Il buon Devis

Davis Bonanni, Il buon selvaggio, Marsilio

Bravo Devis

Vi consiglio un libro: “Il buon selvaggio”, di Devis Bonanni. Ve lo consiglio prima di tutto perché l’autore è un montanaro, della Carnia, ragazzo carino e simpatico, con cui dopo una presentazione insieme a Trieste e una bella serata con alcuni amici e lettori mi sono preso una sbronza degna di memoria. Ricordo che verso l’una di notte, già parecchio alticci, iniziammo a bere grappa e io pensai “ora il montanaro ci mette tutti a dormire”. Dopo un’oretta, quando stavo tutto sommato ancora in piedi, lo vidi socchiudere gli occhi e crollare a corpo morto all’indietro, dove grazie al cielo c’era un letto. Il marinaio non è facile sdraiarlo con l’alcol, ma soprattutto Davis ha molte lune meno di me sulle spalle, e per bere, in certe notti, serve avere esperienza. 

Ma a parte i ricordi personali, vi consiglio il nuovo libro di Devis perché trovo assai cresciuto il suo autore. Dalla timida eppure interessante testimonianza di Pecoranera (sempre per Marsilio) in cui riferiva come avesse abbandonato l’attività di tecnico informatico per mettersi a fare l’agricoltore, registro una sua crescita marcata, il permanere di una fondamentale autenticità e sincerità, la metamorfosi della sua esperienza in coscienza pedagogica. La sera della sbronza mi parve incerto circa l’intento politico della mia testimonianza, e vedo che si è ricreduto. Ottimo segno.

Il libro inizia a pag. 79, cioè dopo un lungo e fin anche piacevole excursus di ordine antropologico botanico. Da lì in avanti le cose crescono, la testimonianza si fa puntuale, i racconti sui suoi compromessi vengono almeno accennati (forse qui sarebbe dovuto essere più dettagliato), e sopratutto usa l’acronimo PIL solo a pag 270, che è già un ottimo segno.

Dopo molti anni ormai, Devis, come me, non ha mollato. Semmai ha accentuato e vivacizzato la sua esperienza di alternativo, il più possibile controcorrente, fabbro del proprio sistema di vita, essere senziente che cerca di capire e agire in concordanza perfetta. Hanno mollato invece i suoi detrattori, come anche i miei. Non hanno avuto costanza sufficiente nel pretendere coerenze, ortodossie e non contraddizioni che loro non avrebbero saputo assicurare per se stessi. Li ha sconfitti l’evidenza: sono passati anni, noi siamo ancora qui, e loro che hanno fatto?

Non condivido molte delle cose che scrive Devis, naturalmente. Il mito rousseauviano del buon selvaggio non mi ha mai convinto, certo come sono che l’uomo sia un essere assai più complesso di quel che lui stesso crede, così come del fatto che la naturalità sia solo una componente della nostra anima universale. Inoltre, sono un marinaio, dunque un nomade, e se amo la terra, amo l’orto, amo la natura, gli alberi, il bosco, non posso abbracciare la filosofia agricola se non come ingrediente periodico della mia natura metamorfica. Tuttavia rispetto chi lo fa. Particolarmente rispetto chi, come Davis, lo fa con indipendenza intellettuale, idee proprie, autenticità, ed è consapevole della portata rivoluzionaria della propria azione. Bravo Bonanni, alla via così.

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9 pensieri su “Il buon Devis

  1. Lessi 3 anni fa il libro d’esordio di Devis, leggerò sicuramente anche questo. La lettura sta giocando un ruolo vitale nel mio processo di cambiamento, che è umano prima di tutto.
    Sì gli altri sono ancora lì, Simone, perchè non si pongono domande nè studiano. Troppo fragili e in balìa degli eventi. Eppure la loro impalcatura fa acqua da tutte le parti, a volte, parlando, ho l’impressione evidente della loro vulnerabilità e, magari mi sbaglio, noto anche che qualcuno inizia a rilevare la presenza di un problema, forse qualcuno inizia anche a chiedersi: “ma vale la pena vivere da cani per uno stipendio e una pensione che non arriverà?”. L’effetto, modesto, è quello del ghiaccio raggiunto dai primi raggi del sole, un sottilissimo strato d’acqua che ne inumidisce appena la superficie, chissà.

    • mmm, fabio, non so. ho ascoltato in questi anni un mucchio di persone, anche amici, che avevano un sogno, un progetto, qualcosa per cui sognare. Sono passati anni, e quel sogno è ancora lì, o anzi, spesso, è scomparso, superato da scelte di opportunità più stringenti, oppure abbandonato per mancanza di tenuta, di capacità, di verve, di speranza. Ogni nostro sogno abbandonato non è stato abbandonato perché qualcosa ce lo ha reso impossibile, come ci divertiamo 8e rassicuriamo) a credere, ma perché non lo sognavamo davvero. Mentivamo. Non era il nostro sogno. Altrimenti ora avremmo chiara la lista di cose che abbiamo fatto per trattenerlo, per difenderlo, per parare la noia, il disincanto, per capire da minimi segnali che qualcosa cedeva, o anche solo per mettere benzina su quel fuoco, per rilanciare avanti la palla. Non sarà che non abbiamo fatto niente e DUNQUE tutto si è smontato? Non sarà che, dunque, a quel sogno che dicevamo di amare tanto, in realtà, ci credevamo troppo poco?
      Sarebbe l’ora di diventare un po’ radicali sulle cose. Basta infingimenti, basta menzogne, basta dirsi cazzate. Sogni veri = si realizzano. Sogni che sfumano = colpa (anche) nostra. Fine. Evitare questo assioma, in ogni campo, è evitare di dirsi la verità. Non scendo da questo minimo livello di radicalismo. Minimo. Appena sufficiente. Sotto questa linea ci sono le sabbie mobili.

      • Sono d’accordo con te sul fatto che se uno sogna veramente, non si perde per strada in quanto magari distratto, o impegnato, o persuaso, da opportunità più stringenti, obblighi, doveri… (la lista si allunga a nostro piacere per costruirci il nostro bel castello di convinzioni pro inerzia)
        Sono d’accordo perchè se hai focalizzato l’attenzione, le energie, su cosa veramente vuoi (può essere anche uno spiraglio, si può anche non avere una visione completa di cosa si vuole, ma quei dettagli che invece cogli – nel futuro e nel presente – sai che sono indizi preziosi per te e ignorarli è fatale) non puoi non andare in quella direzione. E quindi, chi rinuncia, non sognava per davvero, altrimenti, come dici, avrebbe attinto a tutte le proprie risorse energetiche, spirituali, mentali per attivarsi.
        Eppure forse una cosa che non entra da una finestra può magari entrare da un’altra parte? Arriva cioè il momento in cui, per disperazione, molte persone cominceranno a guardare altrove, a cercare alternative e a praticarle? Spinte più dalla paura che dal sogno? Io sono possibilista. Certo, è una scelta di serie B, con il fiato della paura sul collo, ma dato il periodaccio mondiale… non butto via niente. 🙂 Magari mi sbaglio; ma io, in ogni caso, so che non mi devo aspettare nulla dagli altri, perchè ciò mi rallenta.
        Ciao!

        • certo che sì Fabio. Ma i sogni non si perseguono per disperazione. Il sogno, che da noi non viene insegnato, frequentato, praticato, dunque resta un’icona per pochi imbecilli persuasi di sé, si fa a freddo, si persegue senza urgenza, si pratica pur potendo fare altro. Altrimenti è un’escamotage, una droga, una via laterale. Mai creduto che per cambiare vita bisogna prima sfiorare la morte in un incidente d’auto o un infarto. mai creduto che si debba attendere una separazione per riappropriarsi di sé. mai creduto che la libertà la si possa davvero scoprire quando un’azienda ci lascia a casa. E’ il “gioco senza palla” che conta nel calcio. Cioè il movimento che fa il giocatore non inquadrato, che sta dall’altra parte del campo rispetto alla palla, ma che già intuisce una trama, prefigura dove finirà il pallone. Quando entra nell’inquadratura è già goal fatto.

          • Grazie mille per questa spiegazione, Simone. Quando i giochi sono fatti forse c’è ancora tempo per mettersi in salvo, ma la libertà d’azione è poca, figuriamoci costruire qualcosa che soddisfi un nostro sogno. Verissimo e sacrosanto.
            Un po’ di programmazione e quella si fa senza sentirsi affannati, o angosciati.
            Grazie ancora.

  2. Colpita e affondata da un forte raffreddore, ieri pomeriggio mi sono messa a guardare la tv e mi sono imbattuta in un film, già iniziato peraltro, di cui avevo sentito molto parlare, ma che non avevo mai visto. Si tratta di “Into the wild” con la regia di Sean Penn. Il tema trattato mi interessa moltissimo e, anche questa, è una storia “vera”. Christopher Johnson McCandless abbandona amici e famiglia per sfuggire ad una società consumista e capitalista nella quale non riesce più a vivere. Questa storia non ha, purtroppo, un lieto fine. Il ragazzo morì di fame, ma c’è anche chi sostiene che la morte sia sopraggiunta a causa di un avvelenamento da una bacca di una pianta simile ad una patata… Il momento in cui scopre di aver confuso questa pianta con un’altra lascia sgomenti così come l’ultima parte del film. Va da sé, parteggiavo fortemente per questo ragazzo e ho sperato fino all’ultimo che in qualche modo riuscisse a salvarsi.
    Ci sono molti pensieri che questo ragazzo ci ha lasciato e tra i molti ho scelto questo che è coerente, molto, troppo coerente con la sua scelta: « C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l’animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo».
    Ma c’è un’altra frase che mi ha fatto commuovere fino alla lacrime, ed è questa:
    Happiness is real only when shared.

    Nel leggere il tuo consiglio di lettura di cui ti ringrazio, e che terrò sicuramente a mente tra i libri che ho in serbo di acquistare nei prossimi giorni, è stato inevitabile pensare a questo film che mi aveva lasciato con un grande senso di amarezza. Questa è, a quanto capisco, una testimonianza positiva, di chi ce l’ha fatta, di chi “ce la sta facendo”… Un modo per “condividere”, forse l’unico modo per rendere dunque “reale” quel termine: “happiness”, felicità…

    • Ciao Barbara, ” Into the wild ” è stato per me il punto di partenza, la svolta, la spinta a cambiare. Se sei ancora influenzata e hai tempo, però, ti consiglia anche ” Wild “: è la storia di una donna, della sua famiglia e della sua scelta di cambiamento dopo molta sofferenza…è un film che ho faticato a capire fino in fondo la prima volta che l’ho visto, ora sto leggendo il libro e i nodi iniziano a sciogliersi. Anche questo da una storia vera, con partenza da ideali e basi ben diverse da quelle di Chris e, fortunatamento, con un finale speranzoso.

      Per quanto riguarda Devis ho avuto la fortuna di conoscerlo, oltre che di leggere i suoi libri: inizialmente ero molto critica, non gli avrei dato più di due anni di vita ( in riferimento al suo progetto ), invece tiene duro, come dice Simone è cresciuto. Di lui mi piace che non è di quelli radicali duri e puri, ha sempre messo in chiaro che la sua scelta era sperimentazione e avrebbe potuto anche cambiare nuovamente, non rifugge completamente la ” vita civile “, se ne è solo allontanato quel tanto per godere della serenità che gli mancava e ritrovare i ritmi che riteneva a lui più adatti. Buona lettura!

  3. Grazie di segnalarci sempre letture interessanti! Personalmente sento proprio un bisogno fisico di leggere cose ‘piene’ che possano arricchire, e siccome non ho molto tempo per andare a scovarle ti ‘sfrutto’ volentieri..

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