Esiste. Sta lì…

Quasi tutto ciò che frena la nostra vita risiede essenzialmente nel limite che noi diamo a essa. E non in sede teorica, ma partendo proprio da noi, da chi siamo, da quali sono i confini definiti dal nostro perimetro esistenziale.

Dunque noi non “diventiamo” per due ragioni, entrambe dirimenti:
la prima è che non conosciamo quei confini, cioè non abbiamo cognizione (consapevolezza) dell’estensione e del termine delle nostre facoltà;

la seconda è che, comunque, non consentiamo a ciò che ci riguarderebbe di avvenire, cioè lo amputiamo.

Sono convinto che entrambi i fattori siano sotto la nostra responsabilità, perché dipendono uno dalla mancanza di un percorso di conoscenza di sé, che impedisce l’investigazione del perimetro…. E l’altro dalla disabitudine/incapacità di immaginazione, e dunque di ambizione.

Ma il mondo possibile a cui avremmo accesso in assenza di questi due limiti c’è. Sta lì. Solo che noi non lo concepiamo, dunque non lo cerchiamo.

(NB. Per gli amanti della Meccanica Quantistica, quanto sostengo qui sopra (e racconto ne “Il Quoziente Umano“) è analogo alla “Teoria delle Variabili Nascoste” elaborata dal fisico americano David Bohm (letta e conosciuta dopo aver scritto il mio romanzo. Cosa abbastanza inquietante…).
La sua teoria è semplice (almeno per come la spiega Carlo Rovelli): la funzione d’onda ψ esiste, ma esiste anche l’elettrone fisico, il quale ha sempre una posizione ben definita. Se l’onda ψ segue l’equazione di Shrödinger, l’elettrone si muove invece nello spazio reale, dunque l’interferenza quantistica è dovuta all’onda ψ ma l’oggetto fisico è sempre in una sola posizione: il gatto del noto paradosso di Shrödinger è vivo oppure è morto, non entrambe le cose contemporaneamente. E tuttavia, se il gatto è in un solo stato, nell’altro stato c’è una parte dell’onda ψ che produce interferenza.
Esisterebbe dunque, anche sotto il profilo della fisica quantistica, un universo parallelo inosservabile, e che forse non è solo il prodotto della nostra angoscia di fronte all’indeterminatezza).

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Limitare il limite

poco fa…

Stamattina, prima dell’alba, bevendo un caffè sotto la volta che diventava luce, ancora immerso nei rumori del bosco di notte, mi è apparso chiaro, come mai prima, che dobbiamo limitarci. Quel modo, quelle parole, quelle reazioni, ciò che facciamo ritualmente di fronte a quelle circostanze, sono la nostra separazione dal mondo. Oltre, non sappiamo com’è, non ci siamo mai andati. Quella frase, quella nostra espressione, sempre identica, ce lo ha impedito. Dei nostri destini possibili (i destini diversi da quello che si ripete da sempre per noi!), non sapremo mai nulla, se continuiamo così.

Uomini e donne diverse, mai ci si avvicineranno, mai innescheranno diverse alchimie. Per quei nostri tempi, per quelle nostre abitudini, ci capiteranno sempre le stesse solitudini, riceveremo sempre gli stessi premi. Per quel modo che abbiamo, al mattino, o alla sera, in certe circostanze, di favorire o interrompere, di sprecare o raccogliere, non potremo che ripeterci, ritrovarci seduti piangenti nello stesso deserto, o sorridenti a ballare incessantemente nello stesso gremito quartiere. Se ci interessa conoscere l’altra parte del mondo, quella che ci siamo sempre negati, occorre spostare quel confine, limitare quel limite, arginare quell’argine. Per far scorrere quel fiume nelle nostre aride pianure, dobbiamo mettere una diga a quella diga, smontarla con la stessa minuziosa metodica con cui l’abbiamo eretta.

L’esercizio di oggi è dunque la compilazione dell’elenco. L’indice delle voci che sostengono la ritualità, i passi fondanti della liturgia che ripetiamo come parroci della stessa bigotta diocesi, ogni giorno, al cospetto dello stesso sparuto gregge di beghine sparse nello stesso modo lungo la solita navata sedute ai banchi da cui pregano la stessa identica vuota preghiera, illuminate dalle stesse quotidiane candele prese in cambio della stessa offerta. E poi lavorare a come limitare quella ripetizione, per non doverci trovare identici domani, artigiani dell’unico destino che sappiamo scaturire, poco o tanto che sia, bello o brutto che sia, soddisfacente o meno, di cui ci lamentiamo perfino, talvolta, o che benediciamo, perché il viaggiatore possa dire di aver conosciuto davvero cos’era la vita, senza scambiarla per il piccolo giardino, l’asfittico cortile in cui, perfino, essersi convinto di stare esplorando, di stare conoscendo, di essere liberi.

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Nel proprio

Da “Solo intorno al mondo”, Joshua Slocum, Mursia. Pag.186,

Giornata di grande intensità, studiando il mare, le correnti, i venti e i luoghi d’ormeggio della rotta che mi aspetta a breve, lungo le coste del Libano e di Israele, per l’Egeo e lo ionio, a bordo di Mediterranea, e poi, come ogni giorno da ottobre, lavorando allo splendido libro sulle isole che sto scrivendo per Bompiani, che uscirà a ottobre. Fin dall’alba sentivo che avevo voglia, bisogno direi, di riprendere passi amati di navigazione e di vita. Nei giorni precedenti sono stato rapito da molte cose, e mi ero molto distratto, sentivo il bisogno di rientrare in me e nel mio mondo interiore. Non si può consultare una carta senza ispirazione, del resto. La geografia non è interessante per uno scrittore marinaio, che si occupa solo di Geosofia. Com’era naturale, mi sono trovato dopo poco a rileggere le avventure del primo giro del mondo del Comandante Slocum. Quando cerco di spiegare che i libri di Moitessier sono illeggibili e brutti, e che traggono meraviglia solo dalle avventure e dalla natura dell’uomo straordinario e affascinante che li ha scritti, tutti i “velisti” si indignano. Mai toccare i miti di qualcuno! Ma basta prendere in mano Solo intorno al mondo per capire cosa intendo. Scritto magistralmente, ispirato, pieno di misurato slancio, dignitoso, sempre con l’uomo al centro, perfino rispetto alla sua barca e al mare, con passi memorabili, da sottolineare continuamente.

Tra quelli che amo di più ce n’è uno, nelle pagine finali, di cui posto sopra la foto. E una riga, soprattutto: “È cosa buona trovare la propria strada verso terre già scoperte”. Ieri l’altro avevo scritto (e poi perduto il post) del fatto che non amo i record, le asticelle, ed ecco qui subito uno spunto su quella falsariga, scritto da un uomo che pure fece per primo qualcosa che mai era stato fatto, ma senza alcun senso del primato. Non era per essere il primo a circumnavigare il globo che salpò, mai in una riga fa riferimento a questo, nel suo libro, dove pure sarebbe stato legittimo che vi accennasse. Tant’è che rimane Slocum anche dopo che il suo “record” è stato battuto da mille imprese, di cui però io non ricordo nulla, né nomi né citazioni. Il suo viaggio, come quello del Liberdade, avrebbe potuto essere d’altra natura, o interrompersi alle Chagos, o nello Stretto di Magellano, non sarebbe cambiato nulla per lui, né per noi che leggiamo. Chi non cerca cose inadatte a sé o in modi inadeguati a sé, non è mai inetto. Chi non cerca nuovi continenti, per il gusto di essere il Primo, scopre molto di più.

E poi qualcos’altro, che ha molto a che fare col viaggio di Mediterranea: l’ultima riga del brano nella foto. La dignità di non aver dovuto pagare nessuno, ingraziarsi, chiedere, pregare, solo pensando a portare “a compimento” (non “a termine”) ciò che ci si era prefissi. Degna chiosa a quel “diritto a una propria opinione in faccende riguardanti il mare” di cui scrive nelle prime pagine. Anche noi, non abbiamo sponsor, non chiediamo niente, facciamo la nostra rotta con le nostre vele, e se qualcuno ci ha aiutati nel momento del bisogno ogni giorno ce ne ricordiamo, potevano non farlo, e non erano sovrani o politici, ma gente che ci seguiva. Quelli di cui amo leggere sono gli uomini liberi, ma liberi davvero, anche dai simboli, anche dal desiderio di superare se stessi, che godono di ciò che fanno, nel modo appropriato, con rispetto, potendoselo consentire. Che bell’insegnamento. Quando le giornate iniziano nel proprio, in compagnia delle parole care, degli uomini che compongono il nostro Parnaso esistenziale, studiando, leggendo, scrivendo e sentendo come è giusto che faccia un uomo come me, tutto, allora, diventa possibile. Anche le cose che costano di più.

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