Luce

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Nido di luce – Installazione con velleità luminose (legni trovati in mare, carta dei sacchetti di pasticceria)

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La Nave e l’onda – Installazione con velleità luminose (ferro arrugginito [forse un carter di motore di frantoio], legni trovati in mare)

La protagonista del romanzo che sto scrivendo, a un certo punto esclama: “Avevo sognato tutto?“. Domanda raffinata e complessa, a cui possiamo dare una risposta semplice oppure una vera.

Ci sto ragionando molto, ultimamente. Cerco di individuare nelle pieghe di ogni azione, perfino tra le rughe di ogni pensiero, il punto dove la luce mi illude, l’ambito su cui sono consapevole della realtà vera, o le direzioni verso cui non guardo per paura di vedere quello che c’è. Al tempo stesso, mi sforzo di non vedere a tutti i costi ciò che non esiste, e che anche se lo temo mai esisterà (a meno di generarlo io dal nulla).

Un bel ginepraio, che vale metà del tempo, metà delle energie, e su cui naturalmente non ci applichiamo, presi dalle incombenze, dal lavoro, dai soldi, dal calcetto, dagli amici. Mai come su questo si capisce perché facciamo in modo di non avere un solo minuto libero: per evitare guai

Il cambiamento è questo: smettere di non voler vedere la realtà. O almeno assumere che ci somiglia come una goccia d’acqua, anche e soprattutto quando pensiamo di essere diversi. Se lo fossimo davvero, anche lei sarebbe qualcos’altro.

 

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Lo sentirà?

Sarzana

Meglio l’immagine o il suo riflesso (sconosciuto…)?

Ascolterà? Capirà le parole della canzone, le sentirà? Capirà il Piemonte, la pianura da cui si desidera il mare? E la Liguria aspra di malinconie, Sudamerica d’Italia? Quel giorno a Boccadasse non c’era, e quella era la grammatica emotiva. E io, quel giorno in Florida, o al Blue Hole, quando c’era da capire, dov’ero? Cosa sappiamo di loro, cosa sanno di noi? Cosa pensa, forse lo dice…, ma cosa sente? Che responsabilità ci assumiamo nel credere? E che presunzione è pensare di capire, sostenere di sapere? E l’azione che segue quella credenza, quanto dura, quanto vale, quanto genera, si comprende come viene effettuata, capiamo come agiscono? Capirà Paolo Conte, la rullata di Neil Pert, le ultime pagine dei Buendìa, l’attacco dello Snark? Sentirà qualcosa di simile nei meandri delle nostre domande sospese? Le domande sospese sono cosa che si può condividere? Possiamo finirla per favore con le domande? Ci sarà un’affermazione disponibile…

Tutto ciò che conta viene fatto a rischio. Neppure: viene fatto sapendo per certo che tutto non è come pensi, che le certezze su cui basi il tuo equilibrio non sono come tu le sai. Nessuno cade dal pero così. Stai certo che non sai, solo: pensi di sapere. Non puoi controllare i suoi ricordi, l’istante in cui si perde su quell’immagine che se la conoscessi moriresti. E in quell’istante tu non ci sei, non hai spazio, non hai luogo (ed è meglio così, credimi). Se sei onesto, e se sei vissuto, lo sai. Dunque?

Sereni per rotta. Un porto, laggiù, dove ripararti, dove fare scalo, certamente c’è. Non ci troverai chi non è salpato perché non si fidava. Peccato. E’ un bel porto. Ma possiamo biasimarlo?

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Vostra chiunque siate

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Per chi ha letto “L’Estate del disincanto”. Schizzo de “La Regina”. Disegno sempre quello che scrivo. Per “smettere di vederlo”.

 

Vivo tra le parole, segreto al mondo, contumace. Seguo tutto, ma sono ostaggio del mio mondo di segni. Parole addosso, come tatuaggi maori, dentro, come suture di antiche operazioni. Sono immerso nella storia, quella grande e la mia, quella dei personaggi che ormai navigano per le pagine come fosse soltanto mare loro, cui posso solo assistere prestando dita su una tastiera a forma di nave.

Vivo dentro un’epoca remota, in cui il mondo era il medesimo di oggi, gli uomini animati dalla stessa brama, disperati della stessa maledizione: la comprensione. Sapere, mentre tutto accade, è ciò che condanna l’uomo. Che peccato che non studiamo la storia: avremmo meno illusioni vane.

Gli echi delle razzie, dei massacri, dei tradimenti del mio romanzo si intersecano con quelli della cronaca. Sangue tra le mie pagine, sangue dallo schermo della televisione. Pirati, terroristi, misteri, servizi segreti, agenti occulti della parte maledetta del mondo, quella che ci sforziamo di ignorare come non fosse attiva e protagonista, tutto si mescola nella solita trama, in cui gli unici a non capire sono le comparse. Noi.

Intanto, come sempre, le occasioni sono oggetto di strage. Non pensate al terrore di una strage, pensate alla strage che compiete. Ieri, mi chiedo sempre mentre scrivo, che è accaduto? Come siamo vissuti? Che abbiamo pensato, poi fatto, cosa abbiamo mancato, pensando che oggi ci sarebbe stato tempo e modo? E quel tempo, quel modo, oggi dove sono? La lama è l’assenza da sé. Il collo è “quello che devo fare”. Così si sgozza il proprio destino.

La mia storia è quasi conclusa. Tra breve smetterà di essere mia. Comincio ad avvertirne il distacco, fatale, inevitabile, crudele. Lo scrittore è un martire, che immola ogni giorno della sua vita per qualcosa che non potrà possedere, che quando sarà pronto non significherà più, diventerà altrui. Quando sarà compiuta, sarà come se mesi, anni di lavoro non fossero mai stati. Diventeranno vostri, e per sommo sacrificio vostri chiunque siate.

In ogni tempo, in nome di princìpi sempre simili, accanto alle guerre manifeste, si compie una battaglia sotterranea, non meno cruenta e impietosa, mutevole al girare del vento, in cui i poteri si affrontano dove non c’è onore, dove non vale la politica e non c’è costrizione al rispetto di alcuna regola, dove quindi tutto vale e nessuno può lamentare tradimenti e scorrettezze, dove non c’è diritto né limite. Il campo delle peggiori azioni umane è quello, in cui vivono e agiscono gli esseri più efferati e senz’anima, vengono impartiti ordini che alla luce del sole sarebbero impronunziabili, e che fa impallidire i massacri compiuti in regolari battaglie. Jihad e Santa Inquisizione, società segrete e custodi del Tempio, banche e potenti: un fuoco che mai si sopisce e che lavora a minare le fondamenta del mondo. La guerra esplicita, fatta dagli eserciti, dichiarata ufficialmente, è la parte illuminata della luna, ma dietro di essa v’è l’altro lato, la zona d’ombra, ciò che è necessario compiere per interessi che non possono essere spiegati. Il mondo di sopra, sulla superficie, in cui si accapigliano storici, intellettuali e diplomazie, poco sa, o spesso nulla, del mondo sotterraneo, che nessuno vuole svelare per non perdervi la propria cittadinanza”.

(da “Rais”, SP)

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Psicopolitica

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Porta bicchieri e tazze. Castagno e chalk-paint autoprodotta

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Porta pentole. Castagno di trent’anni e chalk-paint autoprodotta

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Appendiabiti. Castagno antico e chalk-paint autoprodotta

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Lampada a muro. Piastra in ferro, probabilmente un carter da macchina di frantoio.

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Parete attrezzata a ripiani. Castagno antico e chalk-paint autoprodotta


Esperienza creativa del riciclo, del riuso, del cambio di funzione, del recupero con materiali che vedo gettare via e che invece sono preziosi, oltre che belli. Dunque giorni utili, di solitaria e comune industriosità, piccola fatica, realizzazione. Risparmiare vuol dire fare da sé, il che implica il doppio risparmio di non dover comprare ciò che ci serve e di divertirsi creativamente senza spendere. Ma ce n’è un altro: la soddisfazione di poter dire “l’ho fatto io, come piaceva a me”, che è esperienza della personalità, dell’intelletto, coscienza. E poi un altro ancora: la produzione di valore, cioè realizzazioni che potresti anche vendere, o farne regali senza dover comprare oggetti insulsi.

E’ il reciproco dell’Ikea, se volete, cioè la controcultura: opporre al low cost omologato e industrializzato (che rende le case tutte uguali, come se chi vi abita fosse la stessa persona) il “costo zero inimitabile”, dunque solo vostro. Con le mani si fa politica, in quest’epoca, come con l’emarginazione progressiva tendenziale del denaro. Anzi, si fa l’arte più raffinata del presente, la più necessaria: la psicopolitica, cioè ci si cura l’anima mentre si sostiene un’idea valevole come modello, passando come sempre per l’azione.

Siamo il disastro sociale che siamo soprattutto per nostra inettitudine. Finiamo col dire o proporre a noi e ad ad altri soluzioni insensate per la nostra vita perché non sapremmo mettere insieme un legnetto trovato sulla spiaggia e una pietra levigata dal mare, legarli con uno spago, farne un regalo amoroso che testimonia creatività, pensiero dell’altro, esclusività.

Sentite me: ognuno che guardandosi intorno vedesse una casa brutta, banale, priva di personalità, non dovrebbe andare ai grandi magazzini, e neanche dallo psicologo, ma chiedersi cosa c’è che non va nella sua mente, nel suo cuore, domande semplici come: “Perché sono brutto?”, e subito dopo mettersi a lavorare.

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Adesso Basta (e Mediterranea) a RAI3

Dal minuto 20′.52″. Riflessioni sul cambiamento a “Ambiente Italia”, su RAI 3. Buona visione.

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Neppure ladri

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Rubatevi pure questa: tartara a dadoni di dentice.

I ladruncoli. Tra le tante categorie umane, stasera vi parlo di loro (di noi?). Nel caso ci riconoscessimo, non dobbiamo dispiacerci troppo: basta sapere chi vogliamo essere e quanta ne abbiamo da spendere. Del resto, non si è a caso, si è quel che si vuole essere.

I ladruncoli sono dovunque. Non sono ladri, perché il ladro ruba sapendo di rubare, ha deciso la sua via, si comporta di conseguenza. La refurtiva la vende, non la usa, perché non vuole somigliare a voi, vuole soldi per essere più agevolmente se stesso. I ladruncoli sono solo piccoli roditori della vita, animaletti affannati che ti sottraggono una parola sconosciuta, ma bella, che utilizzeranno alla prima occasione, sembrando quello che non sono. Ti avvicinano, si mostrano amichevoli, entrano nella tua casa, raccontano che ti conoscono, s’infilano nella tua scia, si fanno trainare, condurre dove mai sarebbero giunti, ma dove sapevano bene che era bello andare. Prendono senza posa, senza requie. Rubano (credono di rubare) il tuo modo di pensare, il tuo modo di reagire. Si specchiano, fanno bilanci tra ciò che funziona e ciò che vedono funzionare meglio, mutano come proteine, si evolvono (credono di evolversi) fino a sembrare quello che non sarebbero mai stati. Imparano a memoria le definizioni, i tempi, le nozioni, gli approcci, le mosse disinvolte, e dove proprio non sanno simulare impapocchiano, che è comunque meglio di quello che erano. Sfruttano case, appoggi, informazioni, relazioni che non sono loro, che non avrebbero mai saputo costruire, condannati allo scippo, al furtarello con destrezza, alla patacca. Poi se ne vanno, pensando che non ti sia accorto, credendo di non essere stati beccati, in cerca di qualche mediocre per potergli vendere ciò che non sono, ciò che a un essere di media qualità non sembreranno mai.

Soprattutto, non danno. Ricordando, non sapresti dire cosa hanno offerto, portato in dono disinteressato, donato a fondo perduto. O cosa hai imparato tu da loro, o se un giorno, per caso, ti hanno insegnato qualcosa. Se ti osservi, dopo il loro passaggio, non fai nulla, non dici nulla di quello che facevano e dicevano loro, mentre loro s’affannano a scimmiottarti. Semmai metti una mano in tasca e scopri che qualcosa manca. Miserie, beninteso, spiccioli di monete fuori corso, ormai inutilizzabili, perché quello che di valore potevano davvero prendere, lo hanno lasciato. Ladri ignoranti che, in casa tua, invece del quadro di Picasso che hai sul muro guardano la mensola, attratti dall’orologio di plastica che tu non usi più da anni.

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