La Sindrome del giocattolo

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All’arrembaggio!!

Fantastici gli uomini (soprattutto i maschi…). Hanno la “sindrome del giocattolo”, così la chiamo io. E i pirati sono uno dei loro giocattoli. In Rais, e quando lo racconto in giro e sui media, vado dicendo che la pirateria dei Caraibi durò un paio di secoli, riguardò qualche migliaio di persone e fu cosa assai tardiva, contenuta, residuale, rispetto a millenni di pirateria europea e segnatamente mediterranea, milioni di pirati e corsari attivi dai tempi delle popolazioni prenuragiche (e forse anche da prima), storie, personaggi, eroi, avventure sconfinate. Perfino nel Baltico e lungo la Manica c’erano pirati antichi e poi medioevali epici! Questo è un fatto storico facilmente verificabile. Dunque nulla dovrebbe accadere

Invece mi scrivono infuriati, mi aggrediscono (come dei veri pirati!) sui forum, nei commenti ai miei articoli: ma come ti permetti! I pirati dei Caraibi furono straordinari! E come fai a dire che Salgari non avrebbe dovuto scrivere dei pirati malesi e caraibici! E poi Drake è il capostipite!” etc etc. Mai toccare il giocattolo agli uomini (soprattutto ai maschi).

Drake arrivò buon ultimo, alla fine del ‘500, fu il primo buon vero marinaio inglese, pirata e corsaro, perché prima di lui c’era il deserto, tanto che Enrico VII e poi suo figlio dovettero assoldare gli italiani perché gli insegnassero tutto, il come e il dove. Spiego che millenni di pirateria del Mediterraneo, che nessuno conosce, testimonia l’antichità e la rilevanza (oltre all’eroismo, alle avventure e alle storie fantastiche) del fenomeno piratesco. Spiego anche che Salgari era un mitomane e un millantatore, si diceva Comandante di lungo corso ma lo avevano bocciato all’esame, spariva per settimane dicendo poi di aver navigato nell’oceano (e la madre lo prendeva per il culo) e invece fece solo una breve navigazione da Chioggia a Ravenna dove vomitò tutto il tempo e la sua carriera di marinaio si interruppe lì. Morì scannandosi con una lametta in un fosso (tanto per dire che proprio bene non stava. Era matto da legare). Sui suoi libri abbiamo sognato tutti, ma erano del tutto inventati. Poco male, ma sarebbe stato più meritorio e utile, oltre che bello forse, se avesse raccontato le mille storie piratesche del Mediterraneo, così oggi non ne saremmo del tutto ignoranti.

Adoro la gente (soprattutto i maschi): preferiscono sempre una buona menzogna a una verità, buona o cattiva che sia. E quando glielo mostri s’incazzano, perché l’ultima emozione avuta, pura e bella, risale quasi sempre all’adolescenza. Dopo di allora: sonno eterno. Che nessuno gliela tocchi! Toglietemi tutto ma non il mio giocattolo! Purché sia in un altrove irraggiungibile, talmente lontano da non esistere. Così siamo tutti salvi.

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E finalmente, la vede…

Immaginatevi una ragazza, rapita dai pirati, deportata per mezzo Mediterraneo, venduta due o tre volte, comprata da un mercante veneziano, condotta su un’isola solitario e sperduta, lasciata in un castello con qualche uomo di servitù e dama di compagnia. Per sempre. Per tutta la vita, fin dall’età di quindici anni. Visitata due o tre volte l’anno dal suo padrone. unica consolazione: i libri. Le storie che le consentono di conoscere il mondo, di visitarlo almeno con la fantasia, di imparare la vita che a lei era stata negata.

Immaginate che in una tappa del lungo viaggio per giungere su quell’isola un ragazzino l’abbia incontrata, in una lontana città, e abbia scambiato con lei qualche parola prima che ripartisse e scomparisse per sempre, qualche istante di fronte a lei, ma sufficiente a far giurare a quel ragazzino che per tutta la vita navigherà, non fosse altro per recarsi dove vivono donne luminose come lei, che tagliano il fiato nel petto, che danno senso e speranza alla vita insensata e disperata, e dove riuscirà a trovarla, ne è certo, ci volesse la vita intera per farlo. Immaginate che quel ragazzino di lì a poco prenda il mare, diventi un pirata, il peggiore e più invincibile dei pirati, e dopo decenni di ricerche per ogni angolo del mare, finalmente, riesca a ritrovarla.

Ecco quel momento:

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– 0. Avvertenze di lettura

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Antipasto a due colori per Rais

Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero….“. Inizia così, in modo sorprendete e splendido, il famoso romanzo di uno dei maggiori scrittori di sempre. E io vi dico la stessa cosa. Sedetevi comodi, nel vostro angolo preferito, lasciate che tutto rimanga fuori, state per iniziare a leggere Rais, l’ultimo romanzo di Simone Perotti, storia d’amore e inganno, di pirati e avventure, di mare e di esplorazioni, di amicizia e tradimento, di speranze, perdizioni e redenzioni. Mettetevi dove volete, raggomitolati o coricati, purché stiate bene, con le gambe stese, e forse una copertina addosso, che al freddo si legge malvolentieri, ma non troppo, perché il caldo è anche peggio. Spero che ci sia luce, perché leggere al buio è fastidiosissimo. Le sigarette a portata di mano, se fumate, e il portacenere. Che c’è ancora? Dovete fare pipì?

Soprattutto, fate all’autore e a voi stessi una grande concessione. Se dedicate a un libro una mezz’ora, fatelo con concentrazione, essendoci. Smettete di pensare a Pino e Mariuccia, al capoufficio, al vicino di casa che fa sempre rumore. Fare l’amore non dura molto di più, ma non lo fareste mai distratti. Mangiare non dura tanto di più, ma mai vi perdereste un boccone. Un libro è una storia, leggete lentamente, non abbiate fretta. Come la rotta per Itaca, che il viaggio duri tanto, che Itaca non si profili troppo presto all’orizzonte, riducendo le nostre avventure. Una storia non è “come va a finire”, ma soprattutto come va.

Le parole vi porteranno lontano, ma non sono solo un ponte. Sono un fine e uno strumento al medesimo tempo. L’autore le ha scelte a una a una, talvolta azzeccandole, talvolta meno, ma sempre chiedendosi molte cose prima di scrivervele. Vi riguardano, sono una lunga lettera rivolta a voi. Non perdetevele, non tirate lungo con l’ansia di arrivare chissà dove. Una di quelle parole potrebbe innescare un pensiero, e come una farfalla che batte l’ala scatenare altrove una burrasca. Leggere è la via per quella burrasca, e le parole sono la vostra navicella.

Le prime cinquanta pagine di ogni romanzo ambizioso, che valga la pena leggere e poi rileggere, sono le più importanti. Entrati in quelle vi sarà difficile uscire dalla storia. Concedete all’autore di seguirlo in quelle prime pagine, con maggior attenzione, con quel pizzico di vuoto-intorno che oggi è negato a quasi ogni cosa che facciamo. Sarete autorizzati a maledirlo, se vi deluderà, ma non fatevi biasimare da lui per la vostra estraneità.

Potete leggere il libro come io l’ho scritto, dato che, come diceva Saramago: “Ogni buon romanzo è soprattutto una questione di montaggio“, e a volte seguire una sola delle voci narranti, perché un romanzo è una mappa, ma il lettore fa il suo viaggio, seguendo le sue suggestioni, con le sue soste, le sue accelerazioni.

Se posso permettermi un consiglio, leggetelo di mattina. O comunque non alla sera. Ci arriverete dopo aver letto centinaia di pagine sul computer o il telefono, i vostri occhi saranno stanchi, la mente ingarbugliata, e non vi godrete nulla. Al mattino, tra sogno e realtà, avrete ancora la possibilità di fingervi, cioè di sognare, cioè di sentire. I romanzi, soprattutto quando parlano di noi, al mattino sono tutti più belli.

Ora godetevi la storia, la sua magia, la speciale immersione nel suo mondo fatato. Per un antico paradosso letterario, se siete bravi, se l’autore sarà stato all’altezza, troverete lì dentro qualcosa di vostro. Magari proprio QUELLA cosa, che andate cercando da così tanto tempo… O la perderete, finalmente… A me sono capitate entrambe le cose, scrivendo.

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Chi può far tremare il Rais!? Un portone…

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Intorno

 

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Ho la certezza, rileggendo questa frase di Rais, che per tutto il tempo in cui ho navigato con il tragico pirata Dragut e i suoi scherani, per gli anni di convivenza con la misteriosa e unica Bora, desiderata da due uomini, salvati forse inconsapevolmente dal suo immenso amore, per i giorni e i giorni trascorsi a dipanare il filo ritorto della trama di spionaggio che ho tessuto sulla scia di una mappa maledetta, per i mesi di domande sulla vita di questi marinai, sul languore delle loro lontananze, sull’impossibile loro amplesso con la vita agra e la morte amica… ecco, per tutto questo tempo, e forse per tutto il tempo di questi decenni di scrittura, romanzi, saggi, articoli, racconti… non ho fatto che guardare intorno a me, cinquecento anni dopo i fatti descritti in Rais, pensando le mie domande, immaginando le vostre, osservando la mia rotta, di conserva a quella di tutte le barche, sporto dalla delfiniera della mia vita, come voi della vostra.

Ciò di cui parla un romanzo, qualunque sia lo scenario, qualunque sia l’epoca, chiunque sia il protagonista, se c’è almeno un filo di onestà a cucire le righe che l’autore traccia a una a una, è sempre la stessa storia… comprensibile o incomprensibile, esaustiva o parziale, definitiva o transitoria. A seconda di chi legge.

Come in questa citazione, ad esempio. “Vedere” ciò che si è, oppure no, ciechi a ogni equilibrio

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Pro mozione

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Muovere verso, cioè dire a qualcuno qualcosa che lo faccia trasalire dal torpore, dalle distrazioni, dall’inerzia, per condurlo, cum ducere, portare insieme, verso un luogo dove prenderà in mano un libro, avendo costui una buona ragione per farlo, evidentemente, perché oggi, altrimenti, chi mai si alzerebbe, prenderebbe il motorino, o l’automobile, per recarsi in un posto, parcheggiare, entrare in una libreria (una libreria!!), cercando un volume (un oggetto fisico!!), con pagine stampate, per aprirlo, verificare che dica qualcosa di interessante, cercando tra le righe fitte un’idea, un pensiero che lo riguardi?

Pro muovere, spingere verso, orientare a favore di qualcosa, dandogli un motivo, una ragione, la maledetta ragione che cerchiamo sempre, che non troviamo mai, per fare qualcosa, come se quella ragione potesse venire da fuori, le ragioni sono dentro, la motivazione è insita, incastonata, ma forse con una parola, una frase, la possiamo attivare, innescare, tanto che avvenga un movimento fisico, dunque pro muovere significa generare un movimento fisico, quello di alzarsi e andare verso qualcosa, ma qualcosa cosa? se stessi, suppongo, ma per andare laggiù, dove risiediamo già, non dovrebbe servire alcun movimento fisico, almeno credo, io per esempio per scrivere un romanzo non mi muovo, almeno dopo aver cercato, studiato, poi sto fermo, pro mosso da solo, cum dotto da me, immobile.

Dunque pro muovere deve essere un’azione che genera una ri sonanza, un suonare nuovamente, come l’ultima volta, quando fu che risuonò qualcosa? chi lo sa, ma ri suonare, oggi, è pro muovere, cioè far vibrare una volta ancora, che vuol dire che senza questa pro mozione quella corda non sta vibrando, è ferma, perché è ferma? cosa le impedisce di suonare, ad alta frequenza, non è tesa? non è in accordo? perché? ad ogni modo batterla, darle un colpo, perché generi onde, ecco, le onde, ce ne sono tante tra le pagine, onde che travolgono e risparmiano, picchiano sulla murata del cuore o della mente, onde che coprono tutto, scafi, amicizie, amori, vite, e passano, tanto che dopo non c’è più nulla, coperto, reso nuovamente invisibile, fermo, dove c’era vita, morte, dove c’era morte vita, e dopo tutto quel frastuono, una chiazza di schiuma bianca, una pagina di mare che si è staccata, sfogliata, piegata, rivoltata, abbattuta, ed è finita.

(tre letture, fin qui. Eccole: una, due, tre)

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Nulla come questo

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Lo studio della copertina è iniziato così: da un mio schizzo fatto mentre navigavo, fotografato col telefono e inviato a Segrate

Ho scritto questo romanzo disattendendo quasi tutte le regole dell’editoria di questa epoca, e del buon senso.

E’ lungo; ha quattro voci diverse che raccontano i fatti da altrettante diverse angolazioni; è una storia “in costume”, ambientata nel ‘500; è pieno di personaggi; uso registri stilistici diversi; una delle voci è un flusso senza punti, in cui il lettore deve trovare la sua “musica”; il titolo è enigmatico, non spiega nulla di noto; è un romanzo letterario, di quelli che invece di andare verso ciò che il lettore sa già lo chiamano verso lo spazio ignoto che lui ignora; scrivo tutto, senza veli, sbatto in faccia al lettore i suoi vizi, le sue paure, le sue meschinità, le sue ipocrisie.

Nella narrativa contemporanea si sta molto attenti a non farli, questi errori. Un libro lungo costa di carta e stampa, dunque ha un prezzo più alto, e poi i lettori si spaventano per la mole. I tanti personaggi disorientano, le storie in costume vengono avvertite come troppo lontane. Per farne un film servirebbero troppi soldi, nessuna produzione sosterrebbe uno sforzo simile.

Non so se lo avete notato, ma la narrativa di oggi, per larga parte, fa di tutto per ingraziarsi il lettore. Gli va incontro sorridendo, lo segue nei suoi ambienti conosciuti, gli parla con la sua lingua, lo fa riconoscere nelle sue più ovvie aspirazioni, lo blandisce con i luoghi più comuni, usa marche e oggetti a lui familiari, come per farlo sentire a casa, lo aiuta con frasi corte, come fosse un minorato mentale, capitoli brevi, poche pagine in totale, storie esilissime, molti dialoghi. Trovo questa pratica, quando fatta ad arte, la fine di ogni opera intellettuale e di scrittura letteraria.

Per questo, terminando questo mio nuovo romanzo, sono molto orgoglioso della libertà e del coraggio che è costato. A me e al mio editore.

Ma c’è dell’altro.

Alcuni miei libri, negli ultimi dieci anni, hanno avuto successo. Quel che dovevo e potevo fare per cavalcare il favore del pubblico lo so bene io, come possono intuirlo tutti, anche i non addetti ai lavori. E’ quello che si fa comunemente, preferendo scrivere ciò che “si deve” rispetto a ciò che “si vuole”.

Tuttavia, ho capovolto la mia vita per cosa? Per essere libero, il più autentico e libero possibile. E allora? Non potevo seguire il faro dell’opportunità. Sarebbe stato un calcio sugli stinchi della mia storia.

Mi sono messo a studiare senza contratto con alcun editore, senza tempo stabilito, senza alcuna garanzia o scadenza. Poi mi sono accinto a scrivere senza neppure sapere se qualcuno avrebbe mai pubblicato il frutto di questa enorme impresa. Mi sono goduto il tempo dello studio e della scrittura senza vincoli, libero di assecondare la mia emozione verso la storia e i suoi personaggi. E fatalmente, a riprova che il nostro destino non ci indica mai la strada ma lo incontriamo lungo la via giusta dopo averla già intrapresa, un editore ispirato, illuminato e coraggioso si è innamorato dell’idea e mi ha sostenuto.

Ecco perché sono molto felice di aver concluso questo lavoro, proprio poco fa. E’ costato anni di studi e di impegno, compiuti alla luce della grande gioia della libertà e della creatività. Nulla come questo romanzo mi identifica e mi rappresenta. Nulla di ciò che ho scritto fin qui. Qualcuno che lo ha letto mi ha detto: “un romanzo così non lo scriverai mai più”.

Cercare ciò che ha senso, perseguirlo con cura, con la determinazione delle scelte impopolari e non opportune, ma vere e sentite, credo sia la maggiore garanzia che si può offrire a un lettore. Potrà amare o odiare quello che scriviamo, ma sarà certo che nessuno lo avrà preso in giro.

(- 17 all’uscita di #Rais)

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Dove siete?

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Vedere la poppa…

Come il primo giorno di vacanza, dopo la scuola, come il primo giorno dopo gli esami, alla maturità o all’università, come il primo giorno dopo l’ultimo di lavoro, quella prima estate, come il giorno dopo la fine del militare, come il giorno dopo il bachelor, come il primo giorno delle ferie d’inverno, come il giorno dopo quel matrimonio sbagliato, ma grazie al quale ho capito cosa non sono, come il giorno dopo essere entrato al Fienile dell’anima, che mi pareva d’aver finito e non avevo neanche ancora cominciato, come il giorno dopo aver detto quella cosa che avevo qui, come il giorno dopo essere salpato per la prima volta da solo, io e il mare, e tutto il mondo fuori.

Visto-si-stampi, come fosse una sola parola lunga, così si chiama quello che è successo ieri a Segrate. Me lo hanno strappato dalle mani, io che imploravo ancora ventiquattr’ore, ma non c’erano: “Salta tutto Simone…”, o ieri o niente, e allora è andato. Nove anni, mentre pensavo studiavo e scrivevo anche altro, ma un pezzo di me sempre lì, a provare a figurarmi il suo viso, la sua testa, da dove venisse la sua assurda cattiveria. E gli altri, immaginare per anni anche loro, dalla spia a Colombo, fino all’ultima nata, che poi ha preso in mano tutto, come fanno le donne quando c’è confusione: Bora. E poi fitto fitto per un anno intero, ogni mattina, ogni mattina alle 6.00, come si fa ogni cosa buona, con l’intensità dello sportivo, la ripetizione assidua e fedele del monaco, l’operosità intenta dell’artigiano, sette giorni su sette, a volte otto, due turni, anche il pomeriggio, fino a ieri. Non si può spiegare…

Dov’è l’amicizia tradita, dov’è l’amore, dov’è il nemico, dov’è il segreto, dov’è il mistero, dunque com’è andata? Dove se n’è andato Dragut, la sua galera ieri ha intuito bene il vento, mi ha preso dieci miglia, poi venti, poi il largo, guidone bianco e azzurro con la mezzaluna gialla al centro che volava alto, fino a che non s’è fatto punto, poi idea, poi ricordo, poi nulla; dove se n’è andato Keithab, dov’è Arslan, dov’è Khaled Imari, dov’è Bora, di cui non si trova più neppure la tomba nel paese dove nessuno si ricorda di lei; dov’è Ariadeno, Kahir al-Din, dov’è Occhialì, dove sono Andrea, il geniale Cristoforo, Carlo, dov’è La Vallette, dov’è il cipriota con le spalle larghe che le ha prese di santa ragione, dov’è lo Zoppo… Erano qui, talmente accanto da essere dentro, per mesi, anni, e ora… Dove sono andate le migliaia, centinaia di migliaia di marinai senza nome con cui ho navigato anni, dove sono andate le loro isole sicure, la loro brama di ritorno, dov’è finito Piri Rais, dove sono ora i teschi della “Torre dei crani”, teste anonime decollate sulla spiaggia di Gerba, una catasta alta dieci piedi, con una circonferenza di centodieci, visibile dal mare, che rimase su quella spiaggia dal 1546 alla metà dell’800. Tutti viaTutti salpati per proseguire un viaggio che senza di me non avrebbero mai intrapreso. Irriconoscenti, dimentichi, insensibili come tutti i figli. Dove sono andato io…, disperso nei loro lineamenti, nelle palpitazioni asincrone dei loro cuori tamburi sotto la pioggia grossa che sa di sale. Dove siete adesso? E dove sono io, ora…?

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Nei suoi venti

 

Porzione di copertinaScrivo ormai dalle 6 alle 18, pausa breve, o dalle 8 alle 19, come oggi, e presto dovrò iniziare anche la sera. È durissima, mi fa male tutto, non sto più neppure andando a correre. Ho gli occhi in fiamme, le spalle che quasi non le sento più, le dita delle mani anchilosate. Nella testa parole che si schivano, l’angoscia di una ripetizione, il terrore di quella frase che non va, non torna, non viene.

Rais chiede questo per nascere. Vuole sudore, sacrificio, vuole vedermi piegato, capire quanto reggo, fin dove sono disposto a spingermi. Rais vuole vedermi in burrasca, osservarmi che governo col forte. Vuole vedermi ferito, in ginocchio, senza equipaggio, vele che stanno per cedere, senza cibo, senz’acqua.

L’ho sfidato io, non posso neppure lamentarmene. Io ho voluto osare quel che non avevo mai tentato, spingermi per un oceano così immenso, senza carte o strumenti, dovendole disegnare io mentre navigo, semmai. Il rais è duro, violento, abituato allo scontro, e sono nelle sue acque, nelle gole dei suoi venti. Conosce le baie, i ridossi, sa dove fuggire mentre io navigo alla cieca.

Non immaginavo, non credevo di rischiare di soccombere. Le parole sono le mie, la storia è la mia, pensavo. Ma non è così. Un ammutinamento, ben presto, mi ha tolto il comando. I personaggi sono fuggiti di notte, lasciandomi senza battello di servizio, senza armi, si sono impossessati di una galera veloce, hanno issato vela. Sono dovuto salpare, rincorrerli per ogni isola, per canali, mari interni, tener dietro alla loro folle corsa, perlustrando porti, insenature.

Ora sono giorni, settimane, mesi che li tallono. Cercano di darmi i rifiuti del vento, di coprimi quando è debole, spingermi in altura se sale. E sta arrivando la notte decisiva

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Co(o)pertina

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A partire da oggi
per due settimane potete aiutarci a scegliere la copertina di RAIS, il mio nuovo
romanzo, da ottobre in libreria.

Votate, basta andare su questo link di facebook e mettere un “mi piace” sulla copertina che preferite. Se poi volete condividerlo, aumentiamo la base dei votanti.

Se volete, prima, guardate il video sul romanzo e anche il video  su questo sondaggio.

Ciao, grazie. Simone

 

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