Autenticità come meta. Partendo (“L’Altra Via”, Solferino Libri)

 

Bella intervista realizzata dalla testata “Crescere Informandosi” (che ogni tanto diffonde cose che non condivido affatto, ma ogni tanto sì, e ci sta).
Brava soprattutto Alice Fassari a stimolare i punti più interessanti e a farmi parlare, resistendo stoicamente alla mia (consueta) straripante retorica dialogica.

Buona visione.

#laltravia

 

Share Button

(Re)Visione

Su questi ragionamenti, comunque, dobbiamo soffermarci. Questi ed altri, sia chiaro. Ma certamente anche questi. A meno di non voler vivere un altro anno in attesa.
Ma in attesa di che? In fondo al percorso c’è il “fine tempo“. Ma oggi non è ancora quel giorno.

Cerchiamo di vivere sapidamente, rompiamo gli indugi e scegliamo. Non succede niente, non si muore prima del tempo, non dobbiamo preoccuparci per questo. Ma se non si muore prima, cosa ci trattiene? Anche perché nel frattempo, almeno, ci si prova.
Morire tentando di vivere.
Vivi non è detto che si nasca. Ma ci si può diventare.

Buona (re)visione. Buon nuovo anno da usare.

Share Button

Soprattutto a te

auguri…

Auguri dunque, a tutti.

Ma auguri soprattutto a te, caparbia e dura combattente del senso, e a te, appassionato amante delle parole. Sono quelli come voi a salvarci, quelli che non dicevano per dire, quelli seri, quelli che non si sono fatti spaventare dalle pagine perché hanno desiderato di arrivare all’ultima. Auguri a quelli che non temono il tempo che ci vuole, terrorizzati da quello che manca. A quelli che non si fanno scoraggiare dalla fatica, anche se sanno quanta ne serve. Saranno quelli come te e come te a fare dell’anno che arriva un anno migliore, quelli che hanno la Brama, e si alzano ogni mattina con l’intenzione di andare fino in fondo. Quelli disposti al sacrificio pur di non dover soffrire a vita per la mancanza di coraggio. Auguro a te, e a chiunque come te, di mantenere le facoltà che il sacrifico ha reso necessarie. Lo auguro soprattutto a chi si è sentito diverso da qualcuno, soprattutto agli alter ego che hanno odiato e invidiato. Auguri di cuore, perché ne avrete bisogno, a quelli che hanno pensato che per eliminare il problema bastasse allontanarsi, dimenticando che così facendo hanno portato via la causa.

Auguri a te che non hai smesso di covare, accarezzare, custodire un sogno tuo, adatto a te, originale. Auguri a te che hai fatto i conti con la tua ambizione, che hai saputo riconoscerti, che hai alzato gli occhi, hai guardato la realtà, e hai smesso di mentirti. Auguro a tutti di essere sinceri su quello che davvero sono, di non maledire quelli che hanno ciò che a loro manca: non sono un avversario, servono a ispirare. Auguri a chi quest’anno ha capito che perseverare nella presunzione non è caparbietà, e non riconoscersi mediocri non è orgoglio, perché dirsi la verità (sgranando perla a perla quel rosario) non limita i progetti, semmai li verifica, e perché un progetto vero e piccolo è sempre meglio di un progetto velleitario e vano.

A te che pensi che sia tutto troppo grande, tutto impossibile, tutto troppo duro da affrontare, auguro invece di trovare il coraggio di tirare via la tenda, toglierti il velo da davanti agli occhi, e guardare in faccia le cose, scoprendole maggiori delle tue paure, meno inaccessibili dei tuoi languori. E auguri anche a te che stai facendo ora il primo passo, e sei sul punto di scegliere di vivere: non pensarti grande, ma non pensarti niente. Soprattutto tu avrai un gran bisogno di auguri. Quella partenza è un atto di fede, quel primo passo una dichiarazione di guerra.

Non faccio a nessuno auguri di ricchezze o di salute: il denaro passa, la vita prima o dopo anche. Fossero stati trent’anni o sessant’anni, non sarà contato quanto, ma come, quanto intensamente, con quanta convinzione. Vi auguro di spendere semmai, il giusto per le cose e tutto il resto per la vita. Che l’ultimo giorno non rimanga sangue nei vostri corpi morenti, né denaro nelle vostre tasche orfane di mani. Che la tomba non si porti mai via niente di vivo, solo involucri consunti, vuoti di gesti mancati, di sentimenti inespressi, di dichiarazioni senza atto. Auguro ai nostri cadaveri di non contenere lo sperma infecondo delle ingratitudini, né l’ovulo sterile delle parole non dette, dei sogni mai tentati.

E cari e veri auguri soprattutto a te, povero Cristo che le hai solo prese, che ti sei fatto togliere tutto, che ti sei fatto abbandonare. Auguri a te per un anno di riscossa. Che ti porti l’energia per darti un segno. Se sei qui vuol dire che qualcosa ti è rimasto, qualcosa lo hai salvato, hai resistito, e allora domani è il giorno giusto per reagire, sguardo alto, consapevole delle gambe che hai ancora, fiero del sorriso che può tramortire, saldo del pensiero che non hai avuto ma che puoi ancora provare a generare. Ci incontreremo per la via, in questo anno nuovo. Riconoscerò il tuo pentimento, lo vedrò sepolto dalla tua speranza. Berremo un sorso di vino. Ci racconteremo.

Share Button

Non vorrei che…

Uscire dal porto…

Non vorrei che in questi giorni di “quiete” avessimo perduto tempo. Non vorrei che domani, ricominciando come ogni gennaio la vita consueta, non avessimo almeno un quarto della mente e del cuore che vola a un progetto da realizzare presto, il prima possibile, per cambiare ciò che non va nelle nostre vite. Non vorrei che al grande sogno di quella cosa bellissima, che quando la facciamo ci balla il cuore, avessimo rinunciato, o la relegassimo nei piccoli, minuti, esangui ritagli del tempo che non c’è. Non vorrei che ci apprestassimo, domani, salendo in autobus, o sulla metropolitana, o in macchina, a vivere il nostro amore, quella nostra amicizia, la nostra famiglia, nostra madre che morirà, l’amico che sta per partire, esattamente come abbiamo sempre fatto, cioè male, togliendo tempo alle persone importanti per darne a cose che non contano granché. Non vorrei che domani, entrando nel solito quotidiano bar, provassimo la sensazione di nausea, e che a quella nausea non potessimo opporre un piano, un disegno, la foto di un luogo che ci aspetta, di un mare amato su cui presto, dobbiamo sperarlo, navigheremo. Non vorrei che ci ritrovassimo già prima delle 10.00 a battagliare sull’inutile, a masticare l’amaro di sempre, a ricacciare in pancia l’acido della mancata digestione dell’indigeribile, l’indigesto rosario delle nostre pene a cui, ancora una volta, per un nuovo prezioso anno, non abbiamo saputo trovare lenitivi.

Non vorrei, insomma, che il tempo ci ritrovasse impreparati, spreconi, e dunque ridesse di noi mentre corre per le praterie della nostra vita rubando e spingendo e beffandosi della libertà che noi pensiamo di dover conquistare, ma che avremmo già: basterebbe scegliere. O almeno apprestarsi-ad-iniziare-a-farlo. O almeno, ferocemente, tenerla sempre a mente.

Share Button

Il senso del Mediterraneo per il viaggio

Cosa ci andiamo a fare? Perché lì e non altrove? E perché non andiamo a rintracciare, a censire, i pezzi di noi sparsi nel nostro mondo, quello che li contiene perché ci riguarda?

Abbiamo bisogno del nostro altrove, evadendo dal nostro “qui” alienato perché estraneo. Anche per questo ho scritto “Atlante delle isole del Mediterraneo” (Bompiani). Per rintracciare il mio altrove, e lì ritrovare me.

Se regalate a qualcuno questo libro, per Natale, allegate in una pennetta anche questo video. Il mio personale biglietto d’auguri per lui (o lei…).

Share Button

Si trattava di (a)mare

 

Del mare, di una lunga navigazione, memorizzo sempre istanti, fotogrammi. Le albe, in navigazione ma anche in porto, i caffè presi al mattino quando tutti dormono. Le parole scritte in quel posto, guardando quello scorcio, obiettivo di cornea che ha scattato quella fotografia, o di cartilagine che ha ascoltato quella parola, di quella persona. Stamattina, con la prima luce, mi sono messo a ricostruire, ordine impossibile senza il filo della rotta. Santorini, la prima lunga per Milos, Folegandros saltata, vista sfilare sulla dritta, sciarpa di seta nel vento dei tanti approdi. Kythira, la follia di quella luce durante l’ora di pranzo, il mare immobile nell’immaginazione, mente che vola e mani sporche d’olio. Elafonissos sospesa, Porto Kagio sepolta, quelle due ore in acqua andando sempre più giù, sentirsi negativi senza riemergere, la lunga traina a un nodo e mezzo da solo nella baia. Pylos ritrovata, i sogni che non puoi condividere, le emozioni sprecate del mattino, in piazza, la cameriera, la percezione che la quantità non è un accessorio della qualità, e che a questo non penso mai. Il senso del tempo sparso tra costa e isola, i colori della baia meridionale di Zacinto, il caldo del folle giro a ponente (la fatica di non dire no) che pareva dovesse sciogliere anche i pensieri. La musica, i due grossi tonni sfuggiti nel canale, Agios Nikolaos, cenare in quell’angolo di universo, sull’acqua, rivedere per l’ennesima volta il porto dell’isola (quante volte ormai nella mia vita quel molo?), attendere, camminare, poi salpare mentre l’ultimo salta a bordo, e su verso nord. L’arrivo di chi porta con sé la terraferma, il lavoro di ammorbidire il mattone. Le grandi catture, tragiche e sublimi, le traversate lunghe dopo aver atteso il vento, i momenti indescrivibili di ebrezza fino ai moli coi ferri arrugginiti e ritorti, fino a ciò che non conosci, ciò che speri, e che capita solo al mattino. Poi le tonnare, il caldo e il ghiaccio, il bello del tempo lasciato correre selvaggio (wild…), le baie per una sera, l’isola fatale sulla prua, Dragut rais, fratello dove sei, l’antro dei pirati di Dwejra, il villaggio sepolto, dover salpare ancora, andare ha sempre il sapore del cibo di mare, come atterrare, nel bagliore serale allucinato, cosa sia, se stanchezza o un segnale, non lo comprendiamo mai, non da mare almeno. Né su un’isola, luogo dove ti pare di risorgere e invece moriresti, se non fosse agosto. Differenza tra quello che dici e quello che desideri davvero, cioè i centimetri tra i lembi della ferita che porti in petto. Qualche eco, intorno a questo, i ragli lontani, ridicoli, perché lo sai: perfino navigare allontana solo i rumori, non te da te, cioè non sé dal fastidio di sé.

L’elzeviro azzurro, il tante volte arabesco del blu sul blu, quello che non si vede, e che stamani ho preso tempo per rivivere. Rituffarmici dentro…

Share Button

La costruzione del presente

Gerusalemme – (la foto non c’entra granché col testo, ma era l’unica decente che avevo).

La poca disposizione che abbiamo a occuparci responsabilmente della nostra vita, si vede tutta nella professionalità con cui svicoliamo dal passato e dal futuro.

Nessuno si scolla mai dal presente. Se solo la testa va per un istante verso domani o verso ieri, bisogna infatti fare i conti con questioni piuttosto spiacevoli: quel che è successo davvero, quel che vorresti davvero. Entrambe le faccende sono tabù per una sana vita cloroformizzata, e non si devono toccare. La prima infatti ci inchioda, perché descrive com’è andata, e hai voglia a trovare sempre un responsabile, uno a cui dare la colpa, qualcuno che ti ha maltrattato, la sorte beffarda e cattiva… alla fine bisogna che ammetti che quello è quanto hai saputo fare. Cioè che quello sei tu, poche pippe.

La seconda, invece, ci impone di fare progetti (o di stabilire che quel che vorremmo è una cazzata, e la diciamo solo così, tanto per dire). Fare progetti è un bel problema, perché nei progetti c’è scritto cosa, quando, dove, perché, come, e li hai scritti tu, quindi poi si suppone che li realizzi davvero, che ti piaccia davvero (“ma a te cosa piace davvero?!”). Dei progetti, poi, resta memoria, dunque se li rifai ogni volta e poi constati guardando indietro che li hai già fatti (ma non realizzati), ecco, allora siamo nei guai veri. Stabilire invece che quel che dici di volere è una cazzata significherebbe doversi chiedere “Ma allora io cosa vorrei davvero?” e questo è peggio del diavolo che ti si infila nudo e rugoso e sanguinante nel letto.

Ma perché tutto questo sbattimento?! Meglio starsene nel confortevole presente: una canna, un aperitivo che ti stona un po’, la televisione (occhio, non leggere, che quella è roba che fa pensare), un bel corso di “meditazione e tango” per riempire le ore più pericolose, e poi il week-end via in un altrove qualunque (occhio che la domenica a casa è un rischio della madonna, in quei casi si finisce perfino col fare propositi). La cosa più tecnica di questa nostra contemporaneità è la costruzione del presente, una garanzia universale: metà impegni (lavoro e altro), un quarto di ebbrezza (genericamente allotropa), un quarto di chiacchiere/chat/cagate.

Il cocktail del presente è infallibile. Consente uno stato meticcio necessario e sufficiente a tirare avanti: un terzo di lamentela, un terzo di perdita di tempo, un terzo di alienazione. Quando poi ci si imbatte in qualcosa di diverso, sul genere di post come questo che ti rompono un po’ i coglioni, frugare subito nello zaino tattico dell’homus contemporaneus ed estrarre i ferri d’emergenza: lamentarsi e inveire; fare finta interiormente che le cose non stiano così come si sta leggendo; sostenere che chi fa qualcosa di diverso ha doppi fini, o almeno è un gran paraculo e non-fa-quello-che-fa-per-il-motivo-che-dice-lui; che “vabbè, così saremmo buoni tutti“; passare subito a un video con gatti che cadono dal divano o in cui un drone fa vedere una spiaggia bellissima piena di gente sul surf (ma perché tu vorresti fare surf…?!). Amen.

Share Button

Perchè ci paia vero

IMG_20160804_144430

Paio vero così!?

E basta con questi selfie, e dai… Ma non lo vedete che siamo patetici, che immortaliamo istanti scelti ad arte per convincerci di qualcosa che non è vero, per dare a qualcuno messaggi di una vita che l’istante prima e l’istante dopo quella foto, invece, nascondiamo, perché ce ne vergogneremmo!? Quelle facce eternamente sorprese, quei volti cristallizzati in smorfie di giubilo sopra-le-righe, sono cartapesta di un carro allegorico, significano quasi sempre qualcosa di metaforicamente opposto, ma lo mascherano per noi, che siamo i primi a non crederci e ci fotografiamo perché ci paia vero. Nel farsi una fotografia ogni tanto non c’è nulla di male, ma come diceva il vecchio Compay Segundo: “si può fare tutto, per tutta la vita, ma senza esagerare”. Non così, non a comporre una cronistoria da ipertiroidei esaltati, finti cocainomani dell’ego che cercano di dimostrarsi vite movimentate, affascinanti, esilaranti, avventurose, piene di massime da filosofi de no’antri, nel tentativo di negarsi e negare che nella vita, come nella musica, contano più le pause delle note.

Non c’è niente di particolarmente interessante in questi nostri autoritratti, non so se ci è chiaro, e questo sì che combacia con le nostre vite. Sono tutte pose vacanziere, da reclusi nell’ora d’aria, in cui l’unica cosa interessante, di cui resta il perenne languore, sono le altre foto, quelle che non ci sono perché non le scattiamo o pubblichiamo mai, cioè il racconto delle sequenze escluse dal romanzo, le sole che potrebbero dire qualcosa di vero.

Pippe. Onanismo iconografico. Autoerotismo della finzione, il decadente affresco di un’epoca di perpetua esaltazione emotiva farlocca, accompagnato sempre (o quasi sempre) da frasi d’altri, prese su Google, non certo da un libro che si sta leggendo, per comporre un quadro che non è il proprio, ricchi di una saggezza non nostra, confusionaria, raffazzonata, che non sa davvero di noi, e che purtroppo, nella maggior parte dei casi, non somiglia neppure all’aforisma di ciò che vorremmo diventare. Ritratti di persone che non siamo, ricche di un acume che non dimostriamo dal vivo. Invocando inutilmente, sempre più debolmente, un’autenticità che a furia di fotografarci non ritrarremo mai.

Share Button

Non vi innamorate mai…

IMG_20160707_153557_edit

Esiste, lo so, la spiaggia della compassione e del dialogo. Dove nessuno cerca un nemico, un cattivo che ci faccia sembrare buoni. La più volgare, semplice, dannosa, involuta delle soluzioni…

Il tempo rivela tutto. Animi, pensieri, comportamenti. Il che facilita terribilmente le cose. Quello che accade mostra quel che c’è da sapere. Solo un consiglio, ma non per me o per lui, per voi, e per il futuro: non vi innamorate mai di una versione dei fatti. Potete essere certi che non è andata così.

In quell’altra parte della storia, quella che avete eliminato, dimenticato, nascosto, che non volete ricordare, che non avete ancora rivelato, quella che non ammettete per salvarvi il culo dalla colpa, c’è un pezzo di come sono andate le cose, e di voi che così le avete condotte. Un brano essenziale della storia. C’eravate voi lì, non solo gli altri, non dimenticatevelo. Voi con i silenzi, con le parole non dette, il contributo non dato. Voi con la vostra quiescente distrazione, con le cose che avete fatto finta di non vedere, che vi faceva comodo non notare, quelle che sapevate ma avete fatto finta di non sapere, quelle che non avete voluto ascoltare, i gesti che avete compiuto accanto ai vostri atti mancati. E’ lì che risiede la vostra, nostra responsabilità su come sono andate le cose. Vale per l’altro, vale per voi. E’ lì dove ci siamo salvati o ci siamo condannati. Ogni volta che vi convincete di poter essere assolti al di là di ogni ragionevole dubbio, a ogni passo della storiella che coi vostri bislacchi avvocati avete architettato ad arte per essere solo la vittima innocente e per fare dell’altro il carnefice, vi state procurando un danno. Siete profondamente responsabili di ogni atto che avete avallato, accettato, reso possibile, generato protetti dal sipario insincero di averlo solo subito. Ogni cosa che ci accade, accade col nostro contributo. Ogni fatto della vostra vita lo avete prodotto, ne siete stati autori, coautori o complici consensuali.

Non perdetevi la grande occasione di vedervi in quei momenti, di capire la vostra diversità da oggi, o la vostra immutabile identità. Le cose (ripetetevelo, fatevi del bene) non sono andate così come le avete imparate a memoria. Sono andate diversamente, dunque non c’è alcuna possibilità di condanna dell’altro e di vostra assoluzione. Come sarebbe utile, oltre che bello e salvifico, per voi!, per tutti, riuscire a comprendere, potersi raccontare e ascoltare con la comprensione che l’altro complice, palo e ideatore come voi della medesima rapina, così simile a voi nelle sue mediocrità e nella sua gloria, meriterebbe. La stessa comprensione che meritate voi.

Non interessatevi di ciò che avete fatto per bene, perché lì non c’è nulla di utile. Anche l’altro ha fatto cose per bene, voi ne avete goduto, e in ciò anche lui non può trovare alcuna consolazione. Una buona storia per assolvervi oggi è una sentenza di ripetizione dell’errore domani. Domani è il giorno in cui occorrerà essere diversi, per vivere le nostre vite possibili invece dell’unica che reiteriamo da sempre, ma è oggi che la costruiamo. Dove abbiamo accusato, guardiamoci. Dove avete perdonato, analizzate con obiettività i fatti, alla ricerca di ciò che effettivamente non vi riguarda. Dove tutti si sono manifestati solo comprensivi e partigiani, dove siete stati solo consolati, dove avete assistito alle accuse di chi ne sapeva ancor meno di voi e non poteva giudicare neanche volendo, dove per onestà e amicizia avrebbero dovuto dirvi le cose scomode che voi non volevate ascoltare, non c’è stata qualità, nessuna umanità. Se nessuno al mondo vi ostacola, se nessuno al mondo vi critica, chiedetevi dove avete sbagliato. Ma se qualcuno lo fa, almeno di nascosto, pensateci.

Share Button

Nessuna anomalia

DCIM100GOPRO

Attenti alle vele, ad esempio, navigheremo…

La cosa rassicurante della vita è che tutto va sempre come deve andare. Mai visto un montanaro vero, che ami di cuore le sue vette, andare a stabilirsi, sedentario, in pianura, se non per scelte contraddittorie che lui solo potrà rivelarci tra le lacrime. Tutto ci rappresenta, e disegna nel tumulto dei nostri salvi e perduti movimenti il profilo del volto che realmente abbiamo. Passeggiando sotto la pioggia, mentre facevo la spesa, ho ricordato, poco fa, questa regola fondamentale della vita, I Principio della Termodinamica Esistenziale. E mi sono rassicurato.

Mai paura, mai paura, e mai pre-occupazione. Non servono. Se siamo innovatori innoveremo. Se siamo sedentari non andremo. Accadrà, se è così che deve andare. Se sogniamo per finta c’illuderemo, se invece progettiamo suderemo. Pensieri autentici generano azioni conseguenti. E non vale dire: “non ero io”. Ero io eccome, per come anche sono. Con l’istinto e la motivazione di restare, non saremmo andati via.

Forse dovremmo prendere definitiva coscienza di ciò che siamo, senza inutili pentimenti o uso improprio del miraggio. Quadrati, non moriremo tondi, ispirati non arrederemo banalmente il nostro mondo, avvinti non ci distrarremo. Attenti, non ci stupiremo a cose fatte. Amorevoli, non trascureremo. Soli, parleremo sempre con noi stessi.

Nessun accadimento è un’anomalia.

Share Button