C’era

Non c’è. Il tempo, dico. Un maestro mi disse: “non è né tanto né poco, il tempo, è quello che è. Solo che poi finisce”. Fossati dice tutto il contrario, salvo poi, nel finale, ammettere che: “c’era un tempo sognato che bisognava sognare“. Lo abbiamo fatto? E cosa sognavamo? Io ho sempre odiato l’imperfetto, tempo, appunto, sbagliato. Però per onestà la domanda facciamocela.

Il tempo… ho passato un mucchio di tempo a pensarci. E ha ragione un mio amico, forse, che mi invita a spostare a quando sarò vecchio tutte le cose fattibili anche in là con gli anni. Alcune cose poi non si possono più fare. E uno dice: “I cinquant’anni ti portano a questi pensieri, eh!?”. Mi spiace deluderlo: penso a questo da quando avevo quattordici anni. Chiusi “Così parlò Zarathustra” e iniziai a farlo. Forse anche da prima, così mi pare almeno. Certo, non mi sono più fermato.

Il remoto è così in là che neanche si ricorda; l’imperfetto è sbagliato già dal nome; il futuro, etimologicamente, è quel che “sta per essere”; il presente, oltre che verbo, è un dono. Un regalo che ti sta davanti in quel momento. Immagine assai evocativa. I tempi. Che tipi… Tutta roba che inizia e finisce. Hanno inventato il congiuntivo e il condizionale, i modi dell’ipotesi, proprio per mescolare un po’ le carte.

C’è tempo, dice Fossati. Dunque ora, qui, come fu allora lì. Un tempo per tutto. Per seminare, sognare. Ci penso da due giorni. Giorni che, in questi due giorni, sono stati progressivamente: futuro, presente, e ora sono passati. Non invano. “Spero”: sperare coniugato al… presente. Quando la volontà e l’ottimismo fanno del passato, un regalo.

Share Button

Sul filo

kos-isola

Kos

Quando sono entrato qui, nel porto antico di Kos, l’altro ieri, ho avuto la mia vibrazione, un lieve formicolio tra orecchie, collo, nuca. Da quando faccio il comandante sulle barche è la mia stella polare. La mattina mi sveglio, e se ho quel formicolio sta per capitare qualcosa. E’ quasi sempre riferito alla meteorologia, ma non solo. Un mese e mezzo fa sono salpato da Kalymnos e ho detto all’equipaggio: “ragazzi stiamo all’occhio che ho il formicolio”. Detto fatto, fuori dal porto la barca non sale di giri. Una rete nell’elica. Bagno, coltello e via. Formicolio sparito. L’altro ieri entrando stessa scena. Pensavo fosse perché qui tutti si danno catena addosso ormeggiando. Invece oggi faccio per salpare e ho un’avaria all’impianto elettrico. Motore non parte, mentre sale vento e rischio un po’ nell’ancoraggio. Metto in sicurezza la barca e faccio check generale. Individuo il problema. Stasera alle 19.00 dovrei risolverlo. Intanto il formicolio si attenua, va a scomparire. Sono certo che l’ultima vibrazione si dileguerà a lavoro finito.

Ora attendiamo i pezzi di ricambio. Dunque giornata senza occupazioni. Farò piccoli lavoretti, scriverò, leggerò, altro. Il tempo ritrovato, come lo chiamava un francese amante del tè e dei salotti, cioè tempo che non avrei avuto qui e che invece appare per incanto. Come quando attendiamo qualcuno che non arriva. Non è tempo perso, ma liberato, ritrovato, apparso. Le cose per mare cambiano, senza preavviso. Come nella vita. Tutto si evolve, muta, e va sempre come deve andare. Ogni cosa che possiamo e dobbiamo e soprattutto vogliamo consolidare, far evolvere con sogni, passione, progetti, coinvolgendoci, compromettendoci, coinvolgendo, si sviluppa in quel senso. Il resto si spegne, si distanzia, si liquefà. Salvo i colpi di mano della sorte, che può sconvolgere tutto inopinatamente, costringendoci ad ampi fuori rotta o a constatare di aver perduto l’attimo.

Il tempo. Ci rifletto ora, in questo bar sulla marina. Ne parlavo anche ieri con F., passeggiando. Sperperarlo e iperutilizzarlo sono i due estremi, mentre sul filo sottile tra utilizzo e spreco il tempo rivela la sua natura possibile. Prima che tutto cambi, che sia tardi per ogni cosa, occorre usarlo, masticarlo, gustarlo, inghiottirlo. Eppure, non dobbiamo farci prendere dall’ansia di fare, progettare, lavorare, foss’anche ai nostri sogni. Cosa deve prevalere, relax o azione, attesa o marcia, progetto o libertà dai vincoli dell’immaginazione? Noi che siamo qui, dobbiamo restarci o andare? E quando saremo lì, dovremo sostare o muoverci? Cos’è “presto”, il fratello o il nemico di “tardi”? Domande. Sul filo.

Share Button

Troppo attivo

IMG-20141118-02624

Gomene trattenute o che stringono?

La solitudine e la noia. Mi ricordo che ci pensavo: “Ma non mi annoierò? Con dieci ore disponibili, che di solito sono impegnate dal lavoro, che ci farò?” Paure. Per niente campate in aria. Ci vuole molta fantasia per impegnare il tempo. E non basta neppure.

Il tempo scorre rapido quando vorresti che rallentasse. E’ immobile quando aspetti. Vorresti startene solo quando non puoi, e qualcuno che bussasse quando sei solo. Nei rari momenti di transito, vuoto e pieno si bilanciano, tempo e relazioni ti bastano. Ma avere e non avere (tempo e compagnia), non hanno a che fare con ciò che si ha.

La frenesia, l’incapacità di non fare, sono un segnale. Nell’imbrunire è possibile trovare l’alba, ma non è immediato, per nulla semplice. La solitudine non è necessariamente isolamento, anche se guardi e non vedi nessuno. Mi è capitato di aver voglia di stare da solo dopo essere stato con me: mi ero fatto l’effetto di una moltitudine. Mi è capitato di aver voglia di stare con gli altri, mentre ero con gente che somigliava a un deserto.

A bordo, d’inverno, le ore scorrono seguendo un filo tutto loro. Ieri ho pensato: “stamattina ho lavorato due ore al computer, poi tutto il resto del giorno cos’ho fatto?” Niente. Forse è per questo che oggi ho bisogno di riposo: sono stato troppo attivo, in quel niente.

Share Button