Anche per

“Come eravamo”

Ricevo lettere come questa, e ne ricevo molte, per la prima volta per un romanzo e non per un saggio: “Causa Rais , mi sono accorto di aver ristretto per anni i miei orizzonti. Non capivo cosa non andasse, ma ero bloccato e stantio. Dopo Rais ho realizzato che ero arenato da solo. Adesso mi sono rimesso in moto, tra le varie andrò ad imparare a (…) da un pazzoide dalle mani d’oro. Quel libro è fatto meglio di quello che sembra. Grazie.” Che bello…

Mi chiedo quanto poco ci manchi, quanto poco siamo distanti dalla “linea d’ombra” e quanto poco serva per oltrepassarla. Un romanzo, una storia, una rappresentazione, può aiutarci perfino in questo? Dunque non è solo la pala d’oro per scavare il tunnel della comprensione sulla vita, sui suoi grovigli inestricabili di emozione e speranza. È perfino una mano a cui aggrapparci per venire fuori dal fosso?

Carica di grandi speranze, tutto questo, ed enormi responsabilità. Ma soprattutto mi fa pensare a qualcosa: non sarà che se fossi rimasto là, se non avessi dato spazio libero alla mia idea di me, qualcuno non avrebbe avuto modo di fare e poi scrivermi cose così?! Eppure poteva accadere. In un momento, per le mille ragioni che ci trattengono, quella linea d’ombra avrei potuto seguirla invece che oltrepassarla. Piccoli passi, grandi effetti. Non solo per me…

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5 pensieri su “Anche per

  1. Non ti stupire. Quello che hai deciso di fare tu è solo apparentemente una questione privata. Tu sei diverso perché hai una mentalità da intellettuale. Si vede da ogni cosa che scrivi. Ti interessano i processi, le responsabilità, quello che vuol dire un gesto. Non ti ho mai visto accuparti di una cosa in sé e per sé. Quello che c’è da chiedersi, semmai, e come potessi lavorare prima in un’azienda, dove queste cose non vengono apprezzate mai molto. In azienda bisogna eseguire. E tu non esegui, semmai mi pare che componi. Non sei un direttore d’orchestra.

    • lo sono stato. ma come dice qui sotto Barbara, non si è una cosa sola, mai. in quel momento una parte di me era prevalente. Poi ha preso il sopravvento il resto. comunque interessante distinzione…
      quanto al lavorare in azienda, facevo fatica, lo ammetto. ero un one-man-band, solo raramente ho saputo condurre gruppi ed essere un buon organizzatore. garantivo il risultato, ma potevo lavorare solo con quei due o tre che stimavo. pessima attitudine per un manager. per quanto sia stato fortunato, e mi sia impegnato, qualunque altra cosa mi è riuscita meglio, con uno sforzo maggiore ma con minore fatica. La linea di minore resistenza, appunto…

      • Concordo in pieno: dovremmo essere un po’ più “rinascimentali” e fare della multidisciplinarietà la nostra forza. Quando i miei colleghi o i miei amici dell’università si riconoscono con orgoglio nel ruolo di “ingegnere” mi sento un poco soffocare; allo stesso modo sono eccitato quando parlo di storia classica con qualcuno che poi rimane stupito del fatto che non abbia frequentato una laurea “umanistica”, aggettivo che perdipiù vuol dire tutto il contrario del conoscere solo la letteratura.

  2. Mutazione antropologica…Mi trovo a citare Pasolini a mia insaputa…quando denuncia la scomparsa delle differenze autentiche, di una molteplicità di modi diversi di poter essere autenticamente uomini… Osservavo la foto: un uomo, un manager, poco prima di un intervento a un seminario o chissà, camicia, giacca e cravatta d’ordinanza, mediamente abbronzato, un orologio con un cinturino colorato, a spezzare il monocolore e aa dare un tocco “smart”, molto concentrato…Mi sono chiesta dove è finito questo uomo? E’ rimasta forse una traccia, ancorché minima, di quei gesti, di quella ritualità nelle sue camice stropicciate, nei suo pantaloni da rattoppare? Penso di sì. Penso che se tutti potessimo concederci la “molteplicità” in presenza di autenticità, sarebbe un mondo migliore….Ne sono convinta. Dalla “fissità”, dalla rigidità di ruoli imposti, nascono gli stereotipi. Nella convinzione di dover reiterare gli stessi gesti, nella fissazione di dover corrispondere per sempre ad un “io ideale” che, di fatto, non esiste, non appare, si spengono e muoiono per sempre creatività e azione…Si rinuncia a essere, si preferisce perire a se stessi, automi muti e grigi e silenziosi…Si sacrifica su quell’altare il proprio simulacro di vita-non-vissuta…
    “La nostalgia di Pasolini è nostalgia per quell’uomo che è in grado di generare un mondo che alberghi costantemente in sé la nostalgia del possibile”.

    • ho portato l’orologio solo per un paio d’anni. era uno swatch che avevo realizzato per un evento. Uno lo tenni per me e lo portai per qualche tempo. Quando finì la batteria me lo tolsi. Ho sempre avuto una concezione del tempo più complessa, non si poteva misurare così, semplicemente…

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