No alla droga

Splendida foto, non mia. Eiettiamoci dal sellino. Da soli.

Un paio di storie sportive, nel recente passato, mi hanno dato qualche buona speranza. Ho atteso a scriverne perché ci stavo riflettendo su. Ma se Flavia Pennetta e Nico Rosberg hanno lasciato dopo aver vinto qualcosa d’importante, forse una speranza c’è.

Mi piacciono due cose di queste storie. La prima è che i due campioni non fossero dei predestinati, con doti soprannaturali, certamente muniti di buon talento ma che hanno perso tanto prima di vincere. Gente che per vincere ha dovuto dare tutto quello che aveva, trovare quel che non sapeva neppure di avere, dunque esseri umani come noi, come chiunque, con qualche buona dote e altrettanti difetti, primo tra tutti: la paura di non farcela mai. La seconda questione è il fatto che si siano ritirati dichiarandosi soddisfatti, avendo ottenuto quel che di importante potevano e volevano. Da quel momento, a parte i soliti articoli ammirati e un po’ di clamore, sono rientrati nell’anonimato. A breve nessuno si ricorderà più di loro, se non le statistiche e gli amanti della storia sportiva. Tornano, probabilmente, in un limbo di anonimato che è il contrario esatto del centro dei riflettori. Diranno, faranno, brigheranno certamente, ma non più “nella scena”. C’è un altro sportivo che vorrei avesse fatto, o facesse la stessa cosa: Alex Zanardi. Il compimento di una parabola meravigliosa, per lui, oggi, sarebbe dire: “ho fatto di tutto, adesso voglio compiere un ultimo miracolo: tentare di vivere in armonia senza la droga delle vittorie”. Lo so, con i campioni pretendiamo sempre troppo….

Sarà che a me non piacciono i “malati di”: i malati di lavoro, che dimenticano tutto il resto; i malati di riposo, che dimenticano di stancarsi; i malati di libri, che dimenticano la vita; i malati di azione, che dimenticano la contemplazione; i malati di “ciò che non ho”, che dimenticano “ciò che ho”; i malati della famiglia, che dimenticano l’amicizia e se stessi; i malati del cibo, incapaci di godere di ogni altra cosa non commestibile; i malati dei figli, che parlano solo di figli; i malati della libertà, che non sono capaci di legarsi; i malati della vela, che non capiscono nulla tranne fare vela; i malati di felicità che parlano solo di “happyness”, spaventati da chissà quale loro naturale tendenza a perdersi; i malati di musica, i malati di finanza, i malati di viaggi, che non sanno starsene fermi in un posto senza provare il bisogno di andare più in là; i malati di chiacchiere, che non contemplano mai il silenzio; i malati di potere, i malati di volontariato, i malati di soldi, i malati del vino; i malati delle “cause” sociali; i malati di politica, che ti accusano di fregartene quando se c’è qualcuno che ha confuso il mezzo col fine sono proprio loro; i malati di sesso (che sono quelli che capisco di più, a dire il vero… Sto scherzando!); i malati dell’estate, che non capiscono che la cosa più bella di ogni stagione è che cambierà, i malati della montagna, che non concepiscono altro che salire; i malati dei record, i malati degli abiti, i malati della semplicità, i malati della comodità, i malati dell’economia, i malati del dialogo, i malati del silenzio

Mi piacciono la Pennetta e Rosberg perché sembrano sani. Chiunque sappia dire “basta!” rivela che faceva qualcosa con passione, con partecipazione, con dedizione, era pronto a grandi sacrifici, ma non era drogato. Come ha fatto quel sentiero, può farne un altro. Anzi, vuole, è curioso di un altro sentiero! Non essere il percorso che facciamo, non soggiacere ai dettami di un solo mondo, della biologia, dell’età, della cultura di riferimento, dell’etnia, della religione di appartenenza, delle mode dell’epoca… ecco una forma di salute che mi affascina. A cui tendere.

Share Button