Coincidenze…

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Tra poche ore per me… tra pochi giorni per voi.

In treno. Tre ore e avrò tra le mani “l’oggetto Rais”. Un romanzo esiste da anni, concreto più di un mattone, di un palazzo. Potresti toccarlo, anche se non c’è, non ha alcuna dimensione fisica. Fino a un certo giorno, in cui tutto diventa una “cosa” di carta, cartoncino, inchiostro, dotata di volume, peso. Curioso che sia oggi: l’anniversario.

524 anni fa, oggi, Lui scorgeva una piccola luce: “como una candelilla che se levava y se adelantaba”. Fu il solo a vederla, verso le due di notte, e gli equipaggi pensarono che fosse impazzito. Navigavano da settimane, mesi se si considera la partenza da Palos. Eppure aveva ragione. Poco prima dell’alba il profilo azzurrino di un’isola illuminata dalla luna fece la sua magica apparizione di fronte a tutti.

Sapeva bene tutto, Lui. Che non si trattasse delle Indie dove era arrivato Marco Polo via terra, ad esempio, e perfino come erano fatte quelle terre. Come faceva a sapere? Sapeva bene tutto anche Piri Rais, che dopo qualche anno disegnò il mondo senza muoversi da Gelibolu, nei Dardanelli. Sapeva molto anche Andrea Doria, nonostante ufficialmente non fosse a conoscenza di niente. L’unico che non sapeva era Dragut Rais, condannato a subire, come tutti gli appestati del cuore, nonostante fosse l’unico che tutti dovevano subire. Cercò di comprendere la vita e di salvarsi, nel modo peggiore, come facciamo noi ancora oggi: incendiando il mondo, distruggendo i ponti, squarciando le vene e le menti. Forse l’unica a capire ogni cosa, per paradosso, è Lei, una schiava col nome di un vento, reclusa su un’isola, l’unico essere della storia capace di intuire

Sorrido mentre tutti questi personaggi mi aleggiano intorno… Fuori dal finestrino sfreccia la Toscana dei Medici. Ho sorriso anche ieri, di fronte alla tv, perché ho visto che sta per partire un serial sulla grande famiglia, negli anni in cui nasce il mio protagonista. E anche poco fa, quando sul giornale ho letto che Ildefonso Falcones, scrittore di bestseller, è appena uscito con un romanzo ambientato ai tempi di Dragut, dove un ragazzo tenta di emergere attraverso le rigide divisioni tra classi nell’occidente di fine ‘400. Proprio la storia del piccolo Dragut, appunto. Sorrido. Oggi, 12 ottobre, mentre io vedrò la mia, Colombo vedeva la sua meta

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Da un articolo di Ferrari. Grazie Antonio per questa lusinghiera definizione…

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Chi può far tremare il Rais!? Un portone…

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Dance

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Vietato ballare

Ognuno la canticchia, senza sapere il motivo, o la suona, senza conoscere gli accordi, per renderla commestibile, digeribile, ogni mattina, ogni mattina, ogni mattina, sempre, sempre, ma a masticare non è sempre la stessa bocca, non digerisce sempre lo stesso stomaco, dunque cambiare cibo per sfamare tutti gli uomini affamati d’altro non riesce, questa, appunto, è la vita (questo lo capiscono in pochi), perché la stessa pietanza non va, non può andare, neppure la migliore (questo lo capiscono in pochissimi), e tu che ci hai fatto fede tremi perché sai, per certo, che cambierà ancora, e ancora, e puoi o illuderti (ingenuo…) o temere (pusillanime) ma per sempre, la realtà è quella, tu volevi che fosse semplice, ma non lo è, puoi fare finta, ma non ci riesci che talvolta, puoi anche battere i piedi ma tanto è così, perché siamo esseri antitetici e se siamo bravi, ma bravi veramente, impariamo solo a danzare in bilico sul paradosso, sulla contraddizione (che è tale fino a che non la vivi, poi diventa ricchezza), senza occultarla, senza farle generare sotterfugi, senza che ci zavorri nell’abisso delle identità negate, ma dandole aria, acqua, ferro, fuoco, patendola, perché no, ma a viso aperto, il tempo della vita è corto, forse, proprio per questo: impararla, questa danza, renderebbe santo il pirata, e pirata il santo, e questo somiglierebbe troppo, troppo, troppo… a Dio.

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Intorno

 

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Ho la certezza, rileggendo questa frase di Rais, che per tutto il tempo in cui ho navigato con il tragico pirata Dragut e i suoi scherani, per gli anni di convivenza con la misteriosa e unica Bora, desiderata da due uomini, salvati forse inconsapevolmente dal suo immenso amore, per i giorni e i giorni trascorsi a dipanare il filo ritorto della trama di spionaggio che ho tessuto sulla scia di una mappa maledetta, per i mesi di domande sulla vita di questi marinai, sul languore delle loro lontananze, sull’impossibile loro amplesso con la vita agra e la morte amica… ecco, per tutto questo tempo, e forse per tutto il tempo di questi decenni di scrittura, romanzi, saggi, articoli, racconti… non ho fatto che guardare intorno a me, cinquecento anni dopo i fatti descritti in Rais, pensando le mie domande, immaginando le vostre, osservando la mia rotta, di conserva a quella di tutte le barche, sporto dalla delfiniera della mia vita, come voi della vostra.

Ciò di cui parla un romanzo, qualunque sia lo scenario, qualunque sia l’epoca, chiunque sia il protagonista, se c’è almeno un filo di onestà a cucire le righe che l’autore traccia a una a una, è sempre la stessa storia… comprensibile o incomprensibile, esaustiva o parziale, definitiva o transitoria. A seconda di chi legge.

Come in questa citazione, ad esempio. “Vedere” ciò che si è, oppure no, ciechi a ogni equilibrio

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Pro mozione

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Muovere verso, cioè dire a qualcuno qualcosa che lo faccia trasalire dal torpore, dalle distrazioni, dall’inerzia, per condurlo, cum ducere, portare insieme, verso un luogo dove prenderà in mano un libro, avendo costui una buona ragione per farlo, evidentemente, perché oggi, altrimenti, chi mai si alzerebbe, prenderebbe il motorino, o l’automobile, per recarsi in un posto, parcheggiare, entrare in una libreria (una libreria!!), cercando un volume (un oggetto fisico!!), con pagine stampate, per aprirlo, verificare che dica qualcosa di interessante, cercando tra le righe fitte un’idea, un pensiero che lo riguardi?

Pro muovere, spingere verso, orientare a favore di qualcosa, dandogli un motivo, una ragione, la maledetta ragione che cerchiamo sempre, che non troviamo mai, per fare qualcosa, come se quella ragione potesse venire da fuori, le ragioni sono dentro, la motivazione è insita, incastonata, ma forse con una parola, una frase, la possiamo attivare, innescare, tanto che avvenga un movimento fisico, dunque pro muovere significa generare un movimento fisico, quello di alzarsi e andare verso qualcosa, ma qualcosa cosa? se stessi, suppongo, ma per andare laggiù, dove risiediamo già, non dovrebbe servire alcun movimento fisico, almeno credo, io per esempio per scrivere un romanzo non mi muovo, almeno dopo aver cercato, studiato, poi sto fermo, pro mosso da solo, cum dotto da me, immobile.

Dunque pro muovere deve essere un’azione che genera una ri sonanza, un suonare nuovamente, come l’ultima volta, quando fu che risuonò qualcosa? chi lo sa, ma ri suonare, oggi, è pro muovere, cioè far vibrare una volta ancora, che vuol dire che senza questa pro mozione quella corda non sta vibrando, è ferma, perché è ferma? cosa le impedisce di suonare, ad alta frequenza, non è tesa? non è in accordo? perché? ad ogni modo batterla, darle un colpo, perché generi onde, ecco, le onde, ce ne sono tante tra le pagine, onde che travolgono e risparmiano, picchiano sulla murata del cuore o della mente, onde che coprono tutto, scafi, amicizie, amori, vite, e passano, tanto che dopo non c’è più nulla, coperto, reso nuovamente invisibile, fermo, dove c’era vita, morte, dove c’era morte vita, e dopo tutto quel frastuono, una chiazza di schiuma bianca, una pagina di mare che si è staccata, sfogliata, piegata, rivoltata, abbattuta, ed è finita.

(tre letture, fin qui. Eccole: una, due, tre)

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Nulla come questo

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Lo studio della copertina è iniziato così: da un mio schizzo fatto mentre navigavo, fotografato col telefono e inviato a Segrate

Ho scritto questo romanzo disattendendo quasi tutte le regole dell’editoria di questa epoca, e del buon senso.

E’ lungo; ha quattro voci diverse che raccontano i fatti da altrettante diverse angolazioni; è una storia “in costume”, ambientata nel ‘500; è pieno di personaggi; uso registri stilistici diversi; una delle voci è un flusso senza punti, in cui il lettore deve trovare la sua “musica”; il titolo è enigmatico, non spiega nulla di noto; è un romanzo letterario, di quelli che invece di andare verso ciò che il lettore sa già lo chiamano verso lo spazio ignoto che lui ignora; scrivo tutto, senza veli, sbatto in faccia al lettore i suoi vizi, le sue paure, le sue meschinità, le sue ipocrisie.

Nella narrativa contemporanea si sta molto attenti a non farli, questi errori. Un libro lungo costa di carta e stampa, dunque ha un prezzo più alto, e poi i lettori si spaventano per la mole. I tanti personaggi disorientano, le storie in costume vengono avvertite come troppo lontane. Per farne un film servirebbero troppi soldi, nessuna produzione sosterrebbe uno sforzo simile.

Non so se lo avete notato, ma la narrativa di oggi, per larga parte, fa di tutto per ingraziarsi il lettore. Gli va incontro sorridendo, lo segue nei suoi ambienti conosciuti, gli parla con la sua lingua, lo fa riconoscere nelle sue più ovvie aspirazioni, lo blandisce con i luoghi più comuni, usa marche e oggetti a lui familiari, come per farlo sentire a casa, lo aiuta con frasi corte, come fosse un minorato mentale, capitoli brevi, poche pagine in totale, storie esilissime, molti dialoghi. Trovo questa pratica, quando fatta ad arte, la fine di ogni opera intellettuale e di scrittura letteraria.

Per questo, terminando questo mio nuovo romanzo, sono molto orgoglioso della libertà e del coraggio che è costato. A me e al mio editore.

Ma c’è dell’altro.

Alcuni miei libri, negli ultimi dieci anni, hanno avuto successo. Quel che dovevo e potevo fare per cavalcare il favore del pubblico lo so bene io, come possono intuirlo tutti, anche i non addetti ai lavori. E’ quello che si fa comunemente, preferendo scrivere ciò che “si deve” rispetto a ciò che “si vuole”.

Tuttavia, ho capovolto la mia vita per cosa? Per essere libero, il più autentico e libero possibile. E allora? Non potevo seguire il faro dell’opportunità. Sarebbe stato un calcio sugli stinchi della mia storia.

Mi sono messo a studiare senza contratto con alcun editore, senza tempo stabilito, senza alcuna garanzia o scadenza. Poi mi sono accinto a scrivere senza neppure sapere se qualcuno avrebbe mai pubblicato il frutto di questa enorme impresa. Mi sono goduto il tempo dello studio e della scrittura senza vincoli, libero di assecondare la mia emozione verso la storia e i suoi personaggi. E fatalmente, a riprova che il nostro destino non ci indica mai la strada ma lo incontriamo lungo la via giusta dopo averla già intrapresa, un editore ispirato, illuminato e coraggioso si è innamorato dell’idea e mi ha sostenuto.

Ecco perché sono molto felice di aver concluso questo lavoro, proprio poco fa. E’ costato anni di studi e di impegno, compiuti alla luce della grande gioia della libertà e della creatività. Nulla come questo romanzo mi identifica e mi rappresenta. Nulla di ciò che ho scritto fin qui. Qualcuno che lo ha letto mi ha detto: “un romanzo così non lo scriverai mai più”.

Cercare ciò che ha senso, perseguirlo con cura, con la determinazione delle scelte impopolari e non opportune, ma vere e sentite, credo sia la maggiore garanzia che si può offrire a un lettore. Potrà amare o odiare quello che scriviamo, ma sarà certo che nessuno lo avrà preso in giro.

(- 17 all’uscita di #Rais)

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Co(o)pertina

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A partire da oggi
per due settimane potete aiutarci a scegliere la copertina di RAIS, il mio nuovo
romanzo, da ottobre in libreria.

Votate, basta andare su questo link di facebook e mettere un “mi piace” sulla copertina che preferite. Se poi volete condividerlo, aumentiamo la base dei votanti.

Se volete, prima, guardate il video sul romanzo e anche il video  su questo sondaggio.

Ciao, grazie. Simone

 

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