Dire

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Parole, porte attraversabili dai fatti. Ma, comunque, porte.

Perché non dire le cose? Come anche perché dirle… Che accade a dire? Che accade a non dire lo sappiamo già. E quali cose? Quelle, quelle lì….

Le parole sono conseguenza delle cose, così si dice, ed è vero. Eppure anche le cose sono conseguenza delle parole. Quelle dette implicano fatti a suffragio, quelle non dette non impongono azioni particolari, almeno se si è disposti a mentire a se stessi. Forse il punto è proprio questo: dire significa anche ascoltarsi mentre si dice. Il che rende più difficile mentirsi. Finché non dico qualcosa posso fare finta che non ci sia, anche se quella cosa che dovrei dire c’è, solo che agisce dentro. “E’ un periodo che mi sento un po’ giù”. Beh, è il minimo che possa accadere.

Dire per assumere responsabilità, dunque. Dire quelle cose lì, a sé per primi, alzando la fronte mentre le si pronuncia, come fosse una promessa. Dire all’altro, poi, per comunicare a un testimone ciò che ci stiamo promettendo. E anche per trovare un compagno di equipaggio, dando per assunto che ascolti e sottoscriva. Dire, dunque, anche per selezionare. Ed ecco (presumo) perché non diciamo: per paura che chi ci ascolta risponda. A volte, negativamente. Meglio un no esplicito, tuttavia, che un sì mai pronunciato. Attenzione: il silenzio a ciò che non diciamo non vale affatto un assenso.

Dichiarare, pronunciare, chiedere, affermare, intimare, proclamare, descrivere, progettare, esporsi, assentire, dissentire, raccontare, illustrare, promettere, ribadire, specificare, dettagliare, rispondere, perché non ci siano troppi dubbi, perché sia possibile dirci “anch’io!”, perché il tentativo almeno dell’intenzione, gemella della volontà, non abbia a generare rimpianto, fratello bastardo e cattivo del rimorso. Che non sarà un fior di ragazzo, ma almeno ci ha provato.

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