Fuori

I miei libri hanno una funzione sociale, sono utili. Ecco uno dei loro tanti, possibili impieghi sperimentato su Mediterranea

Quando c’è qualcosa di grosso nell’aria, la dinamica della comunicazione (qui, come altrove) finisce con l’essere sempre la stessa: prendere un filo del discorso e stressarlo per vedere dov’è il suo punto di rottura. Si chiama gioco a rompere, ovvero il tentativo di inceppare un ragionamento che, se funzionasse, se non avesse bachi grossi, potrebbe chiamarci all’azione, a cambiare la nostra vita. Che è una cosa molto faticosa, con un premio altissimo, che implica coraggio, fatica, energia, tenacia.

Faccio tre esempi, ma potrei farne mille.

1) LAVORO: ma cos’è veramente smettere di lavorare? E’ possibile farlo del tutto? Chi può e chi non può? Alla fine la verità è che non si può DAVVERO SMETTERE. Dunque smettere di lavorare è impossibile;

2) LIBERTA’: ma chi è davvero ibero, ma si può essere davvero liberi? Nessuno è mai davvero libero, la vera libertà non esiste;

3) SISTEMA: si può essere fuori dal Sistema, fuori dalle sue regole e logiche? In fondo siamo comunque tutti dentro, anche se ne siamo ai margini, no?! Ecco: nessuno può davvero essere fuori dal Sistema, chi ci prova in realtà lo sfrutta. E via così…

Morale: non si può smettere di lavorare, la vera e totale libertà non esiste, dire che si può uscire dal sistema è una chimera.

“Meno male!”, circolava la tragica notizia che ci fosse qualche speranza, che ci fosse da faticare, farsi un mazzo tanto e poter vivere meglio. Noi, tutti noi salvo rarissime eccezioni, siamo terrorizzati dall’ipotesi che ci sia molto da fare per poi poter vivere meglio, e ancor più che a fare dovremmo essere noi, proprio noi come individui. L’ideale è: stare tutti maluccio, nessuno escluso, e che sia colpa d’altri, non nostra, ma soprattutto che non ci sia nessuna possibilità di cambiare le cose nostre e altrui e trovare qualche buon elemento per smontare chi ci prova con le definizioni, i sillogismi, le controdeduzioni.

Qualcuno mi ha chiesto cos’è ESSERE NEL SISTEMA. Ecco, è ragionare così. Cercare tutti i motivi (logici, culturali, pratici…) per NON agire, adesso, sotto la nostra responsabilità individuale, e dunque NON FARE TUTTO QUELLO CHE POSSO (Adesso!) per essere fuori dalle logiche omologate, per essere il più libero possibile, il meno assoggettato possibile alle regole del lavoro-guadagno-consumo-spreco-inquino. Essere FUORI DEL SISTEMA è l’opposto: inceppare il meccanismo con la volontà, con l’immaginazione e l’azione, dire NO dove ci si aspetta che diciamo SI’. Fare altro, che nessuno si aspetta da noi. E’ industriarsi in ogni modo possibile, sfuggire alla disperazione del “non si può”, alla miseria delle dimostrazioni capziose per sostenere che chi ci sta provando bara, o almeno mente. E’ sentirsi un testimone che se fa e poi dice quel che ha fatto, FA POLITICA. Quella vera: 1 uomo=1 movimento.

Gino Strada nell’intervista che gli feci per Un’Altra Vita (RAI5) diede un saggio del pensiero opposto a questo: “La gente mi dice che sono pazzo, che è impossibile curare tutte le vittime delle guerre, ma io rispondo: cominciamo a curarne uno, questo qui, poi un’altro, poi un’altro ancora. Oppure mi dicono: è impossibile che sulla terra non ci siano le guerre, ma io dico: cominciamo a non fare questa di guerra, poi anche quell’altra accanto…”

Quando ho migliaia di chilometri da fare, che posso davvero fare verso una meta, devo farli. Se non voglio farli, se quel viaggio mi spaventa, cercherò certamente di stabilire, prima di muovermi, che la meta è irraggiungibile, e che dunque non vale la pena partire. Io invece, su questi argomenti, la penso come Gino Strada: dato che ho tantissimo da fare per tentare la via della libertà, dell’uscita dal sistema, del rifiuto del lavoro-capestro com’è configurato oggi, del rifiuto delle logiche del consumo così come mi vengono imposte, cambiando mobilità, inventandomi strumenti per vivere diversamente casa, riscaldamento, cibo, tempo libero, relazioni… inizio il prima possibile e faccio tutta la mia parte, che è enorme e che durerà una vita intera, avendo risultati straordinari. Se non la faccio, se non copro la distanza che mi è consentita, non ho neppure diritto di lamentarmi. 

In questo modo rispondo anche a una domanda che nessuno mi fa (le domande più interessanti non me le fa mai nessuno, mannaggia… Avrei un mucchio di cose da dire!), e che invece io mi faccio quotidianamente: dato che sono venuto al mondo senza volerlo, che non ho ricevuto in dote un manuale d’istruzione, che per di più tra relativamente poco tempo morirò: cosa posso fare nel frattempo, come posso dare senso e dignità alla mia vita, come posso cercare di contribuire, per conseguenza, alla vita del mondo intorno a me attraverso una testimonianza? Alla sola ipotesi di passare il tempo che mi è dato lamentandomi e non tentando, cercando di smontare il lavoro di chi ci prova, mi sentirei morire…

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Hotel Patria

L’avevo capito dai suoi ultimi due libri che Calabresi aveva il pallino dell’ottimismo. Un pallino un po’ eretico, in questa epoca prona. Stasera, guardando la prima puntata del suo programma Hotel Patria, su RAI 3, ne ho avuto, se serviva, la conferma. Avevo giusto bisogno di questo, dopo una giornata a tentare di spiegare, qui sul blog, come la pensavo sul tema. Si scriveva di sogni e denaro, dunque di prevalenza o meno dell’energia sulle sostanze, della volontà e dell’idea sui limiti e sugli ostacoli…

Calabresi è un uomo che ha deciso di non piangere per tutta la vita, al contrario. E’ diventato direttore di un giornale tra i più importanti d’Italia: la Stampa. Ma prima gli avevano ammazzato il padre, commissario di polizia. Incarna dunque, che lo si ami o no, l’idea stessa di chi non resta la vita intera aggrappato al suo alibi, al suo freno a mano, al pensiero che vola in direzione opposta al dovuto. Dunque, più di altri, è credibile. Soprattutto quando parla di ottimismo e di sogni.

A cominciare dalla storia di Loris, il ragazzo che va negli Usa e trova la sua via, in compagnia di un ispirato Jovanotti e delle citazioni da osanna di Steve Jobs, per proseguire col montanaro che inneggia ai sogni e condanna il denaro, fino ai giovani cuochi italiani nel mondo… questa puntata avrei potuto scriverla io. Ne condividevo impianto, ascolto, tesi, ispirazione (perfino la performance di Nina Zilli, che amo moltissimo). Con l’unica eccezione del secondo servizio, che parlava di amianto e del dramma di  Casale Monferrato (un servizio importante, doveroso, di cronaca), Calabresi ha tentato il primo programma fatto di sole storie di coraggio, volontà, sogno, superamento, ispirazione, fortuna che sorride agli audaci, patriottismo non nazionalista, semmai cosmopolita.

Chissà perché quel servizio sull’amianto. Non che non sia meritorio, certo, ma perché? Forse qualche autore lo avrà consigliato così: “troppo ottimismo diventa buonismo, fai un po’ e un po’”. Chissà. O forse non se l’è sentita. I suoi libri strappano anche amarezza, qualche commozione, ma in fondo sono gravidi di possibilità, occhi che brillano guardando un futuro in cui c’è spazio, nel tempo del possibile, nello spazio del coraggio. Ma sulla carta forse sa osare di più Calabresi. Meno male che c’è RAI 3 a crederci (che Dio la protegga…), perché ricordo un altro programma sul tema: “E se domani”.

Un buon programma Hotel Patria, che sono sicuro crescerà. E una prospettiva sul mondo che ci manca. Dico da anni che ci siamo fatti scippare il copyright dell’ottimismo da chi intende tutt’altro, e che se l’è accaparrato per farne un uso improprio. E’ nostro, lo rivolgiamo indietro.

Mi accorgo che bisogna parlare molto di un modo diverso di vivere, sognare, credere, lottare. Sempre di più, per abbattere sfighe, cabale, scongiuri, raccomandazioni, alibi e terrore. Perché l’energia con cui combattere l’amarezza, e il sogno che corrobora i nostri corpi stanchi, la voglia di tentare, di cercare emozione e vita anche se questa nostra storia non ha alcun lietofine, sono essenziali per tirare avanti. Anzi, per provare a farla franca. E per farlo con stile, godendo soprattutto, fieri del godimento, sentendo che dentro il nostro cuore qualcosa riparte, in tempo, prima che sia tardi per la riconciliazione che serve ad alzarsi e partire. Dopo una giornata di discorsi sui soldi (scusatemi, ma che Dio li stramaledica), ne avevo proprio bisogno. Grazie Calabresi.

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Mani…

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Movimenti…

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Easy Bar. Giorni fa…

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Isola dell’anima

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Umane risorse…

adesso basta 6 edizioniDodicesimi in classifica sul Corriere della Sera. La “Generazione C” (Cambio Vita) continua a furoreggiare. A Natale una marea di libri-strenna ci aveva spinti indietro. “Adesso Basta” continuava ad essere ricercato, ma tanti boss dell’editoria (da Vespa al Papa) parevano aver fatto scomparire o almeno retrocedere il fenomeno. E invece no: passato Natale sono finite le vendite di un mucchio di libri, ma sono rimaste immutate quelle di “Adesso Basta”. Circa 1.800 persone lo acquistano ogni settimana. E pare che la lettura del libro sia intorno al rapporto 1:4. Come dire che le circa 35mila copie vogliono dire 120/130mila lettori. In soli tre mesi. E se continua così?

Se continua così i Direttori delle Risorse Umane dovranno prendere atto che mentre i corpi della classe portante del Paese (cioè i quarantenni, tra 30 e 50), sono effettivamente in ufficio, i loro cuori sono sugli altipiani, le loro menti sono sul grande mare. Quegli uomini e quelle donne hanno un problema: vorrebbero essere altrove, non credono più integralmente a quello che fanno e non si riconoscono nell’assunto vivo-lavoro-consumo, che esaurisce il tempo e le energie migliori.

E cosa accadrà? Chi lo sa… Certo, la relazione tra l’uomo e il lavoro va ripensata. La relazione tra uomo e territorio, tra uomo e viabilità, abitazioni, relazioni, consumi va ripensata. In troppi hanno preso coscienza che la vita, quella buona, quella che vale la pena di essere vissuta, è diversa, altrove, e non si svolge in quei luoghi. Se continua così, far lavorare gli schiavi sarà sempre più dura, farli consumare sarà sempre più difficile. Non farli sognare sarà praticamente impossibile.

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On the road…

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Volentieri…

una delle spiagge di Metundo, Nord Quirimbas

una delle baie di Metundo, Nord Quirimbas

 

Colgo qua e là qualche vibrazione, ricevo alcuni messaggi… “Ecco, tu vai ai tropici e noi invece…” “Ecco, sei un privilegiato… la vita quotidiana è un’altra cosa.” Capisco che devo ancora spiegare. Bene, lo faccio. Volentieri.

Sono stato ospite alle Quirimbas (biglietto aereo e soggiorno) perché la mia possibilità di muovermi e lavorare nel charter nautico si è ben associata all’idea di un imprenditore che vuole fare lì la stessa cosa. Inoltre, sono in grado di decidere, di muovermi, andare, stare o non stare, in virtù delle mie scelte di libertà. Semplice. Nessun privilegio, ma voglia di fare cose in mare, il mio mondo, e voglia di spendermi, progettare, trovare strade, mezzi, occasioni.
“Sì ma così torni a lavorare come prima”. Neppure questo. Io in questa operazione farò lo skipper, che è quello che faccio qui, che so fare. Poi troverò skipper che facciano altri periodi. Punto. Del resto io non ho soldi per mantenermi se non lavoro un po’, cioè quanto basta, cioè poco (altrimenti restavo dov’ero), ma SOLO su mare e scrittura, le mie vite.

“Ma tu dicevi che la scelta non è per andare sull’isola deserta…” E infatti non lo è. Qui, lì, altrove, a Milano, a Spezia, alle Quirimbas… c’è qualcuno che crede che la felicità si trovi in qualche luogo? Non è abbastanza chiaro che la felicità è roba nostra, che cresce dentro, e che semmai si applica, POI, a persone, cose, luoghi, circostanze?! E che aspettiamo a metterci impegno e energia?

Inizio d’anno che conferma tutto, dunque. Più convintamente e più inossidabilmente che mai:
• Ho smesso di lavorare in azienda
• Non frequento più chi non voglio
• Non guadagno più buttando via il tempo in cose non autentiche
• Vivo di poco
• Guadagno quel che mi serve come capita (ma nell’alveo delle mie cose)
• Sono molto più libero, posso scegliere, sprecare tempo se serve
• Nessun  successo mi ha avviluppato. Timone al centro anche con mare grosso…
• La scelta tiene, è giusta, è vera, è possibile, è mia. La riconosco a ogni passo (come stamattina, con calma, a leggere il giornale al bar mentre la città ansimava)
• La mia vita non passa via, non scorre identica e invano.

Basta dire “Ma tu… e io invece…”! E’ tutto tempo perso. Energie buttate. Fare invece di dire, pensare a sé invece che criticare gli altri. Godere delle economie di scala. Godere del buono che capita a tutti. Prendere esempi, rubare con gli occhi. Sognare, lavorare, realizzare. E’ tutto più possibile di come si crede. Il tempo è l’unica cosa che non torna. Sprecatelo a ragion veduta. Chiunque abbia qualunque opinione… almeno su questo non può che convenire con me. E non è cosa da poco. Buon anno a tutti.

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