Senso

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Per altro qui non si sta mai soli un attimo tra granchi di fiume e scoiattoli dalla lunga coda pelosa…

Sono molto contento che stamani ci sia il sole, che scalderà casa mia, che si è svegliata fredda come al solito, e contento di non poter scegliere il menù del giorno, perché ho ancora pomodori e melanzane dell’orto da consumare, e che la legna che userò per scaldarmi insieme al sole sia la mia, tagliata e trasportata da me, e che oggi sarà un’altra giornata a costo quasi pari a zero, perché non ho bisogno di nulla per divertirmi e onorare il tempo, e che non dovrò andare a lavorare per guadagnare denaro inutile a rendermi felice, perché basta vivere diversamente e il tempo si libera, perché oggi è un’altra giornata unica, una gemma preziosa che non torna, e io scriverò per parte del mio tempo, che è quello che devo fare, e poi leggerò il mio Rais, appena uscito, che è bellissimo rileggere avendolo scritto proprio per questo, e che stasera davanti al camino sentirò di essere vissuto al meglio che potevo, facendo errori ed evitandoli, certo, come tutti, ma mai al di fuori della mia storia, ben dentro invece, cioè nel solco dell’autenticità, guardando fuori questa splendida campagna a ridosso del mare, in cui ho la fortuna di trovarmi, pensando pensieri buoni o meno buoni, ma non inquinati da argomenti inessenziali che non ho scelto, in contatto con sole persone che amo e che mi amano, e non con gente imposta che non ho scelto, studiando (perché bisogna studiare sempre, per imparare, per sapere, per avere un pensiero proprio), scrivendo, progettando rotte, sognando (sogni che intendo realizzare) e avrò avuto il tempo e la disponibilità di ascoltare chi mi chiamerà, e anche me stesso (perché noi ci chiamiamo ogni giorno, solo che mai rispondiamo a quelle chiamate), che di cose ne ho da dirmi parecchie, un lungo discorso mai interrotto che se non lo ascolto divento un alienato, come tutti, e io invece vorrei essere collegato, non alienato, e tutto questo, a me pare, ha un senso.

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Eldorado e Itaca non esistono

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Qualcosa di reale

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Che rotta fai? Non lo so…

Che romanzi scrivi?” Quando me lo chiedono vorrei essere lontano… Sarebbe come se io domandassi: “Che vita vivi?” “Ma no dai, intendevo: che genere…?” Ecco, appunto…

Vita dramma, vita comica, vita avventura, vita d’amore, vita tedio, vita obblighi, vita libera, vita studio, vita fuga, vita errore, vita tradimento, vita speranza, vita sogno che non mi posso consentire di sognare, vita che quel giorno speravo mi dicessi quella cosa, vita che non me l’hai mai detta, vita che quando ho capito che dovevo dimenticare ho ricominciato a vivere. Vita buttata, vita errore, vita di cose che non so, vita che mi piacciono solo le cose che già so, e non saprò mai il resto, vita che oggi sto bene ed è bella, vita che oggi sto male e non mi ammazzo solo grazie a te, vita che è andata, vita che ancora ce n’è. Vita che non c’è stata mai. “Che vita vivi? Drammatica? Umoristica? Avventurosa? D’amore? Storico-aneddotica? Poliziesca? Rosa, noir, gastronomica, manualistica, di viaggio, di formazione?”. E io di cosa dovrei scrivere? Guarda che scrivo a te

Ogni volta che per capire chiudo, segmento, recinto, sfoltisco, so già che non servirà a niente. Ogni volta che per ascoltare devo aver già capito, ho una fitta al cuore. Ogni volta che mi chiedono di spiegare sento che non ce la farò: non avrò parole, o ne avrò troppe, e chi ho di fronte non resisterà. (Di che parla il mio romanzo? Allora…). Ogni volta che quella cosa non me la dici, vorrei capire perché. Ogni volta che l’attendo, anche. Quando mi chiedo che tipo sei, mi domando: “che ci faccio qui?”.

Quasi tutto quello che merita attenzione, non può essere definito se non con un lungo giro di parole vane. Io non saprei definirlo, ecco, diciamo così. Ogni cosa che scrivo vorrei non fosse definibile, perché somigliasse a qualcosa di reale. Altrimenti per capirlo dovremmo uscire. Mentre scrivere, come leggere, come vivere, è entrare.

Lei non vede il mondo. È più recluso di me, perché io, schiava, osservo ciò che non sono, mentre lei, libero, vede soltanto se stesso.” (Rais, Frassinelli, 2016)
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Un uomo libero. Un vero cattivo. Finalmente.

D – Perotti, lei si è lasciato rapire da un pirata del Mediterraneo, Dragut…

R – Il personaggio del Rais incarna tutto: crescita, gloria, caduta, riscossa, vendetta, morte, rinascita… È un Dantès molto più affascinante di Edmond Dantès. Un uomo libero e per giunta un vero cattivo, ma esplicito. Finalmente! Oggi sono tutti buoni, da Putin a Obama, e non si capisce chi siano i cattivi…

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Fabio Pozzo su La Stampa, oggi.

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E finalmente, la vede…

Immaginatevi una ragazza, rapita dai pirati, deportata per mezzo Mediterraneo, venduta due o tre volte, comprata da un mercante veneziano, condotta su un’isola solitario e sperduta, lasciata in un castello con qualche uomo di servitù e dama di compagnia. Per sempre. Per tutta la vita, fin dall’età di quindici anni. Visitata due o tre volte l’anno dal suo padrone. unica consolazione: i libri. Le storie che le consentono di conoscere il mondo, di visitarlo almeno con la fantasia, di imparare la vita che a lei era stata negata.

Immaginate che in una tappa del lungo viaggio per giungere su quell’isola un ragazzino l’abbia incontrata, in una lontana città, e abbia scambiato con lei qualche parola prima che ripartisse e scomparisse per sempre, qualche istante di fronte a lei, ma sufficiente a far giurare a quel ragazzino che per tutta la vita navigherà, non fosse altro per recarsi dove vivono donne luminose come lei, che tagliano il fiato nel petto, che danno senso e speranza alla vita insensata e disperata, e dove riuscirà a trovarla, ne è certo, ci volesse la vita intera per farlo. Immaginate che quel ragazzino di lì a poco prenda il mare, diventi un pirata, il peggiore e più invincibile dei pirati, e dopo decenni di ricerche per ogni angolo del mare, finalmente, riesca a ritrovarla.

Ecco quel momento:

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– 0. Avvertenze di lettura

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Antipasto a due colori per Rais

Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero….“. Inizia così, in modo sorprendete e splendido, il famoso romanzo di uno dei maggiori scrittori di sempre. E io vi dico la stessa cosa. Sedetevi comodi, nel vostro angolo preferito, lasciate che tutto rimanga fuori, state per iniziare a leggere Rais, l’ultimo romanzo di Simone Perotti, storia d’amore e inganno, di pirati e avventure, di mare e di esplorazioni, di amicizia e tradimento, di speranze, perdizioni e redenzioni. Mettetevi dove volete, raggomitolati o coricati, purché stiate bene, con le gambe stese, e forse una copertina addosso, che al freddo si legge malvolentieri, ma non troppo, perché il caldo è anche peggio. Spero che ci sia luce, perché leggere al buio è fastidiosissimo. Le sigarette a portata di mano, se fumate, e il portacenere. Che c’è ancora? Dovete fare pipì?

Soprattutto, fate all’autore e a voi stessi una grande concessione. Se dedicate a un libro una mezz’ora, fatelo con concentrazione, essendoci. Smettete di pensare a Pino e Mariuccia, al capoufficio, al vicino di casa che fa sempre rumore. Fare l’amore non dura molto di più, ma non lo fareste mai distratti. Mangiare non dura tanto di più, ma mai vi perdereste un boccone. Un libro è una storia, leggete lentamente, non abbiate fretta. Come la rotta per Itaca, che il viaggio duri tanto, che Itaca non si profili troppo presto all’orizzonte, riducendo le nostre avventure. Una storia non è “come va a finire”, ma soprattutto come va.

Le parole vi porteranno lontano, ma non sono solo un ponte. Sono un fine e uno strumento al medesimo tempo. L’autore le ha scelte a una a una, talvolta azzeccandole, talvolta meno, ma sempre chiedendosi molte cose prima di scrivervele. Vi riguardano, sono una lunga lettera rivolta a voi. Non perdetevele, non tirate lungo con l’ansia di arrivare chissà dove. Una di quelle parole potrebbe innescare un pensiero, e come una farfalla che batte l’ala scatenare altrove una burrasca. Leggere è la via per quella burrasca, e le parole sono la vostra navicella.

Le prime cinquanta pagine di ogni romanzo ambizioso, che valga la pena leggere e poi rileggere, sono le più importanti. Entrati in quelle vi sarà difficile uscire dalla storia. Concedete all’autore di seguirlo in quelle prime pagine, con maggior attenzione, con quel pizzico di vuoto-intorno che oggi è negato a quasi ogni cosa che facciamo. Sarete autorizzati a maledirlo, se vi deluderà, ma non fatevi biasimare da lui per la vostra estraneità.

Potete leggere il libro come io l’ho scritto, dato che, come diceva Saramago: “Ogni buon romanzo è soprattutto una questione di montaggio“, e a volte seguire una sola delle voci narranti, perché un romanzo è una mappa, ma il lettore fa il suo viaggio, seguendo le sue suggestioni, con le sue soste, le sue accelerazioni.

Se posso permettermi un consiglio, leggetelo di mattina. O comunque non alla sera. Ci arriverete dopo aver letto centinaia di pagine sul computer o il telefono, i vostri occhi saranno stanchi, la mente ingarbugliata, e non vi godrete nulla. Al mattino, tra sogno e realtà, avrete ancora la possibilità di fingervi, cioè di sognare, cioè di sentire. I romanzi, soprattutto quando parlano di noi, al mattino sono tutti più belli.

Ora godetevi la storia, la sua magia, la speciale immersione nel suo mondo fatato. Per un antico paradosso letterario, se siete bravi, se l’autore sarà stato all’altezza, troverete lì dentro qualcosa di vostro. Magari proprio QUELLA cosa, che andate cercando da così tanto tempo… O la perderete, finalmente… A me sono capitate entrambe le cose, scrivendo.

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Ritorno (e un’avvertenza)

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Rais a casa

Rais è giunto dov’è stato concepito. Poi è diventato adulto altrove. Ma qui è nato, casa costruita da un pirata senese alla fine del ‘600, poi fienile, poi…. Era giusto che vedesse da dove proviene, anche se cento baie l’hanno generato, fecondate dalla mente e da una prua.

Stamattina ho recuperato la legna. Ricordo ogni singolo taglio, e la fatica che mi è costata. In attesa della botta di vento e pioggia, che oggi si chiama “l’allerta”, mi barrico dentro, accendo il fuoco, preparo legumi per la cena, imposto un piatto su cui sto sperimentando. E scrivo. Oggi un giornalista mi ha chiesto come passassi il tempo dopo aver finito Rais. “Scrivo”. “Ma cosa scrivi ancora?”. Scrivo sempre. Scrivere è come drogarsi, puoi iniziare, non puoi smettere. Solo che scrivere salva.

Stamattina ho letto due ore Rais, dopo il caffè. Se i libri avessero un peso specifico, lui sarebbe di bronzo. Volevo scrivere un’introduzione, un’avvertenza per i lettori: “leggetelo piano, due pagine al giorno per 250 giorni, ma sempre, senza fermarvi; leggetelo la mattina, mai la sera”. Le cose migliori sono chili su decimetro cubo, vanno fatte ogni giorno, e vanno fatte lentamente. Il cibo, il sesso, viaggiare, leggere, sognare. Ah, se avessi scritto un’introduzione così…! Chi li sentiva!

Giornate scure, nuvole incombenti, pioggia, vento. Essere là fuori, nel vortice, la gente, la gente…, il rumore, non credo potrei farcela più a sopravvivere. Due giorni a Milano mi hanno logorato. Ho amato tanto quella città. L’amava un uomo che in gran parte non sono più, quello della mia terza vita. Ora giocherello con un’isola, davanti al camino, tra le dita della mente, mentre penso e guardo il fuoco. Quando sogno penso e progetto mi diverto sempre a salvare una frase, mi servirà per ricordare. Quella che ho a mente è “Tra qui e lì”. C’è un piano, in queste quattro parole.

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Fatemi fare

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Fatemi fare il coglione anche a me. Lo fa la madre, col figlio appena venuto alla luce, il più bello del mondo anche se è orrendo. Lo fa l’artigiano, che vede la perfezione nella superficie del tavolo che ha levigato. Lo fa il manager, tronfio di aver appena fatto la sua presentazione perfetta. Lo fa l’innamorato, che vede meravigliosa la donnina media che ha di fronte, ma che ama, l’unica ad amarlo. Lo fa il pescatore, che vede enorme e imbattibile la sua preda appena catturata. Fatelo fare anche a me, per una volta, non me ne vogliate… “Rais” è meraviglioso.

Però fatemi articolare, che non sembri solo una polluzione. È bellissimo il libro, la sua copertina, la veste grafica, lo sono i risguardi con la carta di Piri Rais, le pagine leggere, il carattere, l’impaginato. Fatemi fare il coglione finto profondo, appena meno coglione del dovuto. “Rais” è splendido dentro. Il contenuto. Ho appena letto qualche pagina, qua e là. L’orgoglio del Rais: “Che un servo non dia mai ordini su una galera! Se vuoi dare ordini prima diventa libero, suda il sangue della tua schiavitù fino all’ultima goccia, e poi versa nel comando il tuo spirito purificato. E non sognarti di darne a mio nome, che per me parlo io solo, ed è già troppo!“. La sua saggezza: “Ciò che non viviamo non lo possiamo neppure rimpiangere. C’è qualcosa di più triste di questo?”. Potrei andare avanti. Mi sono commosso leggendo da questo libro non più mio…

L’ho preso tra le mani poco fa. C’era gente intorno, tutti contenti. Io avrei voluto essere solo. Parlarci. Dirgli quanti giorni, quanti minuti, quanti mesi, quanti anni… per darlo alla luce. Come una madre che rinfaccia al figlio i suoi sacrifici. Eppure avrei voluto stringerlo al petto, che sentisse il battito del cuore che lo aveva generato. Ma non potevo. E non posso ora, che sono finalmente solo, in questo bar al centro di Milano. Non è più mio. Lo è stato nell’ideazione, nel lavoro, nelle ricerche, in quel giro di lima intorno a una parola, che mi ha preso un mattino intero. Ora è bambino dotato che mostra già i suoi talenti, per la via. Lo avvicinassi, verrei preso per un maniaco. E’ giovane talentuoso che abbassa il record di corsa della scuola. E’ uomo che si erge dalla genuflessione della vita e dice il suo primo “no” pronto al suo primo “sì”. È amante che ama per al prima volta. È artista che crea la sua prima opera.

Fatemi fare il coglione fino in fondo. Fatemelo guardare da lontano, da oggi, per tutto il suo percorso. Fatemelo guardare incoerentemente, parzialmente, unilateralmente, inattendibilmente, inutilmente

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Coincidenze…

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Tra poche ore per me… tra pochi giorni per voi.

In treno. Tre ore e avrò tra le mani “l’oggetto Rais”. Un romanzo esiste da anni, concreto più di un mattone, di un palazzo. Potresti toccarlo, anche se non c’è, non ha alcuna dimensione fisica. Fino a un certo giorno, in cui tutto diventa una “cosa” di carta, cartoncino, inchiostro, dotata di volume, peso. Curioso che sia oggi: l’anniversario.

524 anni fa, oggi, Lui scorgeva una piccola luce: “como una candelilla che se levava y se adelantaba”. Fu il solo a vederla, verso le due di notte, e gli equipaggi pensarono che fosse impazzito. Navigavano da settimane, mesi se si considera la partenza da Palos. Eppure aveva ragione. Poco prima dell’alba il profilo azzurrino di un’isola illuminata dalla luna fece la sua magica apparizione di fronte a tutti.

Sapeva bene tutto, Lui. Che non si trattasse delle Indie dove era arrivato Marco Polo via terra, ad esempio, e perfino come erano fatte quelle terre. Come faceva a sapere? Sapeva bene tutto anche Piri Rais, che dopo qualche anno disegnò il mondo senza muoversi da Gelibolu, nei Dardanelli. Sapeva molto anche Andrea Doria, nonostante ufficialmente non fosse a conoscenza di niente. L’unico che non sapeva era Dragut Rais, condannato a subire, come tutti gli appestati del cuore, nonostante fosse l’unico che tutti dovevano subire. Cercò di comprendere la vita e di salvarsi, nel modo peggiore, come facciamo noi ancora oggi: incendiando il mondo, distruggendo i ponti, squarciando le vene e le menti. Forse l’unica a capire ogni cosa, per paradosso, è Lei, una schiava col nome di un vento, reclusa su un’isola, l’unico essere della storia capace di intuire

Sorrido mentre tutti questi personaggi mi aleggiano intorno… Fuori dal finestrino sfreccia la Toscana dei Medici. Ho sorriso anche ieri, di fronte alla tv, perché ho visto che sta per partire un serial sulla grande famiglia, negli anni in cui nasce il mio protagonista. E anche poco fa, quando sul giornale ho letto che Ildefonso Falcones, scrittore di bestseller, è appena uscito con un romanzo ambientato ai tempi di Dragut, dove un ragazzo tenta di emergere attraverso le rigide divisioni tra classi nell’occidente di fine ‘400. Proprio la storia del piccolo Dragut, appunto. Sorrido. Oggi, 12 ottobre, mentre io vedrò la mia, Colombo vedeva la sua meta

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Da un articolo di Ferrari. Grazie Antonio per questa lusinghiera definizione…

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Chi può far tremare il Rais!? Un portone…

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