L’opera critica

Sotto rotta, ma resistendo…

Il marinaio non può accettare la deriva. La deve conoscere, misurare, fare ogni cosa per ingannarla, correggerla. È, come diremmo in sede letteraria, critico verso di essa. La deriva è la spinta laterale, o comunque il perturbante della rotta, che “deriva”, appunto, dal flusso dell’acqua, dalla corrente. È dove l’acqua va, dunque dove andrebbe anche lui, sopra alla sua barca-vita, se non governasse. Per questo deve contrastarla, tranne il raro caso in cui coincida con la sua prua, cioè praticamente mai.

Se c’è una cosa che il marinaio sa, è che non deve lasciare in bando le vele, né abbandonare mai il timone. Ciò che lo porterà al sicuro, al termine del suo viaggio per mare, deriva soprattutto da quello, unitamente al calcolo di ogni agente deviante. Ogni cedimento alla corrente, ogni rilassamento nel contrasto alle forze agenti del vento e del mare, ogni sottovalutazione dei fuori rotta e delle loro cause, a meno che non sia voluto, lo pagherà con ore, miglia, e patimento. O con un atterraggio sbagliato, dove non voleva arrivare.

Utile prestito concettuale dalla marineria alle nostre vite. La corrente del mare, la direzione dove tutto viene spinto senza governo, la conosciamo. La nostra direzione, invece? Si spera anche quella… Possiamo dunque assumerci la responsabilità di condurre la nostra prua o di lasciarci trasportare dovunque. Tutto, tranne una barca sotto rotta e timone, segue quella corrente: tronchi, particelle d’acqua, alghe, relitti, e in larga misura pesci e migrazioni. È facile, basta smettere l’atteggiamento critico (dal greco κρίvω: distinguo), dare per buono quel che avviene, non escogitare, ad arte, alcuna contromisura, sedersi, lasciarsi portare, senza fare alcuna differenza. La scelta di navigare è una continua, minuziosa, caparbia opera critica, un eterno distinguo tra ciò che avverrebbe naturalmente e ciò che occorre far capitare. Un imperituro, voluto, divertito contrasto alle forze di massa. Marinai, dunque. O naufraghi. Una scelta.

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