Lacci

19032005 I lacci non sono alberi. Quelli sono i lecci. Ma fanno ombra ugualmente, anche di più. Impediscono al sole di scaldare la pelle, la fanno impallidire. I lacci non sono legami, anzi, intervengono dove due cose sono sciolte, dove, diversamente, ogni parte andrebbe per la sua strada. Tengono unito, i lacci, ciò che dovrebbe starsene per conto suo. A volte sono buoni, come quando si chiamano cime e tengono irretita una barca all’approdo. Ma anche quei lacci vengono sciolti, prima o poi, perché li ha disposti chi può slegare i nodi. Dunque lacci veri non sono. I veri lacci li ordisce chi trattiene, mai chi è trattenuto. I lacci hanno sempre un tempo. Prima o poi vengono tagliati. Sempre.

Nella nostra epoca, nel moderno occidente, la libertà è materiale che scotta. Non ci vuole liberi il capitale, che intende stringerci a sé con i suoi strumenti finanziari, i suoi mutui, i suoi prestiti, i suoi consumi “necessari”. Non ci vuole liberi la politica, che ci chiede 1.500 firme da cinque regioni d’Italia per presentarci alle primarie del PD, che ricorre al voto di fiducia sul maxiemendamento per evitare l’iter parlamentare, che ci chiede di spendere per sostenere il Paese (il loro…). Non ci vuole liberi il bisogno, che contraddistingue ogni azione della gran parte di noi, in cui non c’è traccia di desiderio, di scelta volontaria, di passione, ma solo di necessità, costrizione, limite. Non ci vuole liberi l’informazione, che pensa di selezionare per noi notizie irrlevanti, truccate, costringendoci sempre più a fare a meno dei giornali, che pure sarebbe così bello leggere se fossero scritti da gente che pensa in modo autonomo. Non ci vogliono liberi le ex mogli, che ci costringno a divorziare, fare cause, lottare per avere quel che di diritto dovremmo avere, e cioé la facoltà di andare, finito l’amore, capito l’errore, capita la miseria.

I lacci. Ecco l’icona del nostro tempo. Il network è un insieme di lacci. Il blackberry, il telefonino, l’e-mail, se usati male, sono lacci. Facebook, LinkedIn, Twitter, sono lacci. Il lavoro tutti i giorni, sempre uguale, alla stessa ora, nella stessa scrivania è un laccio. E la solitudine? E la vita (“tutto il resto non è vita, ma tempo” diceva Seneca)? Non si sa… Come facciamo a vivere sapendo che teniamo qualcuno allacciato, che senza quei lacci volerebbe via, che altrimenti, se sciogliessimo il nodo alla bitta, non lo vedremmo più? Ma non capiamo che quel laccio ci fa perdere ogni cosa di colui che leghiamo? Ho provato a spiegarlo, un giorno, a spiegare che se non venivo sciolto subito sarei andato via per sempre. Non erano che parole al vento. E infatti sono andato via.

Io salpo. Sciolgo la cima. Ma prima di salpare lancio un appello. Lo strumento più rivoluzionario del momento, signori miei, è anche il più antico. Il primo uomo prese una pietra e la scheggiò, vide che da un lato, sul filo, tagliava. Nacque il primo coltello. E’ lui l’eroe del nostro tempo. Il coltello per tagliare, per segare, per liberare. Il coltello da usare contro di noi, non sul nostro corpo, ma sui nostri lacci, che ci stringono, che ci limitano, che ci segano i polsi. Pensateci, liberi, sani, vuol dire senza lacci. Alzatevi, prendete un coltello, tagliate tutto. E poi mettetevi in marcia. Il mondo senza lacci è tutta un’altra cosa. Morirete a novant’anni, come avverrebbe comunque. Non rischiate niente. Anche il rischio, la paura che nasconde, è un laccio. E allora, non abbiate paura. E’ un buon inizio.

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2 pensieri su “Lacci

  1. In effetti c’è da riflettere su come “madre natura” ci abbia creati “collegati” dal cordone ombelicale alla nostra mamma, quindi il “danno” da laccio lo ha fatto l’uomo successivamente, nell’inventare il laccio ed il legare ed anche il coltello che però è visto come strumento pericoloso, perchè nel tagliare ci si può far male!
    Ci si lega e si lega per paura di perdere o per paura di fuga, per paura di disorientarsi, per il piacere di possedere.
    Interessante davvero la tua riflessione Simone.
    Ma se si impara a tagliare, poi cosa si fa con i monconi sfilacciati che ci restano?
    Bisogna dar loro sepoltura o conservarli come reliquie?

    Un abbraccio
    Paola

  2. Ciao Simo,
    eh, i lacci…Molti anni fa scrissi questa poesia

    NELL’ANNO IX

    si è chiuso il nono cerchio intorno al sole
    inizio ed esito gemelli di un istante
    per nove volte congiunti da un anello
    di un solo suono
    un’eco senza fine

    col suo vuoto abbandono all’invisibile
    l’addio rassegna ancora
    nelle mani invisibili del vuoto
    un tempo morto;
    di nuovo il tempo espone a fredde stelle
    il sogno morto
    l’infante che ha succhiato l’abbandono
    dal tuo labbro sicario

    come l’antica maga al suo telaio
    sotto il mantello nero dei suoi occhi
    tirava i fili di un incantamento
    tu intrighi un nuovo laccio
    sullo specchio in frantumi del mio cielo

    di nuovo
    poiché nulla ci unisce
    nulla potrà dividerci;
    nessun nodo è più forte dell’addio
    nessun amore più della sua morte

    Per il resto, come va? Sono alla ricerca de ” L’estate del disincanto “, che vorrei leggere nella cornice appropriata, ossia il mare, che io, al contrario di te, conosco solo dalla spiaggia ( soffro il mal di mare, acc…). Mi duole non aver saputo, causa cornutaggine dei cosiddetti ” amici “, della presentazione che facesti a Frascati ( però, pure tu, due righe no, eh? ). Vabbè, ti dirò altro in privato. Intanto sono felice della tua bella carriera di scrittore e ti auguro di possedere sempre la tua qualità creativa, umana e intellettuale; una dote di cui, al mondo d’oggi, c’è un disperato bisogno.
    Ti abbraccio

    Nick

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