Mimmo De Masi e io ci siamo un poco scontrati a Roma. Lui viene dalla cultura marxista, dal credo politico e dal movimento degli anni Sessanta e Settanta. Io sono venuto dopo, sono tendenzialmente anarchico, credo in una serie di valori ma venati da un certo endemico nichilismo. Soprattutto non sento su di me la responsabilità delle sorti della società, che vivo come un dato importante ma non come una missione.
Il punto che lui ha mosso (chiamandolo “complementare al mio”) è che condivide l’analisi (un grande sociologo condivide la mia analisi, wow!) sia del management, sia del lavoro in generale, sia della generazione dei quarantenni, ma propone una via più attiva: cambiare le cose standoci dentro. Io gli ho detto che secondo me la partita è persa, questo capitalismo e la società che ha costruito sono falliti, dunque io non attendo movimenti, partiti, filosofie (che per altro non vedo all’orizzonte nel nostro Paese) e lascio quello che non condivido, quello che secondo me vincola invece di arricchire (anima, cuore, mente, vita). Tutto ciò, rinunciando IO, pagando IO, cercando di essere IO felice a mio modo. Sulle prime, a un battagliero come me, questa critica ha prodotto grandi riflessioni, per vedere se avevo tralasciato qualcosa, se forse ero in errore (del dubbio parlo nel libro). Poi ho capito una cosa importante.
Ghandi diceva “dobbiamo essere il cambiamento che vorremmo vedere nel mondo”. Ecco il punto. Io esco dal sistema del lavoro (per quanto possibile), del denaro (per quanto possibile), della schiavitù (per quanto possibile) e rifaccio i MIEI conti, riorganizzo la MIA vita, provo a vivere giorno per giorno i MIEI valori. Ma facendo questo, che faccio per me (a tutti quelli che mi prendono in giro dandomi del Guru da strapazzo ricordo che io ho fatto scelte mie, per me, e ho scritto un libro in cui parlo di processi e non di scelte da emulare), costituisco una prova che una via (o più vie) per cambiare alcuni fattori del sistema c’è. Quando dico che un uomo libero è un problema serio per il potere, per le aziende, per la politica, intendo dire che IO non soggiaccio a una serie di vincoli, me ne libero, ma è evidente che apro una crepa (piccola) nel muro. Un giorno mi ricordo che decisi di non fare più benzina alla Esso o di non comprare più prodotti di un’azienda che faceva lavorare i bambini e dicevo ironicamente “sto embargando la Esso. Li tengo per le palle”. Io contro il colosso. Era un gioco naturalmente…
Tuttavia, quel gioco è reale, vero, ha un senso. Preferisco fare così, è nelle mie corde. Io scelgo per me e poi constato (ex post) che questo ha un valore politico. Nullo quasi (sono un uomo solo) ma emblematico. Gli altri possono fare quello che credono con me, accanto a me, a prescindere da me, oppure l’opposto. Così mi sento rassicurato di fronte alle critiche di De Masi.