Non vedi

Ieri sera, ad esempio, non si vedeva bene… Forse, per questo, si capiva molto.

Occorre smettere di fidarsi della realtà. O almeno di considerarla attendibile. Chi la guarda, e la presume vera, è un essere troppo spesso alienato, sotto sequestro delle sue nevrosi, e indossa gli occhiali dei bisogni, della gelosia, del senso di inferiorità, della consapevolezza della sua emarginazione, dell’incapacità ad ammettere la sua mediocrità, della totale assenza di umiltà, della tragica mancanza di basi, o del disagio fisico talvolta, che toglie lucidità, e di chissà quali e quanti altri agenti inquinanti.
Dunque ciò che vede non è che una presunta realtà, certamente deformata, in tutto o in parte, a seconda della devianza nel livello di consapevolezza dell’osservatore. Lui pensa che quel che ha di fronte sia proprio così, come lo vede e lo sente, e quindi reagisce a stimoli che dà per oggettivi, ma che non sono mai stati lanciati, e anzi, quasi sempre provengono da lui stesso; grida in deserti che a ben vedere sono piacevoli quartieri di un’operosa cittadina; teme di affogare in mare, spesso, mentre si trova in una valle ampia, al sicuro.
Quel che la gran parte di noi deve smettere di fare è fidarsi così tanto di sé, dare per certo e inevitabile quel che vede, o pensare che i parametri visivi, i dati che ne emergono e la decodifica che ne scaturisce, siano corretti.
Chi osserva è in verità solo un presbite, o un ipermetrope, e quando non vede neppure è un miope. A “non condivido” va sostituito “non vedo“, ricordando che a questa visione interrotta e parziale si aggiungono tanti altri perturbanti, che straniano ulteriormente le cose: ciò che non possiamo sapere, ciò che non sapremo mai. Il primo passo è dunque la perdita della certezza di sé nell’osservazione del mondo, degli altri, di sé. Come chi non vede bene, che chiede al vicino: “scusa, non vedo bene, che c’è scritto lì?”, sapendo che il suo vicino è, quanto meno, astigmatico.
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4 pensieri su “Non vedi

  1. Ciechi. Disattenti e inconsapevoli.
    Disamorati ….
    Questo siamo diventati. Fragili e spaventati, duri e violenti..
    Abbiamo lentamente perso contatto con la nostra emotività… Abbiamo paura a mostrarci nudi e disarmati. Perché i primi a non piacerci siamo proprio noi.
    Quindi perché dovremmo piacere a qualcun’altro?
    Quali sono le nostre specificità? Che cosa ci rende diversi e per questo orgogliosi di esserlo? Perché non ne andiamo fieri? Perché abbiamo sempre paura e corriamo a nasconderci? Perché abbassiamo sempre la testa?
    Quanto è lunga la strada per la consapevolezza? Meglio fingersi per assomigliarsi? Possiamo spingerci fino alle spalle di un qualche gigante per poter guardare oltre, più in fondo all’orizzonte? Lo facciamo, spesso, quando leggiamo un libro.
    Tra le onde di quelle parole navighiamo mari impetuosi e non abbiamo più paura. Quando poi chiudiamo piano quelle pagine, rimane sempre un’eco nelle nostre banali azioni quotidiane, un filo d’erba impigliato nei capelli… Nelle nostre parole i primi germogli… Timidi e impacciati tentativi ….di diventare finalmente noi stessi….

  2. Forse. O forse c’è chi legge talmente oltre le parole da essere sopraffatto dal contenuto. Forse chi lo considera cieco non è detto veda così obbiettivamente la realtà. Da che parte starà la visione giusta? Quante persone saranno considerate cieche solo per il fatto di non sapere, di non potere a volte, esprimere compiutamente quello che stanno vedendo? Siamo sempre pronti a credere di poter vedere con gli occhi di altri, perché, segretamente, pensiamo comunque di vedere meglio, anche se miopi, anche se astigmatici. A volte camminare con un bastone bianco è un modo per attraversare la strada che, da soli, non riusciremmo mai ad attraversare. Non importa se altri sono “più bravi” a destreggiarsi nel traffico. E poco importa se chi guarda penserà che “stia fingendo”, solo perché non si perde l’abitudine di voltare prima la testa a destra e sinistra prima di fare il primo passo. E si rischia di rimanere fermi, non sapendo calcolare la distanza solo dal rumore.
    Ragionare su ciò che non si può sapere è inutile. Ma non impedisce di provare emozioni.

  3. Smettere di essere quello che Giovanni Sartori definì “homo videns” nell’omonimo saggio, di essere cioè un individuo banale, superficiale, prevedibile, i cui processi logici sono troppo ancorati al senso della vista e non vanno neanche un pochino oltre… ( e se ci provano scadono nel magico o nella credenza, quindi non ci vanno).

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