(Mala)Fede

La resistenza al cambiamento è sorprendente. Tu pensi che sia forte, che opporrà resistenza dura, ma non puoi immaginare quanto. E rendertene conto è uno choc.

Non si tratta solo di dire “non ce la farò mai”, che è la paura più diffusa (la sensazione di essere inadatti, di non potere, di non sapere come fare, di non poter contare sulle proprie forze). Se si trattasse di questo le cose sarebbero più semplici. Basterebbe cimentarsi, provare, osservare come nella nostra vita (anche solo statisticamente) una serie di azioni intraprese, di sfide raccolte, siano andate a buon fine. Dall’esame della quinta elementare, a quello di terza media, alla maturità, per alcuni anche dopo, università, master, e poi colloqui di lavoro, patente di guida, patente nautica, riunioni di lavoro complesse, e perfino la sfida (per nulla semplice) di attrarre qualcuno, di farsi dire di sì da un uomo o da una donna, di convincere qualcuno di un’opinione, di una proposta, di un progetto qualunque. Statisticamente, milioni di persone sono riuscite in gran parte di queste attività, a dimostrazione che se ci si mettevano, se si impegnavano, le cose nella loro vita più o meno accadevano. Accadevano con una percentuale di errore o di successo nella media, intendo. Cosa non da poco, se ci pensiamo, perché la nostra paura poggia proprio sulla convinzione opposta, e cioè che se la media può aspirare a riuscire in quella data azione, noi, invece, tapini, non ce la faremo. Ragionare su questa evidenza, fare una propria “check list del possibile” aiuta molto a relativizzare e razionalizzare le nostre paure.

Ma purtroppo la resistenza al cambiamento ha la straordinaria facoltà di riuscire a mistificare, mescolare le carte, diventare altro ogni volta. Tra tutte, la paura di “non potere” potrà essere forse la fondamentale, ma il suo vestito cambia spesso, a seconda della nostra intelligenza, del timore di venire scoperta e battuta, delle condizioni esterne nelle quali ci troviamo. Ad esempio, ci si manifesta come sospetto. Per evitare di doverci cimentare, tendiamo spesso a sospettare che chi ce l’ha fatta abbia barato. Se lui bara, vuol dire che siamo in salvo, perché quella certa azione si rivelerebbe effettivamente impossibile per tutti e fattibile solo barando (cosa che noi non possiamo fare oggettivamente). Un esempio: se qualcuno vince un concorso, sospettiamo subito che sia stato raccomandato. In questo modo, sprovvisti noi di una raccomandazione (fattore estraneo alle nostre capacità), non tentiamo neppure, “tanto sarebbe inutile”. Non ci sfiora neppure per un attimo l’idea di tentare comunque, di credere che bastino le capacità. Non tentare essendo al riparo da critiche ci soddisfa e ci avanza. La nostra paura ha vinto. Badate al processo, non al fatto in sé (a volte le raccomandazioni sono effettivamente l’unica via).

Un’altra manifestazione della resistenza al cambiamento è che “costi troppo” (troppo tempo, troppi soldi, troppo impegno, troppa pazienza…) e che dunque chi l’ha fatto sia più ricco, più dotato, più…qualcosa di noi. In quel caso tentare sarebbe una follia, cioè cosa da persone non raziocinanti. Ancora una volta siamo al sicuro.
La più diffusa manifestazione, la più raffinata, è quella culturale, politica, intellettuale. Se un certo principio di cambiamento fosse ingiusto e si basasse su presupposti politici e culturali da noi ritenuti non validi, potremmo sottrarci al cambiamento facilmente, e per di più con tutti gli onori. Pensare a un mondo diverso, a un sistema migliore, ne è un classico esempio. Se noi crediamo nella rivoluzione, ad esempio, non abbiamo che da attendere che avvenga. L’ipotesi di cominciare noi, da soli, a rivoluzionare il nostro mondo cambiando vita, consumi, abitudini, verificando quanto sia possibile, facendo testimonianza diretta, etc… lo bolliamo come “scelta individuale”, come “fuga nel privato” o addirittura come egoismo. Declassiamo il valore intellettuale e politico di quella scelta per rendere meritevole la nostra attesa di Godot. Meglio aspettare la rivoluzione, cioè aspettare ab aeterno. Così nel frattempo siamo al riparo dalla fatica di darci da fare.

Chi fa le spese di tutto ciò è l’avventura della vita, che è attività da noi non scelta (fatale…), per di più insensata (moriremo), e che dunque ci impone almeno (durante) la ricerca del piacere, del benessere, della gioia, dell’equilibrio, dell’armonia. Anche in questo caso la “responsabilità” di questa occasione mancata non è la nostra. Vi ricordate Alberto Sordi? “A me m’ha rovinato la malattia!”. Come dire: “Se non avessi avuto quel tale impedimento… chissà cosa avrei fatto!”. Ma la malattia (grazie al cielo [o purtroppo?]) la stragrande maggioranza della gente non ce l’ha. Anzi, è sanissima… (almeno in apparenza…).

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46 pensieri su “(Mala)Fede

  1. Ciao Simone, ti ho scoperto la scorsa notte tra venerdì e sabato in un’intervista a tv7 mentre ero in dormiveglia..e quando ho sentito del tuo (mi permetto ancora di darti del tu ;)) abbandono del lavoro, del bisogno del tempo di vivere la vita unica e irripetibile, mi si sono drizzate le orecchie, mi sono incuriosita e sabato mattina sono andata a comprare il tuo libro, che sto leggendo..e su questo ancora non mi esprimo finchè non lo finiro’!
    Intanto condivido quanto scritto in questo post…siamo spesso circondati da persone che sono sempre “tanto brave” a parlare e troppo lontane dal vivere, buttarsi, provare, rischiare…mi rasserena scoprire che ci sono persone che vivono, che lottano, che si stupiscono e che respirano apprezzando gli istanti.
    A presto!
    Claudia

  2. Ciao Simone,
    scrivo mentre sono in ufficio,dentro un palazzo a vetri, freddo d’inverno e caldo d’estate, a contatto con persone ormai vinte da anni di questa vita.
    Vedere le loro facce è come vedermi allo specchio tra 20 anni;sono lì fermi,fintamente assorti davanti lo schermo di un computer,in attesa di poter “godersi la pensione”.Ti leggo,vedo i tuoi filmati e mi commuovo perchè sono del tuo stesso pensiero,della tua stessa pasta: chissà forse perchè anch’io sono dei Castelli e sono tuo coetaneo,o forse perchè anch’io amo il mare e la vela.
    Con i tuoi scritti,mi accendi la speranza di potercela fare un giorno.
    Grazie
    Claudio

  3. E’ che da piccolini tutti ci hanno instillato giorno dopo giorno la paura del rischio del cambiamento di modo che da grandi il rischio non è più opportunità ma solo cosa da evitare come la peste. E’ tutto qui il problema dell’Italia:ci han tagliato le ali del sogno, siamo nati vecchi. Chi cambia per migliorare lasciando il certo per l’incerto è visto male, c’ha qualcosa da nascondere. All’esito dell’instillamento abbiamo i bamboccioni tenuti nel nido sempiternamente dai genitori coccoloni, l’imprenditoria liberista a parole razzolatrice dei soldi pubblici, le carriere fatte coi santi in paradiso per chi ce l’ha, o costumanza ultima italica, il mercimonio sessuale.
    Il vero uomo al bivio tra la via che scende e quella che sale dovrebbe scegliere la salita.

  4. Anche io mi chiedo spesso, come Gloria, se le cose che adesso mi danno gioia, mi stimolano e mi piacciono, lo farebbero altrettanto il giorno in cui non fossi più costretta a barattare il mio tempo e la mia vita con uno stipendio.
    Il Desiderio si nutre di assenza.
    Se avessi tutti i giorni la libertà di fare tutto quello che ora spasmodicamente inseguo in fuggenti attimi di tempo rubato…. manterrebbe lo stesso sapore? O finirei per perdere il senso e il gusto che queste cose hanno per me, oggi?
    Un pò come il discorso di Simone sul “venerdi” (letto ieri sul sito di voglioviverecosì)- fratello minore del sabato del villagio….
    E’ vero che quando una conquista diventa la nostra normalità, smettiamo di volerla? O succede solo ad alcune persone?
    Quale dote umana serve per non cadere nel fin troppo facile tranello del bisogno continuo di un nuovo stimolo (che nel caso di una scelta radicale di vita sarebbe alquanto rischioso)? Disciplina? Pazienza? Equilibrio? Il downshifting è compatibile con un’attitudine alquanto “enciclopedica” alla vita?
    Mamma mia quante domande SPESSE!

  5. # Sindbad:

    io penso che i riti siano sempre presenti, anzi sono esplosi a dismisura, ormai sono incontrollabili. Però non sono più “riti di passaggio” sono riti consumistici.

    Organizzati, condotti, eseguiti con una “produttività” ben maggiore delle antiche civiltà tribali; più pesanti e costosi, insensati. Ti entrano in casa. Basta una TV, un telefono, una radio, un PC per partecipare, se non vuoi spostarti. Sono addirittura inconsapevoli. Occorre fare autocoscienza per liberarsene.

    Cito la frase di un giornalista di cui non ricordo il nome però: “Atei e credenti seguono la religione del dollaro”. Un sacerdote venezuelano: “Una messa di un’ora sembra un rito pesante per chì attende 30 minuti per entrare in una pizzeria affollata”. Quale delle due attese ha più senso?

    Io credo che mai come adesso, nella storia dell’Umanità così tante persone siano state coinvolte nel più grande assurdo, folle rito collettivo che si dipana sotto i nostri occhi tutti i giorni e vi partecipiamo. Non è forse una religione questa, un “credo”, non sono forse riti a cui non riusciamo (o vogliamo) sottrarci? Non abbiamo tutti le nostre immaginette sotto forma di dollari, yen, rubli, euro a cui teniamo più della nostra salute, del nostro tempo, della nostra sicurezza?

    Non siamo forse tutti “religiosi”? Solo che questo Dio non vale niente.

  6. @ Sindbad

    Quanto riporti d Terzani mi suggerisce una riflessione.
    senza l’intenzione di criticare un uomo per me così grande e ammirevole da non avere il coraggio di avvicinarmi ai suoi scritti perché temo troppo potenti per me.

    Distinguerei i termini della questione tra “origine” e “conseguenza”, una sorta di causa-effetto.
    Da quel che capisco, per Terzani il rito, la cerimonia, l’iniziazione sono origini, dalle quali deriva il senso, il rispetto, l’intensità della presa di coscienza del passaggio (nascita, matrimonio, morte), che quindi solo dai primi acquisiscono dignità e serietà.
    Se il rito è serio, allora anche il passaggio di conseguenza lo sarà.

    Ribalterei la prospettiva. Indipendentemente dalle situazioni o dalle scelte (o dal passaggio), queste dovrebbero avere già una loro serietà, già queste dovrebbero essere vissute dai protagonisti con profonda convinzione, consapevolezza e responsabilità. Solo poi, e sempre per libera scelta, si può far seguire il rito e questo può essere di qualsiasi genere, non necessariamente religioso. E’ il rito che così acquisisce profondità, non viceversa.

    Non so se sono riuscita a spiegarmi.
    Faccio un esempio.
    Quando è mancata la mia mamma è stato un dolore atroce.
    C’è stato il funerale in chiesa, certo.
    Ma dopo, con le persone più care, quelle che l’hanno amata veramente, e che io e la mia famiglia sentiamo sinceramente vicine, siamo andati in un bar, quello dove andavo sempre a prendere il caffé con la mamma. Ci siamo seduti ai tavolini all’aperto.
    All’inizio mi sentivo strana, inebetita, confusa, e mi sembrava tutto quasi surreale. Poi ho capito quello che stavamo facendo.
    Non abbiamo fatto baldoria in un finto tentativo di finto ritorno alla normalità, o per rimuovere o rinnegare uno stato d’animo di sofferenza.
    Avevamo voglia di stare insieme, in quel momento e ancora per un po’. Abbiamo chiacchierato e ricordato insieme, con tanta tristezza ma anche tanta tenerezza.
    Per me questo è stato il vero rito per vivere con intensità il momento lacerante di un passaggio senza ritorno.
    EC

  7. “… La fine dei riti l’ho vista realizzarsi nel corso della mia vita e , ora che guardo indietro, mi pesa aver dato,allora entusiasticamente, il mio contributo a questa grande perdita. Quand’ero ragazzo, i neonati venivano ancora battezzati, ai morti si faceva ancora la veglia e un vero funerale, e i matrimoni erano una festa corale officiata non solo davanti al divino , ma anche dinanzi a di parenti e amici che diventavano così implicitamente garanti di quell’unione “; “…si nasce, si vive e si muore ormai senza che un rito marchi più le tappe del nostro essere al mondo. L’arrivo di un figlio non comporta alcun atto di riflessione, solo la denuncia all’anagrafe. Le giovani coppie ormai convivono, non si sposano più e il solo rito a cui partecipano è solo quello del trasloco: non marcano quell’inizio di una nuova vita neppure cambiandosi la camicia. E mancando la cerimonia-iniziazione, manca la presa di coscienza del passaggio; mancando il contatto simbolico con il sacro , manca l’impegno. La morte stessa è vissuta ormai senza la consapevolezza e le consolazioni del rito. Il cadavere non viene più vegliato e il commiato, quando c’è , non è più gestito da sacerdoti o stregoni, ma da esperti i pubbliche relazioni “.

    Io penso che questo brano di Tiziano Terzani debbe essere un invito a non gettare l’acqua con il bambino quando si parla di religione.

    • Interessante Sindbad. Io però non vedo questioni religiose in quanto scrive Terzani. Mi pare che scriva cose relativa all’etica della vita, alla dignità. Io rivendico queste cose da laico. Rivendico che la vita senza Dio non sia una vita disperata. Al contrario. La grande voglia di vivere produce dignità, e tutte le energie sono rivolte alla realtà, non all’altrove. Io della vita eterna e di ogni questione collegata non voglio occuparmi. Sono qui, sono vivo, posso fare, agire, pensare, progettare e comportarmi con la sobrietà e l’equilibrio di cui parla Terzani. Da non credente, che non vuol dire non pensante, non vuol dire segna rispetto, senza dignità, senza stile, senza sensibilità. Al contrario. Grazie del tuo contributo. ciao!

  8. Ciao Simone,

    che dire, bella serata davvero ieri a Reggio. Mi sembrava quiasi di sognare. Dopo tutto un giorno a seguire una dieta relazionale fatta di elementi a cui sto diventando sempre più allergica, finalmente un incontro tra eletti che abbia dato un senso alla mia giornata diversificandola da tutte le altre, sempre identiche a se stesse.
    Atmosfera raccolta, quasi intimistica, quindi il clima ideale per iniziare a mettere “carne a fuoco”, a dipanarsi tra i mille interrogativi quasi imbarazzanti riguardanti noi stessi e la direzione che intendiamo dare a questa barca in navigazione, in cerca di un segno, all’insegna del sogno. Ancora una volta mi hai costretto a fare i conti con me stessa, tra un sorriso e l’altro, pur parlando di cose serissime e tragicamente vere, come tanto per fare un esempio, l’impoverimento a cui irrimediabilmente andiamo incontro se continuiamo a parlare di soldi senza valori e contenuti autentici in cui riconoscersi, l’eccesso di benessere, tanto isterico che rischia di annebbiare il vero benessere a cui saremmo votati, secondo la metafora della biglia e del piano inclinato, se non fossimo condizionati dai tanti “tu devi” che in contesto sociale dettato da un marketing deviato ci impone, senza sosta, senza speranza.
    Allora non resta che la testimonianza, portata avanti con dignità e la leggerezza che contraddistingue solo chi ha saputo abbandonare con coraggio, determinazione, metodo (aziendale) e lucidità, il peso delle inutili incombenze per poter dar corso al sè a cui si vuol somigliare.
    Sarei stata volentieri più a lungo, ma avevo un treno in partenza per Bologna e l’assillo del gong delle canoniche ore nove del mattino.

    Grazie ancora. Dalla presentazione del libro ad Ambasciatori e dalla prima lettura a novembre ne è passato del tempo, intanto ho avuto modo in questi mesi, con serenità, di riflettere, metabolizzare e iniziare ad attuare concretamente il mio personalissimo ds.

    Ciao, Grazia
    a presto

    • grazie a te!! sì una buona serata ieri. Belle facce… Ma guarda, capita spesso con questo libro. Aggrega gente in gamba, con idee, ancora capace di sognare. E’ fantastico questo. Mi piace molto. Un caro saluto. Buone giornate. ciao!

  9. Perdonate, il commento non c’entra con l’argomento del post, ma mi pareva troppo bello per tenermelo per me – A presto tutti!

    “Don’t rule out working with your hands. It does not preclude using your head. ”
    Andy Rooney (1919 – )

  10. Beh, Grazie, Simone, per ospitare con grande ampiezza di vedute queste discussioni.
    Questo luogo si sta facendo un punto di riferimento sempre più interessante.
    In fondo si parla di scelte di vita, di scelte costose, difficili, rischiose. E quindi c’è da aspettarsi che la sfera spirituale, quella da cui traiamo le motivazioni ultime del nostro agire, venga fortemente coinvolta.
    E, per chi l’ha, la Fede non può non essere chiamata in causa.

    @ Exodus: è assolutamente vero quello che dici, la Chiesa, nel senso di insieme di persone che credono nella possibilità di realizzare un mondo migliore a partire dal messaggio di Cristo, è fatta da quel pugno di granelli di “sale” che dici tu.
    E tra quei granelli c’è anche gente che in chiesa non ha mai messo piede.
    Proviamo a pensare a Gandhi, per esempio, o al nostro casalingo Pertini, ateo dichiarato fino alla fine.
    Grazie a tutti, questo è un posto dove si sta bene.

  11. Ciao Simone,approfitto della tua disponibilità ed esco un attimo fuori tema:
    Pensavo alla “variante” del consumismo come modus vivendi che giustifica per molti la schiavitù imposta da lavori che non soddisfano le proprie passioni e che si fanno solo per guadagnare.Questa variante è l’accumulare,quello infinito di denaro, beni immobili e simili.Ci pensavo perchè quest’altro modo di procedere potrebbe giustificare psicologicamente chi ci si dedica anima e corpo perchè non è che si spende bensi’ si accumula, si investe, per i propri figli, nipoti..Io ho 36 anni e mi sembra che persone della generezione dei miei genitori abbiano fatto cosi’.Oggi, leggendo del downshifting e della tua esperienza non penso che questa cosa sia molto salutare per nessuno se si da valore a un buono sviluppo della personalità.Ho letto il tuo libro e so che tuo padre non lo ha fatto perchè ha vissuto le proprie passioni, quindi non hai l’esperienza diretta.Sarebbe bello sentire ugualmente il tuo parere in merito..
    Grazie per il tuo esempio.

    • antonio, condivido la tua perplessità. a me pare una follia continuare a parlare così tanto di denaro. il denaro non conta molto, ha un valore, ma senza idee e sogni è carta straccia. io non accumulo (anche perché senza stipendio faccio fatica…) e soprattutto non ci penso troppo. se mi si propone un lavoro e mi va, posso, sono capace, lo faccio volentieri, pensando ad altro, o concentrandomi. Ne scaturisce poco denaro (generalmente) che uso per mangiare, per i miei lavori, cioé subito lo spendo. Più l’economia è minima e meno ha impatto. Guarda cosa accade in grecia. I nostri amici greci pensavano di essere ricchi, volevano essere ricchi, volevano partecipare di un mondo che gli veniva dai media. Ma non sono ricchi. Non hanno che il turismo. Ed ecco il risultato..

  12. Esco a mezzogiorno dagli uffici della Provincia, a mezz’ora dall’ufficio e 5 minuti dal mare… al mare!!!
    Ho pranzato da sola – mai fatto prima! – in un bagno in spiaggia, tagliolini gamberi e zucchine poi spiedini, guardando la spiaggia ancora libera dagli ombrelloni e il mare che rispecchiava il bianco e blu del cielo. Poi ho fatto una passeggiata al porto, ascoltando il rumore dei cavi mossi dal vento contro gli alberi delle barche a vela ormeggiate. E lì mi sono chiesta: riuscirei a godermelo allo stesso modo, se questa fosse la normalità di ogni giorno anzichè la fuga romantica e piratesca dall’ufficio? Avrebbe gusto, la fuga, senza più nulla da cui fuggire?

    Poi penso che non ho paura di scoprirlo, e che il cambiamento arriverà davvero a fondo, a cambiare anche le modalità di pensiero, quando finalmente non ci sarà più nulla di tedioso e forzato da cui fuggire, ma sempre qualcosa di bello e caldo a cui tornare… non più assenza, ma nostalgia… sentimenti nuovi da provare, il coraggio di allontanarsi, la gioia di ritrovare… sto immaginando, a mente libera, quello che mi aspetta, pensando che il cambiamento è naturale, è adrenalina, è vita, e non voglio opporre resistenza.
    Riporto e faccio mia una frase di un romanzo a fumetti di Vanna Vinci, mitica disegnatrice bolognese, “Viaggio Sentimentale” (che narra di pirati, lampade magiche e fairies dei boschi): “le cose cambiano sempre, Lillian, solo le cose morte smettono di cambiare”
    un grosso abbraccio a tutti!

  13. Ciao Simone,
    ho gia’ visitato un paio di volte il tuo sito, dopo aver letto il tuo libro “Adesso basta”, libro scoperto per caso, dopo aver letto una tua breve intervista in un giornale che stavo buttando…
    Il mio commento e’ un semplice “grazie”.
    Ciao!

  14. # Giovanni:

    intervengo sul tuo post, anche se comprendo che non è utile parlarne tanto qui, però scrivi “mi pare che qui ci si stia confrontando sempre più spesso su questi temi…”

    Ti confesso che io adoro confrontarmi su questi temi (fede, Dio, spiritualità, senso dell’esistenza oltre la pura materialità di questa vita transitoria), perchè mi aprono porte che neanche mi sarei sognato. Vanno oltre il downshift, la libertà, la vita, la morte… A proposito: non abbiamo avuto timore di confrontarci sulla morte e abbiamo forse timore di confrontarci su Dio e la fede personale? Cmq capisco che ci sono altri luoghi (anche sul web) meglio deputati a parlarne, dove obiezioni come quelle sollevate possono essere chiarite. Io li frequento e posso dirvi che spesso le intuizioni delle esperienze personali di fede trascendono qualunque discorso finanziario, economico etc…

    se Simone mi permette, però, desidero postare un commento che ho fatto su un altro sito, che esprime quello che penso circa le obiezioni tue e di altre persone che hanno una visione simile.

    Spero di non dare vita ad un dibattito, la mia è solo una posizione personale, prendetela come la testimonianza di un’esperienza di vita. Allego il commento, è per forza di cose un po’ approssimata in quanto estrapolata da un contesto simile ma non uguale:


    Ciao a tutti,

    devo dire che il post potrebbe aprire un dibattito interessante, ma solo dal punto di vista esegetico, culturale, intellettuale, formativo. Ora, se la “superfossilizzata” Chiesa Cattolica (il Cristianesimo in generale) sono ancora lì, non è perchè incutono paura, sono potenti, amici dei potenti, possessori della cultura, tengono la gente priva di conoscenza (soprattutto oggi con l’incredibile esposizione a tutti le “verità” per chi ne ha voglia), etc..

    La Chiesa è lì perchè un cristiano vive un’esperienza di fede personale, che trascende tutti gli errori di traduzione, interpretazione, le omissioni, etc… E’ profondamente ignorante rispetto alla “lettera”, perchè tale lettera è solo il complemento alla sua esperienza di vita, alle sue emozioni, al suo sentire, al suo desiderio di… la sua roccia non è la lettera, ma la sua esperienza; la sua speranza; le sua “fiducia”; la sua “volontà” di scoprire Dio.

    Se la CEI decidesse il cambio di qualche traduzione, etc, un cristiano neanche se ne accorgerebbe. O cmq non se ne darebbe pena, non gli importerebbe più di tanto. Su questo “nocciolo duro” di persone con un’esperienza diretta si fonda la Chiesa. E basta un pugno di questo “sale” per “salare” una Società intera. O quanto meno per rendere salda una istituzione che, sulla carta, non dovrebbe continuare a sussitere in mezzo a tanti errori. Fede, speranza, fiducia, impegno, credenza, si irradiano in tutte le direzioni, fino a coinvolgere in valori “cristiani” anche chi in realtà non lo è mai stato. Ma in fondo, sente il bisogno la Chiesa ci sia.

    Non si possono non riconoscere imprecisioni, forzature, “invenzioni”, quando si studiano i testi sacri pervenuti fino a noi… ma non è questo il punto, non ha importanza… una fede non può derivare da ciò che c’è scritto su di un pezzo di carta.

    Una volta ho chiesto ad un pastore quale fosse la migliore versione della Bibbia. Davo per scontata la sua risposta. Invece disse, sbalordendomi: “Se lo spirito non ti illumina qualunque versione non ti dirà niente. Se ti illumina, è perfetta quella che hai a casa”.

    • ragazzi, non poniamoci problemi di tematica e di opportunità. questo è uno spazio riservato alle idee, alla cultura, al pensiero, alle opinioni, all’azione. Scrivete quello che vi pare. Io pubblico qualunque cosa, purché chi la scrive lo faccia con il minimo necessario rispetto degli altri. ciao.

  15. Un piccolo commento sulla questione fede religiosa, in particolare dopo l’ultimo intervento di Cece. Sono proprio due cose diverse. Al punto che Fede e Religione sono due termini contrapposti.
    La Religione (Religio >> Vincolo, scrupolo) è un insieme di norme, precetti, riti, inventati da alcuni uomini per farsi interpreti della volontà di un dio presso i loro simili. Ciò generalmente per utilizzare il bisogno di spiritualità insito in tutti allo scopo di aumentare il potere di pochi.
    Quella del sacerdote è tipicamente la figura dell’itermediario tra il divino e l’umano, che si arroga il diritto esclusivo di questa intermediazione.
    E tutto quanto ha a che fare con la ripetizione automatica di preghiere, litanie, riti, (ma aggiungerei precetti, discriminazioni, proibizioni) etc. è indissolubilmente legato a questo modo di vivere il rapporto con la divinità. Modo che ha poco di spirituale e molto di materiale.

    La Fede (Fides >> Fiducia, Convinzione, promessa) è invece quanto ciascuno di noi crede, fa, spera per soddisfare il bisogno di colmare personalmente la distanza tra sè e dio. Ho scritto “dio” con la lettera minuscola perchè intendo significare non una persona, ma la spiritualità di ciascuno. Che per alcuni si personifica, per altri si diluisce nel tutto dell’universo, per altri ancora si esaurisce nelle profondità del proprio io.

    Concludo con un invito, assolutamente “laico”. Provate a prendere un vangelo, tipo quello di Marco (40 pagine, si fa presto, ma il 99,99999999% dei cosidetti credenti non lo ha mai letto) e cercare
    parole come “sacerdote”, “religione”, “altare”, “sacrificio”, etc. etc.
    Non ci sono!
    Il che banalmente significa che il messaggio di quel povero Cristo ucciso 2000 anni fa su una croce per averlo proclamato, non ha proprio nulla da spartire con la religione.

    Scusate la tirata pesantemente OT, ma mi pare che qui ci si stia confrontando sempre più spesso su questi temi…

  16. Un po di anni fa ho aperto un negozio laboratorio di artigianato artistico, Materia Prima, a Milano, inventavo lampade, lavoravo la cartapesta,il bronzo, decoravo con il mosaico,. E’ stato il mio modo di ribellarmi alla vita da architetto represso. Ho scoperto che la mia creatività mi può far stare bene, molte gratificazioni, molta gloria. Dopo qualche anno, con sempre pochi soldi, tasse ecc. sono però lentamente risalito sulla “ruota del criceto”. Per far quadrare i conti ho ricominciato a “fare” l’arch. e un giorno, sebbene con grande sofferenza, ho deciso di chiudere la mia attività ripendendo la mia vita “professionale”. Da allora ho sempre sentito questo vuoto/pieno, quel senso di liberta e di precarietà che fa sentire vivi. Oggi leggendo la tua storia mi è venuta una gran voglia di riprovarci.

  17. @Roberto.
    Brutto rendersene conto e avere paura che sotto sotto sotto sia proprio così. E capirlo e ammetterlo non sono già metà dell’opera…

  18. Buonasera a tutti,

    voglio davvero molto complimetarmi con Simone , di cui ho letto il libro e di cui apprezzo stile ed intelligenza.
    Gli interventi che leggo ( e rileggo ) da tempo ,provengono da una “comunità naturale”
    alla quale sento di appartenere.
    Ho 54 anni ed ho compiuto un percorso (spostato in avanti + 10 ) molto simile a quello di Simone, tanto simile a Lui da rimanere impressionato .
    Navigo a vela , progetto ed invento invece che scrivere ( come fa Simone con grande maestria ) con il piacere ed il rispetto che si deve alla propria passione.
    Un grande augurio a tutti perchè riusciate a vivere con consapevolezza , come Simone .

  19. ooopppsss, chissà perchè quando ho letto di nebbia e grigiore ho pensato subito a dove vivo io… Milano & dintorni… 🙂
    Certo Luigi, mi rendo conto, dev’essere davvero molto complicato.
    E sicuramente se non sei riuscito a trovare una soluzione tu che ci sei dentro, figuriamoci se adesso arrivo io e in 10 righe ti risolvo la vita!
    E’ che… boh… l’unione di tutte le persone che scrivono su questo blog, la guida di Simone, le riflessioni, gli spunti, le soluzioni concrete di chi ce l’ha fatta o ci sta provando… vorrei che TI servissero davvero a trovare una soluzione concreta, concretissima. Aspettare la pensione per poter realizzare quello che vogliamo veramente… è tutto il contrario del Downshifting.

  20. …ho fatto il salto, e non è che dopo che ti sei buttato la paura passi… dopo 25 anni di lavoro in campo informatico, con tante soddisfazioni, successi e poi grandi delusioni, ho aperto da poco in centro a Roma un negozio di prodotti eco&equo (www.scalacromatica.it) che ha anche uno spazio da dedicare ad eventi culturali. Abbiamo fatto piccoli concerti,degustazioni, corsi ma ci starebbe bene anche la presentazione di un libro…e quale si presterebbe meglio di “adesso basta” per dare l’avvio? Potresti Simone venire?

  21. E’ che le persone spesso non vogliono stare bene. Voglio stare un po’ meglio.
    Tornando all’articolo di Simone siamo tutti assaliti da dubbi, perche’ dietro c’e’ la paura di farcela, non quella di NON farcela. Se poi ce la fai, se realizzi i tuoi sogni, se ci lavori e tutto si trasforma puoi perdere le tue piccole nevrosi, le tue scontentezze quotidiane, le tue grandi ma spesso piccole insoddisfazioni.
    Quelle sono parte della nostra identità, diventare persone nuove spaventa più del rimanere mediamente scontenti.
    Buona giornata a tutti.

  22. purtroppo si, Caterina. E’ meno semplice di quanto può sembrare, o possa lasciar intendere quanto ho scritto. Leuca poi offre nulla d’inverno, forse qualcosa d’estate, magari connesso al turismo. Ma giusto Luglio e Agosto. Da non sopravvivere, con gli impegni finanziari che ho…ma resta un sogno, sai, che forse realizzerò con la pensione, se arriverò a prenderla (visto che ci aspettano anni duri per il welfare…). Comunque Ti ringrazio, non è la prima volta che Ti soffermi su quanto scrivo, certamente di minor spessore rispetto alle riflessioni di altri, ma assolutamente reale, e soprattutto mio….

    A proposito, se qualcuno volesse fare una vacanza a Leuca in luglio, la mia casa è in affitto….

    PS io vivo a Reggio Emilia, per la precisione a Correggio, non a Milano. Ma l’Emilia è cara uguale…

  23. Riprendo la risposta di Simone al commento di Exodus sulla fede e sul mio post, per spiegare che la mia era proprio una critica alla fede religiosa, a costo di attirarmi qualche antipatia. Non voglio essere irrispettoso, ma Exodus è davvero una minoranza quella che, dedicando tempo ad una fede religiosa e ad un Dio (che sia Shiva, Allah, Cristo, ..), è effettivamente alla ricerca del proprio piacere e felicità. Ed ho seri dubbi che la fede religiosa possa essere, come dici tu, l’espressione migliore di questa ricerca. Anzi mi sembra che ci sia ben poco di ricerca personale nel ripetere litanie e preghiere in automatico, ripetere gesti e riti per anni, etc.. mi spiace se urto alcune sensibilità ma io la penso così.

    E’ invece diverso il discorso che continua poi Exodus sul fatto di avere fede, nutrirla, coltivarla che si collega alle nostre passioni, alla nostra spiritualità.. questa è un’altra cosa sulla quale sono d’accordo e che condivido, ma sono due cose diverse…
    Ciao

  24. Luigi:
    non ho capito: perchè in quella casa che hai comprato al mare non ti ci trasferisci?
    Togliresti di mezzo un sacco di spese che oggi hai per vivere a Milano in una seconda casa. Toglieresti di mezzo un sacco di spese di viaggio x raggiungere la tua bambina. Non credi che avresti bisogno di molti meno soldi? E quindi che ti potresti accontentare di un lavoro magari più umile, o diverso, ma guadagnando tantissimo in VITA?
    Mi rendo conto che forse la Puglia non è esattamente il paese della cuccagna in quanto a occupazione, ma possibile che proprio non si trovi niente?? Forse niente che ti permetta di pagare il mantenimento + le tue spese… non so, però avere una casa a Milano, vivere in questa città, fare avanti e indietro dalla Puglia non costa almeno quanto un assegno di mantenimento??
    Forse mi mancano troppi elementi per capire bene… perchè mi sembra fin troppo facile quel che ho detto…

  25. Dissento:

    Sul primo commento (CECE): la sindone e “Immaginiamo per un attimo, se le ENERGIE, il TEMPO e la CONVINZIONE che milioni di persone dedicano alla fede e alla sua pratica, fosse convogliata…”

    sul tuo: “Eh no Cece, c’entra eccome! Molto molto d’accordo con quello che dici…”

    Scusate, non ho specificato per non scrivere ancora di più. Magari ho interpretato male il Vs. pensiero? Magari siamo d’accordo sull’importanza di una dimensione di fede?

    (Cmq come diceva Groucho Marx: “Ricordate: qualunque cosa diciate… io sono contrario!” Una delle meraviglie del pensiero di tutti i tempi! Se qualcuno è interessato spiegherò anche perchè lo penso!)

    Ciao!

    • Ok, capito. Io non ho fede in dio perché dio non esiste. almeno per quanto ne so io. Rispetto chi ne ha (di fede) e capisco, credo, anche quale sia il processo mentale che sta dietro a questo. Io non ne ho e mi tiro fuori (tra l’altro) da qualunque integralismo laico e religioso. Penso che se uno crede in dio e crede anche nella realtà, dunque nel lavoro, nel coraggio, nel cambiamento, va tutto bene. Purtroppo questo capita di rado. la norma è che si demandi a ciò che non esiste (dio) quel che invece esiste (la realtà). L’esempio dell’idolatria verso un panno medioevale a cui faceva riferimento Cece mi pare altrettanto calzante. Va da sé che ognuno è libero di dare valore a quel che vuole. Io non sarei a mio agio nell’idolatrare alcun panno, che fosse originale oppure non originale (come in questo caso). Vorrei vedere devozione identica anche per la realtà quotidiana, per le persone, per i processi, per le relazioni, per l’ambiente, che contrariamente alla fede non richiedono nulla per essere visti, creduti, intrapresi. invece vedo devozione idolatra più spesso di quanto veda impegno, rispetto, tensione morale, responsabilità. E questo non mi piace molto. Il tutto, ripeto, senza disprezzare o denigrare alcuna propensione laica o di fede.

  26. L’idea di non riuscire, di non essere all’altezza, sospetto, è molto italiota, molto mammesca. Vuoi lasciare o cambiare lavoro? Tipica la frase: “Ringrazia che tu un lavoro ce l’hai.” Questo perché da noi in effetti devi quasi sempre ringraziare qualcuno. Sia mai che mandi un curriculum e viene preso in considerazione per le tue qualità e non perché hai un conoscente nell’azienda in questione. Questa abitudine è solo un esempio, ma il sintomo di un sistema costruito intorno ai favori più che ai meriti. In ogni caso, quanta fatica per bandire il pensiero del fallimento imminente, il senso di inferiorià che attanaglia nonostante i tanti successi passati. E allora ci si arrende al primo ostacolo, si cerca conferma della propria inadeguatezza. E chi cerca trova. Io sto attraversando un momento di cambiamento. L’agenzia pubblicitaria in cui facevo il copywriter ha chiuso. Tutti a casa. E’ accaduto con sincronicità Junghiana proprio in questo periodo di ripensamenti radicali, infiammati anche dal tuo libro, Simone. So di dover tenere la testa sulle spalle, perché ora sta girando un po’, ma sono mesi e mesi che ripenso al mio lavoro con fastidio. Innescare desideri illusori per vendere servizi e beni disgustosamente inutili a persone sprovviste di difese culturali. Voglio considerare questa pausa dal lavoro come un’occasione di rinascita ma vi assicuro che è difficile in certi momenti non cedere al solito pensiero autodenigratorio: io non ci riuscirò. Perché la tentazione di rimontare più in fretta possibile sulla ruota del criceto e tornare a correre, può essere forte quando l’ansia bussa alla porta.
    Ho 38 anni, lavorare nella comunicazione ha bruciato molte delle mie pie illusioni. Noi che operiamo in questo settore, sospetto, siamo soggetti a un rischio molto alto di “burn-out morale”, perché vediamo cosa c’è dietro le quinte. La costruzione del consenso ferisce l’anima anche di chi la perpetra. Adesso per lenire questo senso di inutilità insegno italiano agli immigrati. E incontro persone povere di mezzi materiali ma ricchissime di forza interiore. E’ un’attività di volontariato, ma sto pensando a come specializzarmi in questo campo. E’ ora di cambiare. Di trovare un senso per guardarsi allo specchio con fierezza.

  27. # Cece, Simone,

    io dissento: per me se uno cerca/dedica tempo ad una fede (religiosa), è già una ricerca del proprio piacere, della propria felicità, della vita e del suo senso. Anzi è l’epressione migliore della ricerca. La fede è una Passione. Se ce l’hai “devi” curarla, farla crescere, devi compenetrarti, riposarti in essa, gioirne.

    Se tu hai la fede, o la cerchi, hai già scoperto la tua Passione. Prova a farla crescere, investi, vedi se ottieni risultati sul tuo corpo, sulla tua mente, sul tuo spirito, lanciati, sul serio, prova, sbaglia, arrabbiati, manda tutti a quel paese, ma mantieni questo tesoro vivo in te.

    Prova, rischia, se sei attratto. Il discorso sul rischio non può limitarsi al dove vivere, come vivere, con quanto vivere, etc… deve espandersi alla totalità dell’esperienza umana, altrimenti non ha senso, diventa una gabbia solo più grande. Se senti in te un richiamo alla fede, alla tua fede, alla spiritualità, a qualcosa che completi la tua esperienza in questo tetro mondo e addirittura gli dia un senso più grande, eterno, e non lo segui, non lo nutri, tutto il dondonshft è una burla.

    Diverso è il caso della semplice curiosità, allora è sterile. Andare a vedere una Sindone solo perchè è esposta, è un lenzuolo anomalo, e abbiamo tempo libero, è l’equivalente del centro commerciale (anche lì si paga il biglietto).

  28. Ho finito di rileggere Avviso agli Studenti e Terrorismo o rivoluzione di Raoul Vaneigem, quanto mai in linea con questo tuo post. L’attesa di una vita, in cambio della sopravvivenza è quello che insegnamo ai nostri ragazzi, è quello che raccontiamo alle nostre coscienze. Alcuni mesi fa ero in auto con una collega anziana che gentilmente mi aveva dato un passaggio durante un giorno di sciopero dei mezzi pubblici. Mi racontava di suo cognato, oggi a 55 anni affetto da parkinson: ha sempre vissuto come non avrebbe voluto, avrebbe voluto fare il falegname, è finito a fare l’operaio alla catena di montaggio delle automobili. Se ti sforzi così, prima o poi, la violenza torna indietro. Me lo raccontava una donna di quasi sessant’anni, friulana, di origini contadine ma trapiantata felicemente in città a fare l’impegata contabile, Lei che sembra sempre contenta della vita, forse lo è, è in pace con se stessa. Non come suo cognato…la violenza – con cui ci facciamo del male in nome del sacrificio, del senso di colpa, la violenza torna sempre indietro.

  29. vorrei lsciare una traccia, un segnale, una piccola testimonianza dell’importanza di quello che semini, Simone, in positivo, visto “l’abbassamento di spalle” che il tuo ultimo scritto denota…
    1° maggio, non sono di turno in ospedale ma gli amici vogliono andar per bancarelle….sconforto totale,… poi un pensiero, strampalato, certo, ma io lo seguo: cucino qualcasa, prendo il tuo libro, la macchina, lascio Ancona e vado al lago Trasimeno, da sola, una passeggiata per il perimetro molto rilassante, poi, sdraiata x terra sotto migliardi di aquiloni in un aereoporto…..una giornata bellissima, surreale, piena di mille cose…che se mi fossi lasciata vincere dalle mille paure e dai mille “non si fa” non avrei vissuto…e sarei un pò più povera……ho costruito un buon ricordo, ed ho riportato a casa un sorriso….che è quello che cercavo….quindi, anche se in modo piccolo, c’è chi ci prova…..sapendo che un lungo viaggio è fatto di tanti piccoli passi!!!!
    Buona vita e grazie

  30. Sto cambiando. Sono in fase di cambiamento. Ho dato le dimissioni da un lavoro che mi piace e che non è un Lavoro, è un pezzo di vita. Sto per lasciare colleghi che col tempo sono diventati amici, compagni di strada, persone con cui condivido anche passioni e valori. Non tutti, quelli però che noi consideriamo importanti e per i quali ci siamo trovati. Sto per abbandonare una città che ormai da anni non mi interessa più, che mi ha dato certamente tanto, perchè se non fossi stata a Milano non avrei fatto le scelte di vita che ho fatto e non mi troverei, ora, ad aver deciso di cambiarla questa vita. Ma quando ogni mattina, uscendo dalla metro, penso “che squallido”, beh, cara città, mi sa che non abbiamo più niente da dirci e da darci.
    Io, nonostante mi ritenga fortunata per non aver dovuto lavorare in un posto che non piaceva, anzi, nonostante non frequenti persone che non mi piacciono (ho smesso da un pezzo di uscire tanto per non stare in casa), nonostante tante volte sia felice di quello che ho, ho deciso di lasciare casa, lavoro, città per seguire il cuore. Il cuore è l’amore, la persona con cui voglio passare il resto del mio prossimo pezzo di vita ma il cuore è anche il desiderio di ritrovare un contatto con la natura, con i ritmi del sole e della pioggia, delle stagioni che la fanno da padrone e che saranno i miei nuovi “capi”. L’orto seguirà il succedersi dei mesi e ci sarà il caldo e poi il freddo. E io mangerò quello che produrrò e solo se l’avrò curato. E solo se sarà il suo momento. Cosa farò, faremo, il mio compagno e io per mantenerci? Chissà. Intanto staremo insieme e ne parleremo quando avremo voglia di farlo, senza aspettare weekend frettolosi che volano via come il vento che, finalmente, potrò sentire sul viso tutti i giorni. Abbiamo messo via abbastanza soldi per fare ciò? Ma quant’è abbastanza? Non so se ci basterà quel che abbiamo per iniziare una nuova attività. Perché sicuramente un’attività, che sia agricola o turistica, ci sarà. Non credo rallenteremo il ritmo, lo faremo nostro. Non fa per noi il lavorare meno ma il lavorare meglio sì. E poi chissà, non abbiamo firmato contratti, non siamo legati a null’altro che a quello che ci sentiremo di fare. Ridimensionando i consumi (già risparmieremo in viaggi, doppie bollette, doppie case…) e le esigenze, possiamo darci un po’ di tempo per pensare al futuro.
    Poi vi racconterò. Intanto mi va di vivere.

  31. … ti chiedo informazioni circa le modalita’ per la partecipazione al tour, in particolare per quanto riguarda i punti di sbarco/imbarco(quali i piu’ raggiungibili), fermarsi una notte li’ piuttosto che partire il giorno stesso, i mezzi di arrivo/partenza per i porti intermedi…
    torno alla lettura del post in attesa di poter dialogare con te…
    a quattrocchi…

  32. Quanto è vero quello che dici….talvolta la ripidità di una salità è maggiore di quella reale, a causa della paura di affrontarla…qualche altra volta, però, ci sono impedimenti oggettivi a frapporsi fra te e la realizzazione dei tuoi desideri. Io, per esempio, sono separato,ho una figlia a 1000km, un pesante assegno di mantenimento, il forte desiderio di vederla, l’impegno correlato per garantire al ns rapporto una realtà pseudo familiare che mi ha portato a comprare un casa non troppo distante da Lei (al mare, però, quello di S.Maria di Leuca; almeno…). Quindi, vincolato dalla necessità di uno stipendio all’altezza di queste esigenze, passo buona parte del mio tempo a sopportare il senso di soffocamento causatomi dal vivere in pianura padana, terra non mia,lontana dall’adorato mare, sognato e mai vissuto appieno. Come fare, allora? Certo, la paura di confrontarsi con l’eventuale cambiamento aggrava ulteriormente il senso di disistima di sé, del dover sopportare tutto per scelte sbagliate. Quindi, la peggiore delle situazioni: la consapevolezza della necessità di cambiare per essere migliore, unita a quella della impossibilità oggettiva di farlo….da psicanalisi…

  33. A proposito di malafede, oggi ho accompagnato i miei genitori a vedere la Sindone a Torino. Avevo prenotato il biglietto, li ho accompagnati all’entrata e li ho salutati mentre si incolonnavano in una fila enorme, pure oggi di lunedi, di gente varia, anziani, giovani, gruppi arrivati in bus dal sud Italia e dall’estero…

    Può sembrare che non c’entri molto con il post ma per me si. Mi è venuto in mente accostando l’immagine dei “pellegrini” che ho visto oggi con il finale del post, in cui si insiste sul peso della nostra scelta individuale e sull’effetto che i nostri alibi comuni (non posso farcela, costa troppo, se non avessi…) hanno sulla nostra vita.

    Immaginiamo per un attimo, se le ENERGIE, il TEMPO e la CONVINZIONE che milioni di persone dedicano alla fede e alla sua pratica, fosse convogliata come per un intervento “divino” appunto, non dico a cose eclatanti, ma semplicemente ad una sensata e sana ricerca del proprio piacere e benessere … si lo so, immagino troppo, sarò stata la sacra sindone!

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