La costruzione del presente

Gerusalemme – (la foto non c’entra granché col testo, ma era l’unica decente che avevo).

La poca disposizione che abbiamo a occuparci responsabilmente della nostra vita, si vede tutta nella professionalità con cui svicoliamo dal passato e dal futuro.

Nessuno si scolla mai dal presente. Se solo la testa va per un istante verso domani o verso ieri, bisogna infatti fare i conti con questioni piuttosto spiacevoli: quel che è successo davvero, quel che vorresti davvero. Entrambe le faccende sono tabù per una sana vita cloroformizzata, e non si devono toccare. La prima infatti ci inchioda, perché descrive com’è andata, e hai voglia a trovare sempre un responsabile, uno a cui dare la colpa, qualcuno che ti ha maltrattato, la sorte beffarda e cattiva… alla fine bisogna che ammetti che quello è quanto hai saputo fare. Cioè che quello sei tu, poche pippe.

La seconda, invece, ci impone di fare progetti (o di stabilire che quel che vorremmo è una cazzata, e la diciamo solo così, tanto per dire). Fare progetti è un bel problema, perché nei progetti c’è scritto cosa, quando, dove, perché, come, e li hai scritti tu, quindi poi si suppone che li realizzi davvero, che ti piaccia davvero (“ma a te cosa piace davvero?!”). Dei progetti, poi, resta memoria, dunque se li rifai ogni volta e poi constati guardando indietro che li hai già fatti (ma non realizzati), ecco, allora siamo nei guai veri. Stabilire invece che quel che dici di volere è una cazzata significherebbe doversi chiedere “Ma allora io cosa vorrei davvero?” e questo è peggio del diavolo che ti si infila nudo e rugoso e sanguinante nel letto.

Ma perché tutto questo sbattimento?! Meglio starsene nel confortevole presente: una canna, un aperitivo che ti stona un po’, la televisione (occhio, non leggere, che quella è roba che fa pensare), un bel corso di “meditazione e tango” per riempire le ore più pericolose, e poi il week-end via in un altrove qualunque (occhio che la domenica a casa è un rischio della madonna, in quei casi si finisce perfino col fare propositi). La cosa più tecnica di questa nostra contemporaneità è la costruzione del presente, una garanzia universale: metà impegni (lavoro e altro), un quarto di ebbrezza (genericamente allotropa), un quarto di chiacchiere/chat/cagate.

Il cocktail del presente è infallibile. Consente uno stato meticcio necessario e sufficiente a tirare avanti: un terzo di lamentela, un terzo di perdita di tempo, un terzo di alienazione. Quando poi ci si imbatte in qualcosa di diverso, sul genere di post come questo che ti rompono un po’ i coglioni, frugare subito nello zaino tattico dell’homus contemporaneus ed estrarre i ferri d’emergenza: lamentarsi e inveire; fare finta interiormente che le cose non stiano così come si sta leggendo; sostenere che chi fa qualcosa di diverso ha doppi fini, o almeno è un gran paraculo e non-fa-quello-che-fa-per-il-motivo-che-dice-lui; che “vabbè, così saremmo buoni tutti“; passare subito a un video con gatti che cadono dal divano o in cui un drone fa vedere una spiaggia bellissima piena di gente sul surf (ma perché tu vorresti fare surf…?!). Amen.

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13 pensieri su “La costruzione del presente

  1. Ciao Simone, ti leggo da un annetto e raramente ciò che dici mi ha fatto scattare un campanello d’allarme. Nel senso che le tue parole sono piene di verità e franchezza e di una bellezza a volte romantica.
    Questa volta, però, il campanello è suonato. Il Dalai Lama diceva: “Ci sono due giorni all’anno in cui non puoi fare niente, uno si chiama ieri, l’altro si chiama domani. Oggi è il giorno giusto per vivere”. Seneca sosteneva: “Brevissima e ansiosissima è la vita di chi rimpiange il passato o si preoccupa per il futuro”. Gesù, e qui devo fermarmi per ovvie ragioni perché tocchiamo il massimo dell’umanità: “Il paradiso verrà in tempi e modi per i quali non diremo “.
    Non so, forse non ho afferrato bene questo post, ma io credo che il segreto della felicità e del paradiso sia proprio nel rallentare e vivere l’oggi, con le sue umane preoccupazioni e le sue umane gioie. E se un pensiero del passato si affaccia nella nostra mente questo pensiero si affaccia oggi. Così come il futuro lo progettiamo oggi, non solo col pensiero ma con ogni singola azione.
    Più che altro ritengo che la negatività di cui parli non derivi da uno stare col momento presente quanto piuttosto dal mettere un tappo al nostro mondo interiore. Dall’affogare la nostra sensibilità e il nostro allontanarci dal sentire primario nell’alcool o nelle canne. Dalla paura incontenibile di guardarci dentro e scoprire che abbiamo deviato malamente rispetto alle indicazioni della nostra bussola. Certo, tutto questo lo affoghi in giornate sprint e senza un freno, ma è un altro discorso… Ritengo molto più corretto il cercare piano piano di non aver paura di guardarsi dentro, di non aver paura di dover riempire tutti i buchi della giornata, il non aver paura di restare a far nulla soli con se stessi (leggi, domenica pomeriggio). Sai, per uno che di mestiere deve imbrogliare, per uno che di mestiere deve vendere, per uno che di mestiere, ad esempio, deve licenziare, è davvero dura restare un paio d’ore al giorno con se stessi e accettare queste cose…
    Secondo me, parere personalissimo, non bisogna spingersi oltre, non bisogna tappare i buchi. Tutti abbiamo almeno un’oretta al giorno di fiacca ed è in quella oretta che dobbiamo stare con noi stessi e non fuggire nelle comodità e le illusioni di questo mondo. Non so se ho reso.
    Un abbraccio

    • condivido molto di quel che scrivi Leonardo. L’esprit generale e i numerosi riferimenti che fai ai buchi, al tempo, al guardarsi dentro. Non credo diciamo cose diverse tra loro, al contrario. Quando tu scrivi “guardarci dentro e scoprire che abbiamo deviato malamente rispetto alle indicazioni della nostra bussola” sento incarnato quel che scrivevo nel post: la bussola ci indica una direzione dove andare, dunque un futuro prossimo possibile, e scatena l’azione oggi per giungervi domani. Quella bussola è il futuro che si incarna oggi nella nostra vita. E quando dici “abbiamo deviato” ti riferisci alla scia, al percorso fatto, a quel passato che riverbera oggi, ora, il suo significato. Correggeremo la rotta indicata dalla bussola (futuro) rispetto a una rotta deviata (passato). E tutto questo è il menù della nostra vita adesso. Far finta che non ci sia un domani, o che ieri è scomparso, precipitando nel presente avulso da ogni forma di stimolo proiettabile è l’atarassia, e io mi riferivo a quella, che sento sempre più attecchire come edera infestante sui castelli del nostro mondo. Ciao. (dura il mestiere cui accenni. se è quel che fai tieni duro, e cerca di non fare niente di malvagio, se puoi).

      • Condivido appieno. Fortunatamente quella rotta tempo fa mi ha portato a scegliere una professione piuttosto libera, quella dell’architetto, dove posso ancora vedere una visione di insieme delle cose e dove la collaborazione ed i rapporti umani sono fondamentali… anche se di “edera infestante” ce ne sta comunque tantissima… Il fatto è che quei mestieri, anche se non li faccio io, li abbiamo prodotti noi, i nostri padri, i nostri avi, la nostra società e i suoi valori e, come hai scritto in uno dei vecchi post che mi colpì, “nessuno è un’isola”…

  2. Il presente è il momento in cui si prendono le decisioni di dare azione al pensiero.
    Tale atto, se prorogato nel futuro, è pura illusione di poter agire.
    Se si si culla nell’azione fatta nel passato, si spegne l’interesse al vivere in modo consapevole e si limita la presenza a se stesso.
    Tema, questo, molto caro a Simone sempre sensibile alle parole vuote dette e a le mancate azioni da parte di alcuni.
    Buon vento Simone.

  3. Interessante, capitan Perotti!
    Sui social, che evito accuratamente, si clicca ” Mi piace “.

    Buona giornata piovosa in Padania.

  4. Metto anche qui quanto ho scritto su una delle mie pagine facebook poco fa:

    ‘Se ci pensate, cos’è mai il presente? L’intersezione di un progetto, di una prospettiva, con la consapevolezza dell’uomo che sono sempre stato e che oggi si accinge ad esso. Il presente è al medesimo momento una prospettiva e un bilancio sull’asse di un’azione. Senza quell’azione prevarrebbe forse l’ansia del futuro o la nostalgia.

    “Vivere come se non ci fosse un domani” e altre simpatiche stronzate tanto in voga, sono solo un misto di apatia priva di memoria e di idee, gambe senza la stanchezza delle corse fatte né la speranza di correre ancora. Ma come sarebbe a dire “senza un domani” o “senza un passato”?! Motore e benzina dell’azione, questo sono il domani e lo ieri. Consapevolezza e speranza che diventano atto.’

  5. Io sono da parecchio tempo alla fase “Ma allora io cosa vorrei davvero?” e la mia difficoltà, oltre a rispondere alla domanda, è invece proprio a stare nel presente.

  6. Il passato spesso, lo si rimpiange, il presente è da vivere intensamente ed il futuro è imprevedibile, anche perché vi è una sola certezza.
    Diciamo che, un buon mix di fortuna, buon senso, capacità e saggezza, contribuiscono al bon vivre.
    Tutto il resto è noia, avrebbe scritto Califano.
    Troppo essenziale? Forse…

  7. Ciao Simone leggendo il tuo post di oggi, mi sento un po’ meno aliena in questo mondo, in cui guardo, vivo e sento le stesse sensazioni descritte.Grazie

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