Dovremmo congratularci col nostro lavoro

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La baia di Skopelos dove sto scrivendo…

Quello che accade, è già accaduto. Facciamo sempre l’errore di confonderlo con ciò che si manifesta, quando si palesa, che a sua volta (a ben vedere) si è già mostrato anche lui. Mi stupisce sempre quando qualcuno esclama: “è stata una cosa improvvisa, mi ha colto di sorpresa!”. Diamo agli eventi il valore quasi magico di accadere così, ex abrupto, come fossero animati da vita propria, o avvenissero per cause esterne a noi, o peggio ancora, li subissimo supinamente, senza averli in realtà generati, a volte con perizia e pazienza.

Noi speriamo intimamente, agiamo silenziosamente (piccoli navy-seals del nostro destino), scegliamo parole, momenti, facciamo espressioni del viso, restiamo silenziosi quando sappiamo che è necessario… tutto purché si avveri, si realizzi, quello che deve, che inconsciamente, o consapevolmente, sappiamo che deve accadere per come siamo, per quelli che siamo, per dove vogliamo condurre il nostro destino. Che infatti (l’uomo è un animale molto capace), si compie.

Andiamo quando è giusto andare. Stiamo quando è giusto restare. Se non amiamo, è per il nostro disamore, se lo facciamo è per il nostro cuore. Quando la vita si compie in uno dei suoi passi, quando il film della nostra storia aggiunge l’ennesimo episodio, tendiamo a sorprenderci, o a rifiutare, ciò che abbiamo a lungo voluto, cercato, costruito. Eccola la nostra falsa coscienza. Dovremmo congratularci col nostro lavoro, molto ben fatto, che infatti ha scaturito l’effetto inevitabile previsto. Invece preferiamo dolerci, invochiamo compassione, chiediamo aiuto, lanciamo invettive ad altri (che abbiamo usato per i nostri scopi) e ci sentiamo vittime di sfortuna e angherie. Eccolo, è iniziato, con quei lamenti, un nuovo lavoro, un nuovo progetto, che si compirà un giorno, prima o dopo. E noi, anche quel giorno, sosterremo di essere stati danneggiati. Volevamo tutt’altro. L’opposto. Infatti, siamo innocenti.

 

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