Limitare il limite

poco fa…

Stamattina, prima dell’alba, bevendo un caffè sotto la volta che diventava luce, ancora immerso nei rumori del bosco di notte, mi è apparso chiaro, come mai prima, che dobbiamo limitarci. Quel modo, quelle parole, quelle reazioni, ciò che facciamo ritualmente di fronte a quelle circostanze, sono la nostra separazione dal mondo. Oltre, non sappiamo com’è, non ci siamo mai andati. Quella frase, quella nostra espressione, sempre identica, ce lo ha impedito. Dei nostri destini possibili (i destini diversi da quello che si ripete da sempre per noi!), non sapremo mai nulla, se continuiamo così.

Uomini e donne diverse, mai ci si avvicineranno, mai innescheranno diverse alchimie. Per quei nostri tempi, per quelle nostre abitudini, ci capiteranno sempre le stesse solitudini, riceveremo sempre gli stessi premi. Per quel modo che abbiamo, al mattino, o alla sera, in certe circostanze, di favorire o interrompere, di sprecare o raccogliere, non potremo che ripeterci, ritrovarci seduti piangenti nello stesso deserto, o sorridenti a ballare incessantemente nello stesso gremito quartiere. Se ci interessa conoscere l’altra parte del mondo, quella che ci siamo sempre negati, occorre spostare quel confine, limitare quel limite, arginare quell’argine. Per far scorrere quel fiume nelle nostre aride pianure, dobbiamo mettere una diga a quella diga, smontarla con la stessa minuziosa metodica con cui l’abbiamo eretta.

L’esercizio di oggi è dunque la compilazione dell’elenco. L’indice delle voci che sostengono la ritualità, i passi fondanti della liturgia che ripetiamo come parroci della stessa bigotta diocesi, ogni giorno, al cospetto dello stesso sparuto gregge di beghine sparse nello stesso modo lungo la solita navata sedute ai banchi da cui pregano la stessa identica vuota preghiera, illuminate dalle stesse quotidiane candele prese in cambio della stessa offerta. E poi lavorare a come limitare quella ripetizione, per non doverci trovare identici domani, artigiani dell’unico destino che sappiamo scaturire, poco o tanto che sia, bello o brutto che sia, soddisfacente o meno, di cui ci lamentiamo perfino, talvolta, o che benediciamo, perché il viaggiatore possa dire di aver conosciuto davvero cos’era la vita, senza scambiarla per il piccolo giardino, l’asfittico cortile in cui, perfino, essersi convinto di stare esplorando, di stare conoscendo, di essere liberi.

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21 pensieri su “Limitare il limite

  1. Ciao Simone, anke se nn c ‘entra con questo post volevo dirti che ho visto ora il tuo video sulla Quasba di Mazara alle 6 del mattino.. bellissimo , bellissime le tue parole .. mi lasci sempre incantata .. complimenti X questo ma anche per i tuoi libri ( tutti letti) e per L’esempio che dai con il tuo progetto di vita e per gli importanti scossoni che ci dai. Non scrivo quasi mai ma leggo regolarmente il tuo blog .. l ultima volta credo di averti scritto per la ricetta del tonno .. grazie ancora

  2. Il punto è semplice, a mio avviso: sinteticamente, bisogna essere/diventare sé stessi. Se non lo facciamo (e non lo facciamo spesso per paura, pigrizia, conformismo, quieto vivere, terrore del cambiamento, “liturgia che ripetiamo come parroci della stessa bigotta diocesi”) ci ammaliamo, stiamo male, soffriamo come cani. Questo mi sembra una bella dimostrazione empirica di come siamo qui per un compito, e non per puro caso.

    Chi o cosa ci abbia messo in questo Universo, ora non è il punto.

    Il punto, mi sembra, è che veniamo su “incorporando” questa faccenda che dobbiamo splendere, maturare e spandere la nostra unicità, esplodere in creatività come una stella che va in supernova. Se teniamo tutto dentro, è la nostra rovina. E a volte una vita sempre uguale, una vita piena di limiti, splendidamente autoimposti, vuol dire proprio rinunciare, tenersi tutto dentro, viaggiare lungo il “minimo rischio”. Non far fruttare quel che abbiamo (ed è credo uno dei “peccati” più gravi, proprio nel senso di uno che dice “che peccato”!). Si paga, si paga. Si paga con un malessere ed un senso di sfasamento, di vuoto, che nessun farmaco o nessun dottore può realmente guarire.

    Come essere sé? Il dettaglio si articola in modo diverso per ognuno – mi pare. Cambiare o non cambiare, ha senso nella logica di fare o non fare questo percorso di realizzazione/espansione di sé stessi, nell’Universo.

    Siamo qui una volta soltanto, e direi, non per caso.
    Lo spreco di questa opportunità, questo sì, sarebbe insopportabile.

    Grazie,

    Marco

    • È così. Una volta soltanto. E sprechiamo tempo e occasioni in modo stupefacente…. Nella maggior arte delle circostanze senza neppure provare alcun senso di colpa.
      grazie Marco.

      • Non recedere dall’idea di investigare la complessità, con tutto ciò che questo comporta in termini di riduzione delle persone a cui può essere comunicata, è una bella responsabilità per chi scrive.
        E tuttavia, avere una platea più ampia, senza però far rendere a dovere lo sforzo di ricerca e di comprensione, a che servirebbe?

        Il modo migliore per farsi seguire da tanta gente, per avere un “pubblico”, e averlo il più ampio possibile, sa qual è? Scegliere temi semplici, e dirli in modo figurato, che tutti possano capire senza sforzo, con le parole meno precise possibile, che tutti possano interpretare come vogliono. Chiunque scriva e pubblichi, chiunque comunichi, se ci prova, sa farlo. La tecnica che questo necessita è basica, basta copiare un po’, “mettersi nei panni” della gran parte della gente.

        Però vede, il lavoro di studiare, scandagliare, cercare, dentro di sé, soprattutto, e nella vita è, alla fin fine, l’esatto opposto: spingere chi legge a uscire “dai propri panni”, spingerlo a indossarne altri, a guardarsi nello specchio, per vedere che effetto fa un’altra tra le tante vie possibili.

        Grazie a lei per la finezza dell’ascolto. Grazie anche per il coraggio di seguire chi scrive nei meandri insondabili e oscuri dove, forse, si rischia di scoprire qualcosa che era più agevole non sapere. Ma che brutta vita, tuttavia, non cercarlo!
        Saluti!

  3. Per questo articolo è doveroso lasciare un commento…
    se le esperienze di vita servono a qualcosa è per migliorare come persona e per trasmettere qualche insegnamento. Di poche cose possiamo essere certi nella vita, ma io vi do’ per certo, su base personale, che non c’è nulla di più sbagliato che combattere contro la realtà. Del voler essere “fedeli a se stessi” sempre e comunque. Io ho sofferto da cani questa condizione di voler ripristinare a tutti i costi uno stato emotivo e mentale ormai passato, ormai non più reale e concreto. Ë stata una sfida quotidiana come l’autentico me stesso, che invece voleva semplicemente cercare di cambiare atteggiamento di fronte ad una realtà esterna cambiata troppo in fretta. Ad oggi, a circa 2 anni da una serie vorticosa di eventi, posso dire che mi porto le cicatrici, ma ho fatto pace con la vita, perché accetto quel che è successo, accetto me stesso, accetto di cambiare e mi sento infinitamente più sereno e, non fraintendetemi, più saggio di allora, che invece mi credevo e illudevo di poter far fronte a tutto.
    Quando si dice voglio ritornare me stesso, voglio far pace con me stesso, voglio essere quello di 2 anni fa, si sta recitando una menzogna incredibile: in altre parole si dice “voglio restare fedele al mio ego”, voglio restare fedele all’immagine che ho di me, voglio ripristinare quella immagine vincente di me. In tutte queste frasi c’è la parola “ego” e/o la parola “immagine”, ovvero una finzione di te, un film che ti fai nella mente e non la realtà.
    Ha un senso invece cercare di recuperare una pace interna… ma questa pace interna, deriva esclusivamente dall’ascoltare quella che è la nostra intima, spontanea, unica, meravigliosa e ardente di vivere appieno, che risiede nella nostra “anima”, nel nostro se più intimo, che le parole non bastano a descrivere e di cui nemmeno potete farvene immagine.
    Quando dietro le maschere arriviamo ai volti, la prima cosa che inizia ad affievolirsi è la paura, poi scompaiono la rabbia e l’impotenza ad essa connesse. E cominciamo a rivedere la realtà. Con questo non dico che bisogna sentirsi superiori, ma quantomeno essere consapevoli che quel benedetto limite esiste, ognuno ne ha, può essere superato? Certamente, ma la prima cosa da fare è vederci chiaro e ammettere che ci sia un limite. Se non so di preciso cosa voglio cambiare, come faccio a cambiarlo? La vita ti fornisce tutti gli strumenti per poterlo fare, bisogna assecondarla e non forzare nevroticamente le cose per trarne un vantaggio, magari a scapito altrui. Già Platone diceva “Sii gentile, sempre. Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla.” E i primi siamo noi stessi… i limiti vanno superati, certamente, ma con rispetto e oserei dire con gentilezza.
    Sei una bellissima persona Simone

    • Capisco quel che dici. A parte i cambiamenti che ho fatto seguendo il filo della mia storia interiore, ho vissuto anche io due momenti come quelli cui accenni, ma che io caisco profondamente, so di cosa stai parlando. Sono state morti, precedute e seguite da un dolore enorme. E tuttavia ringrazio ogni giorno quegli errori o comunque quelle situazioni gravi, perché hanno generato un’eserienza di me molto importante, essenziale. Tutto, dopo, è stato diverso. Grazie.

      • Hai centrato. Sono state vere e proprie morti, di parti piccole e orgogliose di se’, ma infinitamente paurose e “nevrotiche”, coperte da uno strato di orgoglio esterno ed azioni sbagliate per non vederle. Dal momento che ho detto BASTA, perché sapevo che stavo andando contro qualcosa, non sapevo nemmeno bene cosa, ne oggi lo so, mi sono guardato dentro e si è aperta una voragine durata qualche anno. Una vera e propria morte. Dal momento che ho accettato di morire, di abbandonare alcuni tratti che reputavo vincenti ma che mi facevano soffrire, ho ricominciato a vivere, molto lentamente, ma tutto ha riacquistato senso. Ho scelto di informarmi da solo, di non affidarmi a droghe (credetemi ci ho pensato), pillole, magheggi vari, ho preferito soffrire e andare fino in fondo e posso dire di aver fatto bene col senno di poi.
        Sai però di cosa anche sono certo? Che quegli stessi atteggiamenti, quelle stesse autolimitazioni e quelle stesse paure me le ero autoimposte, autocostruite, un po’ da solo, un po’ la società, un po’ tutto, ma fondamentalmente da solo, perché così credevo fosse giusto.
        Ad un primo approccio non sapevo con chi prendermela: la mia fidanzata, perché era la persona più vicina, gli amici, perché me li ero scelti sbagliati altrimenti avrei dovuto essere felice, i soldi, pochi per poter realizzare tutto, infine la mia famiglia, perché ormai non mi colpevolizzavo più ma è come se mi giustificassi richiamando in causa le mie origini.
        Il bello è che dall’esterno nessuno o quasi vedeva nulla, tranne persone che normalmente vanno oltre le apparenze (la mia fidanzata, che per fortuna non ho lasciato; mi madre, perché si sa…) e questo mi permetteva ancora di protrarre il mio autoinganno.
        Ma badate bene, questa cosa non è scoppiata da sola, chiamiamola pure depressione, ma non mi piace dare etichette alle esperienze di vita, è scoppiata perché io ho detto “basta” e mi ricordo il preciso istante in cui l’ho fatto. Ho detto basta ed ho scavato all’interno, ho mescolato le carte, non ho creduto più a nulla, ne a me stesso ne alle mie paure, ne a chi mi stava vicino. Quasi dal giorno alla notte. E in questo mio non aver riferimenti ho cercato di fare chiarezza e di provare sensazioni autentiche. Ho sofferto e sapevo da quando, ma non sapevo ne perché ne per come. Ad oggi tutto mi appare più chiaro, sto ricomponendo il puzzle ma non nevroticamente, semplicemente lo vedo, mi è chiaro,e posso dire di star riprovando sensazioni di leggerezza che non provavo da una decina di anni, da prima di iniziare l’università.
        Di una cosa vado fiero enormemente, che in questi anni, direi 2 e mezzo, non mi sono mai tirato indietro, ho fatto tutto, a volte anche in preda al panico, ho completato la laurea con lode e in tempo, perché sapevo che stavo facendo la cosa giusta. E come lo sapevo? Perché quando scelsi la mia facoltà, sentivo che quella era la cosa giusta per me, non per avere successo, ma per essere felice. Ed ho creduto a quel lumicino. E ad oggi sono felice di averlo fatto.
        Dico questo per voi, perché so che tantissimi di voi stanno nella mia condizione e hanno vissuto momenti di “morte di se”, ma per rinascere veramente bisogna morire, allora questa morte beh non credete sia meglio accompagnarla? Assecondarla? Sono certo che anziché 2 anni avrei sofferto 2 mesi. Ma senza questa esperienza non sarei qui a scrivervelo.

        • Quante cose “apri” Leonardo… Bisognerebbe assare sei mesi solo per esploderne i mille fili. Mi limito a dire che, per quanto non sappia niente di te e delle tue “inevitabili finzioni”, quel che leggo mi dice molto sulla spietata consapevolezza che manifesti. Quel che scrivi è giusto e credibile perché apare “tutto su di te”, e ciò facendo annulli la funzione più diffusa, becera e tragica che vedo invece utilizzare da chiunque: il nemico. Eliminando il nemico fuori di te, a cui dare sempre la colpa di quel che ti capita, e spostando ogni ragionamento su di te, ti manifesti già “sano”. Complimenti.

        • Grazie Leonardo. Molto bello, molto sincero, molto ‘vero’… quello che scrivi e condivisibile. Quando decidiamo di smetterla con l’autoinganno, con l’infingimemento non è raro che si apra davanti a noi un ‘baratro’. Non è raro ritrovarsi a masticare l’amarezza di ciò che abbiamo perduto. Le vestigia morenti di ciò che eravamo e l’incertezza, il caos di ciò che non sappiamo ancora chiaramente di voler essere. Ogni volta mi viene in mente la muta dei serpenti… O il bozzolo di una farfalla…

  4. Mah, che aggiungere…
    Vi sono diverse interpretazioni del limite in generale: vi sono persone che superano brillantemente bypassando il famigerato limite ed altri che si schiantano massacrandosi dietro una curva, sapendo bene che la vita è fatta di saliscendi.
    Occorre osare ma non troppo, scritto ciò, ognuno si comporta come meglio ritiene opportuno.
    Buon viaggio di vita!

  5. Il limite è la condizione necessaria per vivere, è ciò che consente di evolvere. Attenzione: non è l’assenza di limite che ci fa cambiare, ma è la presenza del limite a consentircelo, l’assenza di limite è annegamento, in termini psicanalitici è desiderio di morte, ricongiunzione con l’assoluto.

    • Ahimé Fulvio, non corriamo questo rischio. I limiti sono molti e ben saldi, radicati dentro e di fronte a noi. Ma la natura stessa del limite è quella di imepedire, da un lato, di delimitare, apunto, ma anche e necessariamente di essere superabile. La vita è il lavoro avventuroso e consapevole di raggiungere quel limite, di lavorarlo ai fianchi e di etto, e poi di suerarlo, per oi ricominciare. Senza superamento del limite non c’è la speranza.

      • Non mi aspettavo questo allineamento al mainstream…Dire che la vita è cambiamento, che dobbiamo togliere i limiti, che tutto scorre meglio senza limiti, che il superamento del limite è necessario, mi sembra la risposta più desiderata e desiderabile da parte di un sistema (economico e sociale) che ha fatto dell’abolizione del limite la sua meta, per ovvie ragioni. Sinceramente, proprio qui, non mi aspettavo una riflessione così, perdona il termine, conformista. Il limite, invece, dobbiamo riscoprirlo, metterlo bene in evidenza, nelle nostre e nelle altrui vite, proprio per darci la possibilità di crescere. Senza limite non si cresce, si galleggia nell’indifferenziato cullandosi nel mare delle infinite possibilità.

        • Probabilmente c’è un grosso fraintendimento, Fulvio. Io non mi riferivo, ovviamente, ai limiti cui il sistema no-limit si riferisce. Mi pare perfino incredibile che tu possa aver letto nelle mie parole riferimenti a quella scala di valori. Io parlo dei nostri limiti come individui, quelli interiori, che si riflettono nelle nostre emozioni e nella nostra vita. Cioè quelli che il Sistema adora che restino tali, in modo che noi, non liberi di scegliere, dobbiamo necessariamente subire.

  6. Se c’è una cosa che capito in questi 39 anni è che l’unica costante della vita è il cambiamento. Le circostanze, le situazioni, le persone ci spingono o dovrebbero spingerci a cambiare. E cambiare non significa non essere più fedeli a se stessi o perdere la propria coerenza, il contrario semmai. Ci si evolve. Si cambia proprio per rimanere fedele a sé stessi nel significato più autentico. Un abbraccio Simone…non ho letto prima delle 9 ma l’ho fatto in modo consapevole.

  7. Uh! La coerenza…! Concetto abusato dai più, che diventa sì ‘immorale’, ogni qual volta venga adoperato come fendente per colpire ai fianchi, per scovare il solito, noioso ‘tallone di Achille’… Quando non serve nemmeno come baluardo, allora sì ‘etico’, contro ‘l’ultimo politico’ per sbattergli in faccia quelle parole proferite che non hanno però dato seguito ad ‘azioni concrete’.
    A volte, l’ostinazione a rimanere fedeli a se stessi, nasconde solo una grande paura o forse una terribile e banale abitudine a ri-presentarsi, a ri-proporsi per quello che si crede di essere, ormai… o, peggio, per quello che tu hai scelto di ‘rappresentare’ agli altri. Una sola, unica, triste e consunta maschera…….
    “Ti insegneranno a non splendere. E tu splendi, invece!”~ Pasolini ~
    Grazie Simone.

  8. Ci sono stamattina. Un po’ prima del solito… Le mie mattine non sono più scandite dall’odioso ticchettio imposto. Posso scegliere. E in questo nuovo scenario, sovente, mi perdo. Scopro, senza nessuno stupore, di essermi creata altri rigidi confini, di essermi ‘auto-limitata’. Che buffo! Quegli orari, quei luoghi, quei volti che credevo di detestare, erano solo stampelle a cui aggrapparsi per non cadere, per non aprire gli occhi e guardare giù, guardare oltre… Lavoriamo per molti anni, instancabilmente, per costruire gabbie (e non porti!) dotate di ogni comfort… Poi qualcuno ci dice che per ‘stare bene, per stare meglio’, dobbiamo evadere, dobbiamo abbandonare la nostra prigione, quella che ci siamo costruiti, giorno per giorno, mattone su mattone. È così complicato, che più di uno si è trovato a sperare che potesse davvero cadere quel meteorite! Demolire, distruggere, quasi totalmente, tutto quello in cui avevi investito il tuo tempo, tutto ciò in cui avevi fortemente creduto (anche se con qualche minimo dubbio sindacale)… E se non ti decidi a farlo, subito, velocemente, ci pensa la ‘politica’, ci pensa la ‘crisi’, ci pensano i media, ci pensa internet. In un certo senso è quasi umano, molto umano, cercare di tapparsi le orecchie, provare a non ascoltare, a fare finta di niente. Molto umano. Molto pericoloso. Io conosco molte persone che, con una fatica immane, cercano ogni santo giorno di rimanere ‘fedeli a se stessi’, reclusi nella loro disperata e soffocante inautenticita’, temendo di essere accusati di ‘alto tradimento’ dagli altri, mentre ciò che stanno massimamente calpestando sono se stessi. Più attenti alla loro ‘immagine’ che al loro ‘se”, sempre che ancora ne sia rimasta qualche traccia….

    • restare “fedeli a se stessi” è un concetto pericoloso e molto sbagliato, che confondiamo con la coerenza, altro concetto spinosissimo. In generale considero un abominio esistenziale e filosofico guardarsi indietro, dopo un lasso di tempo sufficiente, facciamo dieci anni, e scoprirsi identici a come si era. Trovo che cercare di essere ogni giorno un po’ meno simili a come si è sempre stati sia un dovere perfino morale, sapendo di scomodare con questa definizione concetti molto delicati e forse perfino eccessivi. Ma così è come la penso per me. Un saluto. ciao!

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