Un’Altra Vita (reloaded)

Una delle scene del programma

Quando il tempo passa, le cose di solito invecchiano. Una foto che ci piaceva tanto, un video di cui eravamo fieri, a volte perfino un romanzo scritto con orgoglio, li rivedi, li rileggi, e li trovi datati, stanchi, non più così brillanti come ti erano rimasti in mente. A volte dispiace, ma è un bene. Vuol dire che siamo andati avanti, che il mondo è cambiato, si è evoluto.

Qualche giorno fa ho rivisto tutte le puntate di Un’Altra Vita, il programma che ho scritto con Nicola Alvau e condotto su Rai5 nel 2012, 6 anni fa. Anna Maria Fiore, un’ascoltatrice di quel programma, le aveva registrate e le ha caricate su Youtube. Finalmente! Una gioia immensa per me, visto che la Rai le aveva inopinatamente tolte dal sito e non se ne trovava più una copia. Già un amico me le aveva date, su cd, ma solo 5 su 6. Ora ci sono nuovamente tutte, anche qui sul sito.

Con mia enorme sorpresa, quel programma non è affatto invecchiato. Anzi, sembra realizzato oggi. I temi, l’approccio, i riferimenti, sono ancora freschi, attuali, validissimi. Parlavo in ogni puntata di un aspetto connesso al cambiamento di vita. Gli stessi di cui parlerei oggi se mi interpellassero sul tema: sogno, coraggio, paura, solitudine, manualità, denaro. Anche le possibili reazioni di fronte a questi argomenti, direi, sono le stesse. Purtroppo

La sempiterna “validità” di un contributo culturale, che potrebbe inorgoglire erroneamente l’autore, temo tuttavia che non sia una buona notizia. Il fatto è che siamo ancora (e sempre più) messi così…

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Il salto

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Questa faccenda dell’asticella mi ricordo di averla pensata un giorno di grecale teso e buono…

Qualcuno, rassicurato, vede nella mia inquietudine la prova che cambiare vita è impossibile, o almeno rischioso e potenzialmente dannoso. Una chimera che porta alla distruzione. Era molto preoccupato che vi fosse una possibilità, e ogni volta che gioisco, da anni, delle mie conquiste di libertà, patisce, oppure prova a smontarle, fino ad accusarmi di falsa coscienza, falsa testimonianza, ed ogni altro abominevole peccato di cui viene da sempre tacciato chi propone (e vive!) un’idea diversa dal conformismo che schiaccia ma anche, tanto, protegge. Se c’è una possibilità di fuga dal carcere, infatti, la popolazione carceraria si divide sempre in due: una minoranza spera e si adopera per tentare la sua evasione. La maggioranza invece soffre dovendo constatare che ha due vie di fronte: tentare, faticando e rischiando, oppure ammettere che potrebbe ma non ci prova, dunque che di fatto non ha a cuore la libertà come diceva, come giurava. E stare in carcere senza potersi più lamentare della mancata liberazione equivale a morire.

Chi strumentalizza, in questo modo, i disagi della vita, le complessità, le inevitabili sconfitte e i timori ineludibili, dimentica che l’inquietudine non è la mia, ma è dell’uomo. La differenza sta solo in un fatto: gli uomini liberi se la concedono, ci giocano tra le dita, prevalgono o ne escono sconfitti, ma consapevolmente, vivendo la reale natura delle cose. Gli altri invece la negano, drogandosi nei modi più adatti alla bisogna (lavoro, routine, consumo, farmaci, droghe, falsi movimenti…), fingendo che vada bene come va. Del resto, per chi ha problemi col coraggio e con la libertà, è sempre meglio una buona bugia che una cattiva verità.

Mi sono convinto che si tratti di una questione di ambizione. L’asticella cade se tenti di superarla col tuo miglior balzo, ma il fatto che cada è sia prova del fallimento del salto sia prova della meraviglia di aver tentato. Una vita da sportivi restando alla base di quella rampa, immobili, a guardare un’asticella che non cade solo perché mai un balzo verrà tentato, è per molti una rassicurazione. Per un saltatore in alto è il totem della sconfitta. Il punto di quell’asticella, naturalmente, non è superarla (anche se questo ha un suo grande senso) ma il salto. Ma se la questione maggiore risiede nel salto, solo chi non stacca la sua ombra da terra è fallito. Chi supera o non supera l’asticella, ce l’ha fatta.

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Audio-clip

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Un lettore. A bordo della sua barca. Con Gregorio…

Ecco per voi una breve audio-clip. La terza.
Un brano a settimana dal mio ultimo romanzo, Un uomo temporaneo (Frassinelli), letto dall’autore, cioè da me medesimo.

Perché, forse, nessuno come l’autore sa quale sia la musica di un testo. Ma soprattutto perché ascoltare è gesto rivoluzionario, in questa epoca di (non) vedenti.

Ogni cosa è immagine, spesso veloce, incalzante. Ma qui, come dice la polizia sulla scena del crimine, non c’è niente da vedere. Semmai, da immaginare.

Niente come le parole di una storia possono suscitare immaginazione.
Aguzzate le orecchie. Provate a sentire.

Buon ascolto.

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Esce (oggi)

Esce oggi Un Uomo Temporaneo (Frassinelli)

Dedico questo romanzo alle vittime del mobbing, dei ricatti sul lavoro, agli esodati, ai licenziati, ai disoccupati, ai precari.

Dedico questo romanzo ai male impiegati, ai sottostimati, ai sottoutilizzati, e agli sfruttati, costretti a fare il lavoro di due persone o a chi percepisce la metà di quello che merita.

Dedico questo romanzo a chi è costretto a subire soprusi sul lavoro, discriminazioni di provenienza, di razza o di genere, o a chi semplicemente è costretto a convivere con l’arroganza del potere, della gerarchia e dell’ignoranza.

Dedico questo romanzo a chi svolge lavori inutili, a chi partecipa alla produzione di prodotti inutili, che servono solo a gonfiare la faretra del consumismo, e a chi lavora su prodotti nocivi, a volte letali… perché dovrebbero smettere di farlo, e dovrebbero smettere adesso.

Dedico questo lavoro a tutti noi, che dovremmo fare molto di più, comportarci in modo diverso, verso un’altra direzione, perché se le regole del gioco non possono più essere cambiate, possiamo e dobbiamo cambiare il gioco.

 

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Mani…

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Movimenti…

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Easy Bar. Giorni fa…

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Isola dell’anima

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On the road…

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