Liste

Capo Nord

Capo Nord, Paraggi – Qui sono stato bene, due sere fa, con mio cugino Francesco. Motivi: perché il posto è bello; perché ero con lui; perché mi ha offerto la cena. Ok, nella lista allora.

Faccio sempre più spesso delle liste. La lista mi aiuta. Una colonna di parole, cose, definizioni, da verificare. Ultimamente ne faccio una più di quanto non faccia le altre: l’elenco delle volte in cui sono stato bene. Qui però mi blocco sempre. Stavo davvero bene in quei giorni? Oppure lo pensavo soltanto? Non uso la parola felice, che è assurda nella sua banalità e imprecisione. Ma la domanda è corretta: ero dove dovevo essere?

Quando diciamo che stiamo bene, o che stiamo male, sappiamo esattamente cosa intendiamo? Mi sono accorto che studiando la mia vita su questo non ne sono più tanto sicuro. Quella volta, che diciamo sempre che e’ stato bellissimo, era proprio così bello? E, all’inverso, quando definiamo brutto quel periodo, o quel giorno, siamo certi che non lo definiamo brutto oggi, con i criteri odierni, diversi da quelli di allora? E se quel giorno che ci ha messo tanto in crisi fosse invece il giorno bello che vorremmo vivere oggi?

Come facciamo a individuare la qualità di un momento? (da leggere: ‘Lila’ di Pirsig, Grande romanzo sull’immenso tema della qualità). E se ci sbagliassimo nel ricordo, e se le categorie fossero mutate, se non conoscessimo ancora ciò che amiamo davvero? Se dunque il momento adatto a noi non lo sapessimo neppure immaginare, dunque descrivere e sperare?

Di solito a metà della lista i dubbi mi assalgono. Per non perdermi mi alzo e vado a preparare l’olio di peperoncino, perché quello invece sono certo che è buono e necessario per me. Ma la domanda resta: che cosa mi fa stare bene davvero, in piena armonia con me stesso, ma veramente, non a chiacchiere, non per simboli, non perché suona bene, non perché sono abituato a recitare da sempre quei nomi di luoghi o persone?

La lista si accorcia, di giorno in giorno. Tanto quella dei momenti neri quanto quella dei momenti azzurri. Mi accorgo che cercando i giorni dell’armonia ho rincorso spesso stereotipi, o che rifuggendo alcune condizioni ho buttato via ore importanti. Non in assoluto, ma per me.La verità è che cerchiamo qualcosa che si adatta facilmente a ciò che possiamo dirci, ciò per cui possiamo convincerci, se abbia un suono accettabile per l’idea che abbiamo di noi. Ma quell’idea è corretta? La lista va messa in discussione, prima di iniziare a fare. La mappa deve essere vera, altrimenti non conduce ad alcun tesoro.

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26 pensieri su “Liste

  1. Belle riflessioni che appartengono a tutti: chi non si è mai posto le stesse domande?
    La felicità è un luogo che non esiste, irrangiungibile, l’isola che non c’è eppure dentro di se ciascuno di noi ha la sua isola che non c’è e la gioia perenne a portata di mano.
    In certi momenti senza alcuna ragione mi sento felice, sorrido e mi pare che tutto sia meraviglioso. Ciò che mi da gioia sono le piccole cose. Certo tutti abbiamo sogni, desideriamo cose ma spesso una volta raggiunte ci accorgiamo che non rapresentano e mai rapresenteranno la felicità. Star bene mi pare più significativo e per stare bene alle volte basta pochissimo anzie niente, solo uno stato d’animo. Amo le piccole cose, quelle quotidiane l’esempio del preparare il peperoncino mi pare calzante. La Natura mi da gioia. Una passeggiata sulle rive del mare. Il sorriso di qualcuno che incontro e tutte quelle cose inaspettate che riempiono le giornate di tutti ma che alle volte ci passano davanti agli occhi lasciandoci un pò indifferenti ed incapaci di coglierle.

  2. Riuscire a ritrovare , fra vecchie cose senza valore , l’emozione autentica , riuscire a farla tornare alla luce , liberata da stereotipi , gratificazioni del proprio ego , false parole , pensieri già pensati é un ricondurci all’essenziale , alla sobrietà , alla comprensione se non della felicità , quanto meno dell’autenticità . E allora come nel preparare la lista della spesa si scoprono le poche cose di cui si ha bisogno . Non é cosa da filosofi , si chiama , per me, consapevolezza che guida l’agire .

  3. Quando leggo quello che pubblichi qui, caro Simone, il primo pensiero è: e io? Cioè come mi pongo io rispetto a “questa” questione? E quindi poi scrivo…qualcosa…
    Ma mentre leggevo questo post, mi aveva colpito questa specifica frase:

    “Mi accorgo che cercando i giorni dell’armonia ho rincorso spesso stereotipi, o che rifuggendo alcune condizioni ho buttato via ore importanti”.

    Cosa vuoi dire quando scrivi che cercando di “stare bene” hai rincorso “stereotipi”? E poi. In cosa consiste, in realtà, “rifuggere alcune condizioni”?….

    Il concetto di “stereotipo” è invadente, ossessionante per molti aspetti, e può condurre sovente, (molto spesso) all’ “omologazione”. Per questo mi interessa sapere quali sono quelli che perseguivi per trovare una dimensione …più opportuna per sentirti meglio….
    Grazie! Ciao!

    • Vuol dire che a volte ho pensato che qualcosa fosse adatto a me perche mi piaceva l’idea, ma non era vero. Oppure il contrario, rifuggivo qualcosa perche lo temevo, ma forse non avrei dovuto. L’influenza di convinzioni stereotipate, non veramente messe in discussione… un pericolo.

      • Permettimi Simone… Questi non sembrano esempi di stereotipi ma… squisitamente …esperienze di vita…
        Intendo dire che è accaduto, accade, credo, a ciascuno di noi di “innamorarsi” di un’idea o di una persona pensando che sia “adatta, conforme” a noi e di accorgersi, poi, dopo, a posteriori che non era così… che, dunque, ci sbagliavamo….
        Così come ci può accadere di decidere di allontanarsi da qualcosa o da qualcuno temendo che non sia “opportuna, conveniente” per noi…
        Il pericolo, in questi casi, forse, non è quindi (o almeno non solo) proveniente dall’esterno, ma da noi stessi….Ed è per questo che, probabilmente, spesso ci consigli di “difenderci da noi stessi”…
        Ma davvero ci siamo sbagliati? Non ne sono certa…
        Forse, in quel momento, avevamo bisogno proprio di quelle cose che ora non riconosciamo più….Perché siamo cambiati…di poco…perché stiamo cambiando o, semplicemente, perché desideriamo…cambiare…

        • O forse no. Non ne avevamo bisogno. Sarebbe bastato aver lavorato, capito, sentito se stessi e quel finto bisogno lo avremmo saputo decodificare. Oppure cio che eravamo convinti di non volere si sarebbe mostrato come qualcosa di potabile, addirittura utile. I condizionamenti sono tutte le cose che facciamo senza che le abbiamo scelte davvero. Se le avessimo sclte consapevolmente sarebbero nostre. Altrimenti vengono da qualche parte che non siamo noi. A cominciare da noi stessi.

          • …. e le emozioni!!!??? E l’istint0?!!! E poi… come si fa a “vivere” e a “guardarsi vivere”?!!
            La “decodifica” la si fa sempre, o quasi sempre, a posteriori… E’ un po’ meccanicistico come sistema, no!? E poi l’età… l’esperienza…e gli stereotipi? Quante variabili dobbiamo aggiungere a tutto questo? Non si può tenere tutto sotto controllo. Non si può pensare di “potare” …a priori…. Ma poi chissà…. forse hai ragione tu….

          • Non concordo Barbara. Sono proprio le emozioni, se conosciute, a indicarci cosa va bene e cosa no per noi. Oltre all’intelletto, naturalmente. L’insieme delle nostre facoltà. Ma soprattutto il sentimento di sè: Cosa sento? Cosa voglio? E’ per me? Il problema e’ usare questo metro senza averlo messo mai in discussione, senza avere riscontri. Sappiamo cosa diciamo quando affermiamo ‘si, mi sento, sto bene’? Ecco…

          • Rispetto a questa domanda: “Sappiamo cosa diciamo quando affermiamo ‘si, mi sento, sto bene’?”, credo possano esserci più risposte. Ho pensato infatti a tutte le volte in cui mi sono potuta definire “felice” o, meglio, “in uno stato positivo” e, quasi sempre, sono stati momenti che ho potuto condividere con qualcun altro…
            Quello che voglio dire è che l’aspirazione massima sarebbe quella di trovare un punto di equilibro tra “emozione” e “raziocinio” … ma spesso questa rimane, appunto, una “tendenza ambiziosa” che va senz’altro perseguita…
            Ma andrebbe approfondito il tema del “sentimento di sé” anche in funzione dell’altro… Perché, io credo, che qui possa celarsi una qualche risposta…o chissà, forse qualche altra domanda…

          • Esatto. Il punto e’ proprio quello. Il ‘sentimento di sè’. Io ammetto serenamente due cose: 1) non sempre ho avuto chiaro e netto sentimento di me. A volte ho immaginato un me in modo inquinato da arroganze, aspirazioni, paure che mi facevano ‘sentire’ come se fossi un uomo che solo parzialmente ero. Desiderare cose per quell’uomo non coincideva col desiderare le cose giuste per me 2) l’uomo di cui avere il ‘sentimento’ e’ mutato e a volte ho proseguito nell’ipotizzarlo come non era più. Anche in quel caso sfamare quell’uomo significava propinargli cibi per lui non più adatti oppure talvolta indigesti. Se poi in tutto ciò metti che noi non siamo soli ma correlati agli altri con tutto il loro carico di complessità, capisci quanto elevata sia la funzione.

          • O la …”finzione”… 🙂 In buona sostanza si passa buona parte del tempo a “nutrire” (pascere…il cavallo…”a dondolo” ;-)) con cibi non adatti… e finanche indigesti… perché non si è lavorato sulla consapevolezza di sé… Ho capito. Non trovi che però in questa tua visione ci sia un aspetto di forte rigidità, o forse, come direbbe qualcuno, troppodi esagerata severità con se stessi? Credo che molti si pongano queste domande…In quale modo, se no, potremmo attivare un qualsiasi processo di “cambiamento”? Io vorrei essere un po’ più tollerante e più gentile con quella parte di me…quella “trascorsa”…e che, in un certo senso, fatico a riconoscere.
            Vorrei poter guardare il “bozzolo” che mi ha “contenuta”, forse troppo rigidamente, ma che mi ha anche protetta…con un pizzico nostalgia e benevolenza ma senza alcun rimpianto…

  4. Sto rileggendo Adesso basta. Mi mette davanti ad uno specchio e questo mi crea tormento. Ma mi aiuta ad approfondire la mia auto-domanda sulla mia felicità, quindi mi aiuta a stare bene.

    • Penso, in cuor mio, ogni volta che scrivo, che l’effetto sul lettore debba essere un miscuglio di cose. Piacere, innanzi tutto, ma subito dopo sgomento, sconcerto, domande, pensieri, e poi di nuovo sogno, possibilmente, immaginazione, per poi nuovamente provare scoramento, affanno, e per poi, sperabilmente, riposarsi, rilassarsi di nuovo. Spero sempre che alla fine della lettura di un mio libro il lettore sia un po’ esausto, abbia sudato, si sia ristorato, sia salito su un’alta montagna, stanco e abbia ammirato il panorama, sia stato a lungo in mare, abbia temuto per la sua sorte, abbia perduto e ritrovato la rotta, e poi in porto, sfinito, possa riposare. Insomma, la cosa peggiore che potrebbe capitarmi è incontrare un lettore che chiude il libro sereno, riposato, senza aver provato emozioni o essersi fatto domande difficili, che riguardano lui stesso. In quel caso, per quel lettore almeno, il libro che ho scritto sarebbe stato un fallimento. Dunque grazie Rafaela.

    • Concordo Simone! Infatti il problema è proprio quello di distinguere ciò che ci fa bene da ciò ci sembra ci faccia bene, ma che magari scegliamo solo perché emotivamente “lo riconosciamo”. Si chiama “copione”. Però e qui peccherò un po’ di superbia, quelli che come noi in generale sono più “in ricerca”, camminano per affinare sempre meglio questa distinzione. Da umani (e quindi difettosi), ci provano. Io credo che un ottimo sistema sia quello di vivere le esperienze che si desidera vivere, correndo il rischio di sbagliare. E (alla fine) anche sbagliarsi, per trasformare le future esperienze. Come ti ho già scritto (non so perché la rispostina è finita sotto il post sbagliato): TAO. Tra l’altro sembra che tu lavori molto sulla tua già forte capacità introspettiva e quindi… come distinguere? Secondo me, vivendo. Oggi tornerai in mare, innegabilmente uno dei più grandi amori della tua vita, aggiungerai un altro mattone alla conoscenza di questa distinzione. Ormai il nostro saluto ufficiale, qui su questa blog sembra diventato uno, dunque: Buon Vento !

  5. La mia è una short list equamente distribuita tra nero e azzurro … ma comunque oscenamente ristretta…
    E reputo questo un privilegio. Ho trascorso troppo tempo (e, in parte, dovrò trascorrerne ancora…) con persone con cui non avevo nulla da condividere.
    La mia lista ha subìto defezioni volontarie e forzate. Volti e parole si sono sovrapposte in un continuo avvicendamento, in parte piacevole e fisiologico, in parte molto doloroso. Non so quanto tutto ciò succeda per mia conscia decisione e “presa d’atto” e quanto, in tutti questo, abbia invece inciso il “caso”.
    Tuttavia, diversamente dal passato, ho cessato di correre a “rimpinguare” conoscenze e amicizie, presa dall’ansia di “rimanere sola”. Ho imparato, con molta fatica, a convivere con me stessa e a “vivermi sola” nella maniera più positiva possibile.
    Una cosa mi è più chiara di altre: non sono più disposta a tollerare atteggiamenti superficiali su argomenti che io considero imprescindibili, essenziali e …vitali.
    Ho ancora qualche “sogno” che mi piacerebbe davvero realizzare… Ho ancora un po’ troppa paura di “deludere e di deludermi”…. Questo è un ostacolo impegnativo di cui mi sto occupando…
    Quasi sempre, prima di addormentarmi, appena chiudo gli occhi, scorrono immagini chiare e ben definite di luoghi e persone dove “so” che potrei “stare bene”.
    Per ora queste sono solo “visioni” che, tuttavia, riescono a mitigare un mix di agitazione e angoscia… che rende queste notti così interminabili e minacciose…

    • …queste risposte finiscono a caso.. Sbaglio qualcosa nelle manovre, ma non vanno sotto i post a cui rispondo. Sorry !

      • Vedi Raffaela, quando si deve bordare una vela, per capire quale sia la regolazione giusta, se più chiusa o più aperta al vento, non si cazza, cioè non si stringe l’angolo tra la vela e il vento. Si lasca, cioè la si lascia più aperta, per vedere se sbatte, punge, fileggia. L’errore che tutti fanno è di cazzare la vela, cioé tirare la scotta che la collega alla barca stringendo il suo ancgolo sul vento. Invece bisogna lascarla, lasciarla libera, e poi recuperare piano piano.

        Ti dico questo, come metafora, perché credo che vivere sia uno dei mezzi, come tu dici, per capire. Ma non l’unico, e neppure il più preciso. Io credo che bisogna lasciar andare tutti, perdere la pressione sul vento, ritirarsi un po’, anche recisamente, per poi, semmai, rientrare nella forma, ritentare la portanza del vento. Io sono in questa condizione, cerco di non portare bene al vento, di abbandonare molte delle cose del mondo, del vento della vita, per poi, in futuro, semmai, riprendere a fare il lavoro di uomo che tutti sono chiamati a fare. Ciao. Mi imbarco tra qualche giorno.

  6. Troppe elucubrazioni e filosofie. Il troppo stroppia. La “lista delle volte in cui sei stato bene”? Serve una lista??? Parlare di felicità è “banale”? E perchè? categorie, sofismi, dubbi: molto semplicemente come dicevano i Blind Faith: Do what you like.
    Stanotte milioni di persone dormiranno poco e male perchè domani rientreranno al lavoro, timbrati e inscatolati; domani TU sei libero: questo è il tesoro, l’hai già trovato (che mappa vai cercando???) ! Un quadro quando è finito è finito, se lo appesantisci e continui a ritoccarlo, lo pasticci e basta. Troppa filosofia va bene per gli intellettuali di sinistra (ahimè esistono ancora), quelli con la barbetta nera e il maglione finto-povero e le citazioni culturali sempre in bocca. Dio salvi l’Italia da essi. Non cascarci.
    I 50 anni non sono un dramma. Gli 80, semmai, potrebbero esserlo – se hai bruciato la vita e hai un mucchio di rimpianti in mano. Do what you like.

    • Eccomi Dario. Allora…
      Quel che scrivi meriterebbe un post dedicato, o una risposta chilometrica. Cerco di essere breve.
      C’è gente sensibile a questo mondo. Gente a cui le domande vengono su come l’acido per i gastritici, come i sentimenti per gli innamorati, cioè inopinate, improvvise, continue, sentite, inevitabili. Lavorare, ripetere azioni coatte, maniacali, risiedere, eseguire, stare nello schema serve esattamente a questo: a frenare l’irrequietezza delle domande. Misteri nella nostra vita ce ne sono a bizzeffe, dal senso della nostra vita fino al motivo del nostro disincanto. Si può solo prendere atto di essere, o meno, persone che si rivolgono domande su ciò che vivono. Oppure, anche in presenza di domande, mettere in atto un fuoco di sbarramento quotidiano per arginarle. Stai certo che quando lavoravo dodici ore al giorno non avevo tempo e modo di farmi quelle domande. Ma vedi… preferisco il disagio di farmele, oggi, all’impossibilità che avevo di pormele. per me è una questione di autenticità. Oggi, perlomeno, i problemi che ho come essere umano sono problemi reali, profondamente miei, che incontro sulla via della mia autenticità. Prima erano cazzate inutili su nessuna via propriamente mia. Come dire: meglio star male dove devo stare che bene fuori posto. Come è meglio una scomoda domanda vera a una confortevole risposta falsa. I modelli che citi non mi appartengono. Ho lottato e lotto per essere io, per pensarla a modo mio, perché io sono un essere umano che ha una sua storia, una sua fisionomia, e non accetta più condizionamenti non voluti. E questo si paga. Anche con le domande. Il tutto, certamente, senza dimenticare che domani per me è un qualunque giorno di sofferta, guadagnata, originale e dura libertà. Domani, certo, non torno al lavoro, anzi, faccio la valigia per salpare oltre mesi a bordo di Mediterranea. Stai sicuro, non me ne dimentico. E’ la mia grande risorsa di vita. Grazie per il tuo commento. ciao.

    • Ma questo lo trovo eccellente ! Se riesci in questo momento a “fare il vuoto”, a staccarti dalla forma e semplicemente essere, bhè .. vuol dire che sai adoperare uno strumento potentissimo! Secondo me, tra l’altro, il lasciare andare, è difficilissimo, perché richiede di essere molto centrati (ed anche abbastanza concentrati) IN se stessi ed IN se stessi IN RELAZIONE ALL’INTORNO. Io faccio fatica. Ma il mio pensiero è che anche questo sia vivere ed esplorare esperienze che tu desideri. Ed anzi, a me questi passaggi sembrano addirittura (ma è una mia fissa) elevatissimi. Bellissima l’immagine della vela da bordare. Grazie. Ciao.

  7. Proverò anch’io a fare una lista. Fermarsi, guardarsi dentro, ricordare.
    A volte azioni apparentemente semplici non lo sono.
    Se ci penso, di getto, i momenti che ricordo erano più legati a un periodo che a un fatto in particolare. Non potrebbe dipendere da come stiamo noi dentro in generale e di conseguenza è più facile che trovare situazioni in cui stiamo bene?
    A me non capita da tanto. Ho letto qualche libro di filosofia Zen, mi pare di capire che si dovrebbe trovare la bellezza nei piccoli momenti della giornata, dipende da noi e poi tutto assume un’altra prospettiva. Cosa ne pensi? Forse ha qualcosa a che fare anche con la rincorsa degli stereotipi di cui parlavi.
    A me sembra così difficile…non riesco a uscire dal turbine mentale di un’evoluzione della mia vita e probabilmente mi sto perdendo un’altra serie di momenti belli. Ci sto lavorando.
    E poi, sto bene nel senso, “si, stasera sono stato bene, o SONO STATO DAVVERO BENE, di quelle da ricordare…
    Quanto dipende da noi e quanto dalle situazioni e persone che ci circondano?
    È vero, è una lista che può contribuire a fare una mappa più vera.

    • Cinzia, dipende molto da noi. Quelle persone che dovrebbero avere influenza su di noi, le abbiamo scelte. Potevamo non farlo. Siamo liberi, se qualcosa non torna, andiamo via. Dopo aver cercato di risolverlo. ma poi, via.

  8. Fe-no-me-na-le. Quando ci riveli il tuo metodo di lavoro su te stesso, dunque quando ci offri spunti su come fare anche noi, su come trovare un nostro metodo originale, sei splendido. Anzi, sei prezioso, perché ci sei sfacciatamente utile. Grazie!!!

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