Isole…

La redazione. Carlo d’amicis, giornalista e fine scrittore, in primo piano a sinistra.

Ieri, a Fahrenheit-Radio Tre. Un’isola. L’oasi radiofonica della Rai, dove un autore si sente per una volta almeno a casa, dove si può parlare senza l’assillo dell’assurda fretta, la malattia mediatica di questa epoca sciatta, ignorante, distratta. Una parentesi nel tempo e nello spazio dove si raccontano storie che lì, quasi solo lì purtroppo, hanno piena cittadinanza. Non le storie dei giornali, non le storie delle serie tv, ma le storie eterne, profonde, ineguagliabili, inconcluse, simboliche in cui la nostra vita sublima, si compie.
La nostra “riserva indiana”. Noi che nel Mediterraneo un tempo vivevamo di queste storie… e chi le raccontava, chi le creava, chi le amava, era Re…
 
Ieri, a Fahrenheit, ho parlato di “Atlante delle isole del Mediterraneo” (Bompiani), l’ultimo nato. Ecco il podcast. Buon ascolto: Fahrenheit – Atlante delle isole del Mediterraneo – Simone Perotti
(splendide le nostre voci sfumare, al termine, su quella affascinante, melliflua, evanescente di Meg, una ninfa del Mediterraneo…)
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Potrebbe, dovrebbe…

Mediterranea naviga per la Georgia

Qualcosa ha visto, per certo.

Sul ponte. SoloIl floscio tonfo del capo di cima che piomba in acqua. Il gorgoglio della prima scia. Le montagne dell’interno illuminate dal sole dell’alba. Poco prima il calcolo del vento, come staccare il pachiderma dal molo, un uomo, l’intelletto antico del marinaio, nonni e bisnonni, una vita per mare. Poi è bastato un gesto, la fede in una traiettoria capace di battere le forze avverse, e via. L’avamporto, il capo di molo, la lunga onda ormai innocua. Sguardo all’orizzonte, prima, senza preoccupazione, poi alla mappa, già trascorsa da righe. Il sentimento d’appartenenza che dà riconoscere una costa, sapere che si è a sud, e di quale nord. La prua, orientata dove c’è il ritorno. Sul ponte, solo. Il marinaio è già stato lì.

Chi è stato in mare dovrebbe essere sempre accolto. Ha maneggiato a lungo l’inesplicabile, lo ha sentito, chissà se capito. Sul ponte, da solo, qualcosa ha visto, per certo. Qualunque cosa dica, faccia, bisogna comprenderlo, tener conto che è stato laggiù, dove quasi tutto il mondo ha paura di andare. Quando torna non sa dire, ma potrebbe, dovrebbe, e non capirlo è come rinunciare a sé. Il vero ritorno, quando il marinaio sbarca, è per chi lo aspetta, per chi finalmente si ritrova. Lui, laggiù, sospeso sull’abisso, su quel ponte, solo, non era mai partito.

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Aneto e gamberi rosa

Isole Tremiti-20140520-01957

Genoa, trinchetta e randa di maestra

Stamani, sul presto, ho guardato la marina di Pasalimani, Pireo, e per la prima volta l’ho vista donna che sogna sotto un lenzuolo di nuvole alte, le prime dopo mesi di sole. Ieri c’erano 36 gradi, sudavamo con gioia. Oggi saranno 22 e il primo lembo del plaid autunnale ci sfiora la schiena. Le previsioni danno vento molto forte da venerdì, e la nostra partenza domenica comincia a non essere così certa. La rotta prevede un bordo a est-sud est, per Capo Sounion. Poi a nord, lungo il canale dell’Eubea, fino alle Sporadi. Poi Salonicco e le tre lunghe dita scheletriche della penisola Calcidica, dunque la Macedonia, Thassos, poi giù verso i Dardanelli, dentro il Mar di Marmara per le Isole dei Principi, e infine Costantinopoli, Istanbul, la perla del Bosforo. 1000 miglia, all’incirca, e un arrivo orientativo per la metà di dicembre. Viaggio lento, come si conviene. Soste per visitare, tempo per sentire. Viaggio dentro (esiste altro tipo di viaggio?), seguendo i venti, come mi consiglia generosamente e argutamente qualcuno.

Il nostro frigorifero di bordo profuma di aneto e gamberi rosa, cetrioli e yogurt bianco. Porteremo con noi questi aromi per due mesi ancora, all’incirca. Poi sarà Asia Minore e Turchia, Georgia, Russia, Ucraina, Romania, Bulgaria. Odori nuovi, o identici, chissà. Nella capitale dell’ex impero romano d’oriente, nell’affascinante Bisanzio, resteremo un paio di mesi, forse tre. Non era un sogno anche viverci, anche scriverci, anche sentirla casa? Come questo mese ad Atene, in cui è successo di tutto, travolti, colpevoli, eppure accolti e innocenti, sempre ad ascoltare, sempre a casa. I porti del Mediterraneo sono patria e dimora, per noi. Torniamo, non andiamo. Ogni angolo di questi incavi marini albergava un tempo nella memoria di un nostro antenato. Sempre detto: non si può conoscere, solo ri-conoscersi.

Guardo la marina, le barche che ciondolano come peluria morbida sulla pelle del mare. Saluto due comandanti, che rassettano già al mattino. Tanto lavoro da fare, ancora e sempre. Lavoro che oscilla tra le braccia e la mente, tra i muscoli e il cuore. Ieri in cima all’albero a controllare le sartie, guardavo il mondo da una ventina di metri d’altezza. L’ho trovato identico a come sempre lo osservo. Le mie mani ruvide e il mio cuore zuppo di parole sono due facce della mia natura di marinaio e narratore. “Tutto questo, certamente, mi appartiene” mi sono detto. Nell’epoca della grande diaspora esistenziale, generalmente, ci si sente fuori, senza essere posseduti, senza avere niente. Un raro privilegio, per me. 

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