. Ma tu scrivevi che ne avevi ma temevi di non poterle fare e allora ho scritto ‘facciamole ste domande’. Ma non c’era scadenza temporale a cio’.

        Quanto al resto commento appena posso. Tra poco al Lingotto presento il romanzo nel Salone del LIbro. Ciao.

  13. Ero indeciso se scrivere o non scrivere un commento: poi questo nuovo post mi ha stimolato a farlo. Il libro non mi è piaciuto e sono rimasto deluso, forse per le aspettative troppo alte, avendo letto tutto il resto tuo. Mi pesa un po’ scriverlo, questo commento, ma alla fine ho pensato di farlo perché mentre leggevo mi è addirittura venuto il dubbio che il libro fosse stato scritto da qualche ghost. Continuavo a ripetermi: è impossibile che ciò esca dalla stessa penna che ha scritto altro che io ho amato molto.
    Non mi è piaciuta la scrittura a singhiozzo, l’uso frequento di punteggiatura fissa, quasi ad interrompere un flusso (fatto di proposito?), un vocabolario preciso ma poco evocativo. Lo spazio psicologico in cui si muove il personaggio Gregorio è soffocante, il suo agire è scontato nell’effetto sorpresa troppo volutamente “sorprendente” che alla fine si rivela scontato. Quest’uomo è un uomo banale nel significato peggiore del termine, nel suo voler essere a tutti i costi speciale e diverso dagli altri. Gli altri personaggi sono più o meno di contorno, ma sempre con quell’aura di “eccezionalità” troppo forzata. Il portinaio con il fuoco dell’arte dentro, l’impiegata carina e impacciata, ma tanto speciale per le sue doti di comprensione e gentilezza, il capo del personale conformista…gli operai che si amano a scoprono il piacere della convivialità. Gregorio che sembra Re Mida che ogni cosa che tocca diventa oro…
    Dove sta l’oscurità in Gregorio, l’ombra? Ci deve essere spazio per l’ombra, sempre. L’uomo senza ombra è privo di vita.

    • Mmm fulvio. Grazie per aver scritto. Non so che risponderti. Ci penso un po’. Qualcuno vole provare, dal suo punto di vista! A presto!

  14. Ciao Simone, ho appena finito di leggere Un uomo temporaneo, lettura che curiosamente, per caso, ho iniziato durante le pause di lavoro e che, vista la strana coincidenza con la trama, ho continuato con piacere negli spazi delle mie ore lavorative. Stranamente non sono mai riuscito a leggere il tuo libro alla sera, cosa che invece regolarmente faccio con tutti gli altri libri, per una strana sensazione che mi ha spinto a sentirmi a mio agio nella lettura con la luce del sole( che stranezza!). Finito il libro, mi trovo ora a convivere con una sensazione di irrequietezza che poche volte ho provato nel finire una storia e che mi ha fatto tornare in mente la sensazione di disorientamento provata per motivi diversi in età giovanile al termine della lettura di Il mondo di Sofia.
    Il tuo romanzo mi è caro ed utile per avere tolto parte di quella polvere che periodicamente si deposita sulla mia coscienza e che in modo ricorrente mi induce nell’errore di pensare che il mondo e la mia vita proseguano in linea retta e che domani sia solo una funzione diretta di oggi, pieno di punti fermi e di certezze. La mia vita non è stata priva di dolori importanti e cambiamenti anche radicali ma è incredibile come l essere umano si possa sedere nuovamente sulla pigrizia di finte e comode sicurezze a seguito di un intervallo di calma anche breve.
    Certo, ogni presa di coscienza fa improvvisamente impennare in salita la strada e il disagio con cui devi fare i conti è duro e a volte preferiresti perderti in una beata ignoranza e inconsapevolezza di tutto ma, per quanto mi riguarda, non credo che questa sia la soluzione per una vita felice, sempre che ne esista una.
    Grazie Simone.

    • Oh che bel messaggio Paolo. Grazie! Quell’eccitazione, quell’inquietudine alla fine della lettura di un romanzo, e’ il piu alto, sofisticato, arduo risultato per autore. Ciao!

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