Prendersi cura (invece che pena)

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Occupiamoci del Mediterraneo, come faremmo con un figlio, con un caro amico, con un padre.

L’illusione di poter vivere tranquilli mentre il mondo affonda nelle guerre e nell’ingiustizia è soltanto una chimera. L’unica protezione è prenderci cura degli altri, fare di tutto per condividere le nostre fortune, agire per la pacificazione, smettere di mandare aerei e uomini, per motivi di predominio, a spodestare tiranni che noi stessi abbiamo sostenuto e legittimato (vedi la Francia con Gheddafi), agire per dialogo e scambio, integrare e accogliere, comprendere i problemi e tentare di risolverli. Smettere, ad esempio, di fare la prossima guerra, per la quale non c’è alcuna giustificazione. Senza una nostra vera e profonda cultura della pace, vivremo sempre in guerra. Pagheremo sempre dei prezzi, brutali, orribili, legittimi, rari, frequenti o inconcepibili che siano.

E piantiamola di citare Oriana Fallaci per queste questioni. Anche a una grande scrittrice, in età ormai avanzata, capita di dire scemenze sotto il peso del ricordo e del cattivo carattere. Smettiamola di far emergere a ogni attentato la rabbia xenofoba che alberga latente in ognuno di noi, frutto dell’inconsistenza culturale e dell’alienazione delle nostre vite, che generano odio e risentimento gratuiti e dannosi. Le bombe russe, americane, inglesi, francesi, forse domani italiane in territori su cui non abbiamo alcun diritto d’azione e operazione, lanceranno sempre schegge su di noi. E ogni volta che qualcuno cade, stupirsene non ha che il senso del paradosso.

Accanto a questo, che è la nostra parte di lavoro, ci occuperemo dei folli e dell’assurdità degli altri, ma avendo fatto la nostra parte. Prima.

Intanto, mentre facciamo questo, ricordiamoci anche che la mia generazione è la prima senza guerre, violenze, carestie sul proprio suolo da almeno un milione e mezzo di anni. Il mondo non è quello che qualche buontempone pensa. Non aver visto mai il mare non implica che il mare non ci sia. Tra quello che non vediamo e quello che c’è, passa la nostra capacità di capire. Il nostro dovere di tentare.

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