La linea

 

linee sottili, più resistenti di una cima d’ormeggio

Mi sono accorto della linea solo dopo averla percorsa. L’ho guardata sul plotter, quello della foto qui sopra: arcuata, spezzata, fatta di continue correzioni di rotta, tutto fuorché facile, dritta, lineare. E solo in quel momento l’ho capita. Una rotta sottile, nera, un filo, apparentemente fragile, eppure solidissimo. Partiva da Beirut e finiva a Haifa, due paesi in guerra da molti anni, che proprio di recente si sono lanciati missili, che non si possono neppure sentire nominare l’un l’altro. E quella linea, oltre a molte miglia, molte ore di navigazione, problemi con le guardie di frontiera, qualche rischio… significava qualcosa, era simbolica, metaforica.

Ma alla pace, all’unione tra opposti che quella linea simboleggiava, a come imbarcazione Mediterranea stia riuscendo nel suo intento di cucire, incontrare, forse suturare, forse avviare… ho pensato soltanto dopo. Quando l’ho guardata sul plotter, col maestrale che saliva, le onde che si alzavano e accorciavano, ricordandomi quanto è stretta l’entrata del porto di Herzliya, ai pericoli che stavamo per fronteggiare, quella linea mi è sembrata solo una cosa mia. Una sigla, la cifra dell’essere arrivato fin qui come uomo prima che come marinaio. Si riferiva al posto da cui sono partito tanti anni fa, al significato che ha per una persona trovarsi dove un giorno aveva pensato che si sarebbe trovata. Mi sono messo a ragionare sulla forma di quella linea: una parentesi aperta, o una “C”, o un orecchio, dunque l’inizio di una spiegazione (la parentesi), o la “C” della parola Coraggio, o l’ascolto (l’orecchio). Cose buone che mi servono anche adesso, nella mia vita presente e futura. Dotazioni obbligatorie.

Ho collegato cose distanti tra loro. Ho salutato le persone che c’erano durante questo percorso. Sono stato serenamente certo che avrebbero sorriso vedendomi qui. Ho capito, soprattutto, che per unire Libano e Israele in una rotta simbolica, significativa, che onora questa barca e me che sono al comando e il suo equipaggio coraggioso, in un gesto raro, voluto, contro ogni evidenza, a testimoniare che qualcosa è sempre possibile con coraggio e spirito d’avventura, con passione e tenacia… ecco, per fare tutto questo, serve aver fatto molte cose prima. Qui non ci arriva chi abbia a cuore la pace, o il dialogo, che sono cose fuori, altre, della società. Ci arriva chi si è occupato di sé, cioè chi ha fatto il lavoro più importante di quella società: emancipare se stesso, rendersi il più libero possibile, cercare l’autenticità, fare ciò che è adatto a sé, interrompere l’insensatezza di altre occupazioni, interrompere lavori dannosi, interrompere l’emorragia del tempo. Quell’uomo, che qualcuno avrebbe potuto giudicare egoista perché si è occupato di sé, è l’unico che può occuparsi dei simboli, delle metafore, cioè del mondo intorno a sé. Pochi lo fanno. Per questo il mondo va così male.

Ecco cosa c’era disegnato su quella carta nautica: un filo. Una linea. Un profilo in cui, forse, davvero, riconoscersi.

Share Button

L’opera critica

Sotto rotta, ma resistendo…

Il marinaio non può accettare la deriva. La deve conoscere, misurare, fare ogni cosa per ingannarla, correggerla. È, come diremmo in sede letteraria, critico verso di essa. La deriva è la spinta laterale, o comunque il perturbante della rotta, che “deriva”, appunto, dal flusso dell’acqua, dalla corrente. È dove l’acqua va, dunque dove andrebbe anche lui, sopra alla sua barca-vita, se non governasse. Per questo deve contrastarla, tranne il raro caso in cui coincida con la sua prua, cioè praticamente mai.

Se c’è una cosa che il marinaio sa, è che non deve lasciare in bando le vele, né abbandonare mai il timone. Ciò che lo porterà al sicuro, al termine del suo viaggio per mare, deriva soprattutto da quello, unitamente al calcolo di ogni agente deviante. Ogni cedimento alla corrente, ogni rilassamento nel contrasto alle forze agenti del vento e del mare, ogni sottovalutazione dei fuori rotta e delle loro cause, a meno che non sia voluto, lo pagherà con ore, miglia, e patimento. O con un atterraggio sbagliato, dove non voleva arrivare.

Utile prestito concettuale dalla marineria alle nostre vite. La corrente del mare, la direzione dove tutto viene spinto senza governo, la conosciamo. La nostra direzione, invece? Si spera anche quella… Possiamo dunque assumerci la responsabilità di condurre la nostra prua o di lasciarci trasportare dovunque. Tutto, tranne una barca sotto rotta e timone, segue quella corrente: tronchi, particelle d’acqua, alghe, relitti, e in larga misura pesci e migrazioni. È facile, basta smettere l’atteggiamento critico (dal greco κρίvω: distinguo), dare per buono quel che avviene, non escogitare, ad arte, alcuna contromisura, sedersi, lasciarsi portare, senza fare alcuna differenza. La scelta di navigare è una continua, minuziosa, caparbia opera critica, un eterno distinguo tra ciò che avverrebbe naturalmente e ciò che occorre far capitare. Un imperituro, voluto, divertito contrasto alle forze di massa. Marinai, dunque. O naufraghi. Una scelta.

Share Button