Napoli. La sconfitta dello Stato, anche quando vince.

Ricevo questa accorata lettera da un amico che vive nel napoletano. E’ un documento di prima mano di questa epoca. Non dice cose nuove, ma dice cose tragicamente vere. Provo a fare la mia parte dandole visibilità. Nella speranza che contribuisca a smuovere la sensibilità del mondo politico, di quello culturale e delle persone, l’anello più debole e al tempo stesso fondamentale di ogni catena sociale.

“Ciao Simone come stai.

Sai che sono molto legato a Napoli e al territorio circostante, la mia terra, e quindi attento a quello che accade. Da un po’ di anni le forze di polizia e la magistratura hanno fatto un lavoro straordinario sgominando organizzazioni criminali che da anni, come un cancro, si erano inserite in tutti i settori nevralgici della società. In particolare quelli economici. Si tratta di organizzazioni pericolosissime che, forti della loro antica presenza, sul territorio si sono confuse con le parti sane della città. Controllano, o controllavano, tutte le attività economiche principali, in parte la vita politica, di sicuro condizionavano la vita quotidiana dei cittadini. Non solo in senso negativo ma anche, al fine di assicurarsi il consenso della popolazione o quantomeno la non ostilità, anche in senso, passami il termine, positivo. Nella mia città, che fa parte dell’hinterland napoletano, non si spacciava droga, non si rubavano auto, i negozianti non subivano estorsioni, non era tollerata la delinquenza comune. Una sorta di parastato al quale ci si rivolgeva per risolvere questioni anche di natura non squisitamente criminale ma che trovavano soluzione molto più rapida ed efficace di quella ortodossa.

È chiaro che per più di venti anni le forze dell’ordine e la magistratura hanno ignorato questo fenomeno consentendo l’espansione di questa organizzazione nella misura che ti ho velocemente descritto. Da due anni, grazie al lavoro imponente, oserei dire, delle forze dell’ordine e dei magistrati che da un po’ si occupano del territorio (come vedi è sempre questione di uomini!) queste organizzazioni sono state letteralmente smantellate. Capi e gregari tutti in carcere a scontare pene severissime. La conseguenza è che il territorio è diventato terra di conquista dei nuovi clan. Questi, formati sempre di più da criminali giovanissimi, al fine di affermare la loro presenza sul territorio stanno mettendo a “ferro e fuoco” il territorio. Furti, rapine sono all’ordine del giorno. Non di rado ci sono regolamenti di conti per strada in pieno giorno con ami da fuoco.

E che accade intorno?

Tra la gente sempre più spesso si sentono pronunciare frasi tipo “meglio quando c’erano quelli”… “Stavamo tranquilli”… “Si lavorava “…. Quando la gente esasperata è portata a rimpiangere organizzazioni come quelle che ti ho descritto penso siamo al fallimento plateale dello Stato sotto tutti i punti di vista. Lo Stato, dopo la repressione, doveva infatti avviare il lavoro sicuramente più difficile della normalizzazione dei territori e quindi della prevenzione, per ristabilire l’ordine, le condizioni di lavoro, le regole. Forse questo lavoro non procura gli stessi titoli sui giornali degli arresti eccellenti, e forse anche per questo non ci se ne è occupati a dovere. Occorre che la politica si riappropri della sua funzione fondamentale, quella nobile e necessaria della coltivazione delle idee, della progettualità per il benessere e della capacità e il diritto di avere dei sogni, tentando poi di realizzarli con il contributo individuale.

Scusa lo sfogo, ma al contempo, se puoi, prova a sensibilizzare un po’ la gente su questi temi. Io temo di non avere grandi strumenti per provare a smuovere un po’ le coscienze della gente che sembra si eccitino e si animino solo quando vedono il sangue.

Ovviamente non ti voglio passare la palla o lavarmene le mani dando a te il peso di fare qualcosa. la responsabilità di quello che accade su un territorio spetta sempre principalmente e soprattutto agli individui che ci abitano. Ma conforta, credimi, sapere che ci sono persone come te sicuramente sensibili all’argomento con i quali scambiare qualche parola, qualche idea, senza sembrare marziani“.

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Grazie lo dico io. A lui.

Lui si chiama Antonio Picascia, casertano. La camorra gli ha incendiato l’azienda all’indomani di un convegno dove aveva parlato insieme a Cantone. Ed è il mio eroe per tutto agosto (almeno…). Io eleggo sempre un eroe della settimana, a cui penso, a cui mi ispiro, ma questo signore lo eleggo eroe per un mese. Per un numero enorme di ragioni, soprattutto tre:

La prima è che mentre parla alla telecamera la sua espressione tradisce un vago sorriso, un’espressione dolce ma incrollabile. I suoi occhi sono determinati fino a far venire un brivido lungo la schiena. La sua voce è calma, salda, ferma. Ha già denunciato estorsori e camorristi nel 1997, dunque sa esattamente ciò di cui parla, non è un ingenuo. Ma la sua espressione vagamente serena, nonostante l’accaduto, ha un grande significato. Quando vedi qualcuno con quella espressione è meglio che ti metti dalla sua parte, altrimenti sei spacciato. E in questa epoca di decadenza abbiamo un enorme, spasmodico bisogno di gente dura, che sorride.

La seconda è che l’intervista all’indomani di un rogo che ha distrutto la sua azienda, lui la inizia dicendo tre volte “Io sono felice…”. Se tenti di fare un danno a un uomo e invece lo rendi felice, devi portargli rispetto. Il rispetto che si deve a chi è più forte di te. E in questa epoca abbiamo un urgente bisogno non di parlare di felicità in modo inconcludente, ma di persone forti felici, che non ti insegnano niente. Lo fanno.

La terza è verso la fine dell’intervista, quando lui dice “A questi scarafaggi li dobbiamo ringraziare… perché faremo un’azienda più bella di prima”. Ecco fatto. Perfino grazie vuole dire a chi gli ha bruciato il laboratorio. Un grazie sentito, vero, profondo, quasi neppure ironico o polemico. Nessun ammiccamento. E’ davvero così: grazie, faremo meglio di prima. E in questa epoca abbiamo urgente necessità di gente che al danno risponde così, con un grazie che mette paura.

Ecco. Amo la gente che non molla, che non si lamenta, che non dice un mucchio di stupidaggini e se stesso e agli altri, che non aspetta niente da nessuno. Amo la gente forte, salda, che lotta contro l’arroganza e il malaffare, ma lo fa stando anche bene, soffrendo, patendo, senza mentirsi, ma poi cogliendo il senso profondo della sua azione. Dunque niente fregnacce pseudoamericane o filorientali sulla felicità, ma solo energia spirituale, forza, tensione morale, e onestà. Che bello. Grazie lo dico io. A lui.

#unuomotemporaneo

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